L'anniversario dell'11 settembre visto dall'Italia
11 settembre 2001-11 settembre 2011. Dieci anni che hanno cambiato il corso della storia all'inizio di questo secolo, dieci anni in cui l'America si è improvvisamente scoperta vulnerabile, esposta ad un nemico non identificabile, non riconducibile ad una potenza straniera, com’era accaduto, ad esempio, a Pearl Harbor, dove l’attacco era stato sferrato dal Giappone. Un anniversario importante, vissuto con grande partecipazione non soltanto dagli Stati Uniti, ma dal mondo intero. Da giorni ormai i maggiori quotidiani italiani contengono inserti commemorativi dell’11 settembre con foto, DVD, ricostruzioni e opinioni di illustri editorialisti.
Su La Stampa del 4 settembre Gianni Riotta, all’epoca inviato per Il Corriere della Sera a New York, rievoca lo spirito di quegli anni, prima che tutto accadesse: “l'entusiasmo per un Terzo millennio libero da fantasmi, ideologie e odio del XX secolo, ci nascose i pericoli. Il populismo che fa saltare il Federal Building a Oklahoma City nel 1995, un terrorista americano contro l’America. Le bombe che i fondamentalisti di al Qaeda fanno esplodere in Africa nell'estate ‘98 contro obiettivi Usa e che non vediamo, distratti dal flirt tra Clinton e Monica Lewinsky”. Per Riotta l’11 settembre è il “Giorno che ha cambiato le nostre vite”, la linea di demarcazione tra un “prima“ e un “dopo” che ha lasciato alle spalle l’ottimismo di inizio secolo e ha proiettato tutti noi in una crisi globale che dura ancora oggi. Il bilancio è denso di incertezze: “Dieci anni dopo «noi» ci ritroviamo con la crisi finanziaria e la fine dello sviluppo, «loro» con il difficile laboratorio democratico e l’agonia dei dittatori, in Siria e Iran. I qaedisti inseguono lo scacco matto dell’attacco nucleare, persuasi che le nostre democrazie non reggeranno”.
La Stampa, come tutti i media italiani del resto, sta dando un grande risalto al decennale dell’11 settembre con articoli giornalieri sull’edizione cartacea e con uno speciale online che ogni giorno viene aggiornato con articoli e testimonianze. Degna di nota è l'intervista del 4 settembre di Paolo Mastrolilli a Jay McInerney, scrittore statunitense, famoso per “Le Mille Luci di New York”, uscito nel 1984, che con “The Good Life” ha scritto il primo romanzo dedicato all’11 settembre. McInerney pensa che l’America avrebbe già potuto voltare pagina se non fosse stato per la “maledetta crisi economica” che blocca tutto: “L’11 settembre non ha cambiato le nostre vite, se non per aspetti marginali e per la politica estera. Siamo programmati per sopravvivere, metterci alle spalle i traumi e tirare avanti”. Per lo scrittore statunitense, tuttavia, è cambiato radicalmente il modo in cui noi vediamo gli islamici, e loro vedono noi. Il dialogo con gli islamici sarà “un processo culturale, oltre che politico, molto lungo. Gli estremisti che ci hanno colpito –continua McInerney- hanno una visione della vita completamente diversa dalla nostra, e non hanno alcuna intenzione di ascoltarci. Possiamo cercare di favorire l’ascesa dei musulmani più moderati, a patto di non bruciarli con la nostra amicizia, e sperare che dalle primavere arabe emerga una classe dirigente più aperta e moderna. Ma sono speranze che richiederanno decenni”.
Enrico Franceschini sul suo blog su Repubblica concorda con Philip Stephens, columnist di affari internazionali e nazionali del Financial Times, il quale ritiene che tutto sia cambiato dopo l’11 settembre. All’indomani dell’attentato ci si sarebbe aspettato da parte degli Usa che riaffermassero la propria posizione di leadership mondiale, che si ridefinisse la sicurezza dell’Occidente con una lunga guerra contro gli estremisti islamici e che il Medio Oriente si ridisegnasse a immagine e somiglianza della democrazia occidentale. Tuttavia, nota Franceschini, “dieci anni più tardi, il declino del potere americano è sotto gli occhi di tutti (nel 2001 si pensava che la Cina avrebbe sorpassato l’economia Usa nel 2050, oggi si pensa che succederà nel 2020 – se non prima); la guerra santa islamica è ancora un problema, ma è ormai chiaro che non rappresenta una minaccia esistenziale per la sicurezza dell’Occidente; e in Medio Oriente si sente sì parlare di democrazia, ma non sotto la spinta di bombardamenti americani bensì sotto quella di una rivoluzione popolare dal basso, il cui esito non sarà necessariamente quello di una democrazia a immagine e somiglianza dell’Occidente”.
