Riflettiamo su quel voto non dato

Gennaro Matino (June 27, 2015)
Se qualcuno volesse fare i conti con questa provocazione.... sono convinto che potrebbe trasformare l'astensione di oggi nella sua forza elettorale di domani



AD URNE chiuse a prevalere in Campania, ancora di più a Napoli, è stato il non voto. Sarebbe un errore imperdonabile per tutti i partiti o i movimenti che hanno partecipato alle elezioni regionali e comunali non raccogliere la sfida politica che emerge dai numeri impressionati dell'astensione, raccontata dai politici di mestiere ancora una volta come antipolitica e che invece, come ho sostenuto in un mio fondo di inizio aprile, è un fatto squisitamente politico.

 

Avevo previsto che l'astensionismo sarebbe stato una sconfitta per tutti e non certo per essere solo una vile protesta, ma perché risponde sempre più frequentemente negli ultimi anni, e in questa tornata elettorale è stato più evidente che mai, a una scelta ponderata dell'elettore. Chi ha deciso di non avvalersi del diritto di voto ha dichiarato di non volersi sentire complice di un sistema che sta uccidendo la vita politica, la sta umiliando, affermando in questo modo il disprezzo per politici non ritenuti all'altezza e la propria ripugnanza per una classe dirigente ancora largamente lontana dalla passione per il bene comune.

 

Questa volta per molti cittadini non andare a votare è stata una scelta addirittura più dura e sofferta, soprattutto per coloro che hanno sempre votato, per quei tanti adulti e anziani che, educati a considerare il voto come sacro, ancora risentono del giudizio morale negativo che la società della Prima Repubblica esprimeva nei confronti di chi non si recava alle urne. Se nella terza città d'Italia, la più grande del Meridione, vota solo poco più del 40 per cento degli aventi diritto e in Campania solo il 50 per cento, in linea peraltro con gran parte del Paese, non è l'antipolitica a vincere, ma è la questione democratica che il cittadino pone con il suo non voto al centro della discussione politica. La gente non si sente più rappresentata dai vecchi schieramenti e ancora non sa decifrare i nuovi. E così non partecipando al voto manda un messaggio forte e chiaro: "non in mio nome". Protesta alta che aspira a una politica diversa, la stessa che ha originato quei nuovi movimenti che stanno sbaragliando le vecchie formazioni partitiche frettolosamente liquidate come populistiche. D'altronde già Berlinguer ipotizzò il rischio dell'allontanamento dalla partecipazione politica dei cittadini quando nel lontano 1977, denunciando la "Questione morale", espresse la preoccupazione che il destino democratico del Paese poteva essere minato dalla corruzione della sua stessa classe politica.


Non si può chiedere al cittadino di vivere lo Stato e le sue decisioni con la sola obbedienza al voto che in realtà sembra piuttosto trasformato, come canterebbe Fabrizio De Andrè, in quell'ora d'aria che ti concedono in galera prima di tornare dietro le sbarre. Se la libertà è partecipazione, la partecipazione falsata è offesa alla libertà. Il non voto racconta, a coloro che davvero vogliono politicamente interpretarlo, le aspirazioni represse della gente, di un popolo che sogna un Paese diverso, attese che se raccolte, comprese, decodificate possono trasformarsi in forza trainante, motore straordinario di lotta politica.


Quel voto non dato è la lotta espressa con il silenzio rumoroso dell'astensione di chi paga le tasse con estenuanti sacrifici e vede dilapidato il suo capitale dalla corruzione o peggio dal dilettantismo degli amministratori locali incapaci di trasformare le risorse in bene comune; è la lotta di chi serve quotidianamente lo Stato rispettando le regole della libertà per non offendere l'altrui spazio vitale, di chi è stanco di vedere prevalere quotidianamente il sopruso e l'arroganza dei violenti sotto lo sguardo complice di quanti dovrebbero difendere la giustizia; è la lotta di chi non vede futuro per i propri figli e non regge più alla falsità di uno Stato che dichiara di garantire a tutti uguali diritti e invece premia i figli di, senza competenze, senza mestiere, solo per essere figli di chi sa rubare spazio e dignità a chi lo merita. E soprattutto, quel non voto, è la presa d'atto del cittadino che sa che per ora non esiste una visione alta della politica che sappia convincerlo che quei guasti possano essere superati.


Lysander Sponeer, anarchico americano dell'ottocento, sosteneva che un uomo non cessa di essere schiavo perché gli si permette di scegliere il padrone ogni quattro anni. Un' affermazione forte ma che assume una rilevanza particolare in un contesto come quello italiano ed europeo di oggi, in cui non solo i parlamenti, ma anche gli enti amministrativi e le burocrazie esercitano un potere apparentemente illimitato sulla vita dei cittadini. Se qualcuno volesse fare i conti con questa provocazione sono convinto che potrebbe trasformare l'astensione di oggi nella sua forza elettorale di domani.


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