Gli Stati Uniti appaiono sempre più indeboliti, con un Medio Oriente in fermento, con istanze di democrazia che si stanno facendo strada, ma non sotto la spinta dei bombardamenti americani, bensì da una rivoluzione popolare dal basso il cui esito non sarà necessariamente quello di una democrazia a immagine e somiglianza dell’Occidente. La sconfitta maggiore della sfida di al Qaeda, conclude Franceschini, “non è stata dunque l’uccisione del suo leader Osama bin Laden, bensì il fatto che il futuro viene oggi scritto a Pechino, a Nuova Delhi, a Rio de Janeiro, non nei rifugi dell’estremismo islamico. Il mondo è cambiato e molto, rispetto all’11 settembre 2001. Ma non è stato – fortunatamente – l’11 settembre a cambiarlo”. Oltre agli articoli presenti sul quotidiano, La Repubblica ha dato risalto al decennale dell’11 settembre con un Atlante in cui vengono rievocati l’attacco, le storie di vittime e carnefici, la guerra al terrore. Le grandi firme di Repubblica, gli esperti, gli scrittori nazionali e internazionali, con testimonianze e foto, danno un quadro ampio all’evento. Anche sul Corriere della Sera c’è spazio alle commemorazioni con articoli e con uno speciale online in cui vengono proposte, tra l’altro, anche le tesi complottistiche che negli ultimi dieci anni si sono ciclicamente ripresentate e che, per l’occasione, sono riaggiornate con ultimi filmati e nuove ipotesi.
Sul Fatto Quotidiano Roberto Festa guarda alle ripercussioni dell’11 settembre sull’economia, rifacendosi alle tesi di Linda Bilmes e del Premio Nobel Joseph Stiglitz, economisti autori di “The Three Trillion Dollar War”. Per Festa non si può ignorare il fatto che il vero lascito economico dell’11 settembre siano proprio le spese militari, “il fiume di denaro fatto affluire dall’amministrazione Bush, e poi da quella Obama, in Afghanistan, in Iraq, in ogni altra parte del mondo in cui gli Stati Uniti abbiano percepito un (supposto) pericolo. I 4 mila miliardi che Stiglitz e la Bilmes hanno visto prendere la strada dell’Afghanistan e dell’Iraq sono stati sottratti al lavoro, agli investimenti, alla sanità, all’educazione”. Non è possibile spendere miliardi in una guerra fallita all’estero, e non vedere le ripercussioni di tutto questo in patria. “A parte i numeri e le percentuali, -conclude Festa- è proprio quel “dolore” – nelle case, sulle tavole, nelle scuole e negli ospedali – che gli americani hanno più percepito dopo il settembre 2001”.
Il decennale ha spazio anche in televisione, con i palinsesti volti a dare il giusto risalto all’evento con dirette, film ed esclusive, con tanti speciali dei programmi di approfondimento. Una vera e propria maratona in tutti i canali italiani che è iniziata i primi giorni di settembre e che avrà il suo culmine il giorno dell’anniversario con le varie dirette da New York.
L’11 settembre verrà anche ricordato in molte parti d’Italia con numerose iniziative. Tra le tante ci sono quelle dalla sezione italiana di "Democrats abroad", il ramo ufficiale del partito Democratico degli Stati Uniti, attivo in oltre 164 paesi, che ha organizzato alcune commemorazioni a Venezia, Milano, Firenze, Roma e Cagliari per rendere omaggio alle vittime di tutto il mondo. Infatti, nell’attacco al World Trade Center di New York persero la vita quasi 3000 persone provenienti da oltre 70 paesi, facendo di questa una tragedia non solo americana. Gli eventi organizzati da “Democrats abroad” avranno luogo durante la mattinata di domenica 11 settembre: ispirandosi alle "liste" di Roberto Saviano e Fabio Fazio nel programma televisivo "Vieni Via Con Me", i partecipanti leggeranno e condivideranno brevi ricordi e pensieri.
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