Ancora un giro di chiave. Nino Marano. 49 anni in carcere

Letizia Airos Soria (November 24, 2019)
Presentato a New York il libro di Emma D’Aquino che racconta la storia di Nino Marano, un uomo che ha passato 49 anni in reclusione. Tutto comincia con un furto di peperoni e melanzane. Arrestato e incarcerato, è in galera che Nino diverrà un pluriassassino e non uscirà più. Momenti di speranza in una possibile redenzione si alternano con la crudezza della violenza che ritorna. La pena si allunga e sembra quasi la scusa per nuovi delitti. Una vicenda dura e controversa che offre tanti spunti di riflessione.

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Una storia cruda, ma anche piena di umanità quella di Nino Marano, quasi 50 anni dietro le sbarre. Anni scanditi da tanti “giri di chiave”. Una vita tra cadute e riprese. Delitti efferati che avvengono dentro il carcere. Ma anche l’amore per sua moglie e i figli.

Nino Marano i primi anni entra ed esce dal penitenziario. Nel frattempo era infatti imputato in diversi processi. “«Marano, se ne vada a lavorare e non si faccia più vedere.» L’appuntato Vasta me lo disse porgendomi un vestito, pantaloni blu con giacca quasi dello stesso colore. Chissà dove li aveva presi, ma erano esattamente della mia taglia ed erano esattamente quello che mi serviva per avere la sensazione tangibile di cambiare vita”

“Passai otto mesi bellissimi con la mia Sarina. Finalmente mi sembrava di respirare. Avevo ripreso in mano la mia vita, avevo cercato e trovato un lavoro”.  Ricorda Nino Marano. Ma poi viene informato che ha ancora un conto aperto con la giustizia. “Dovevo scontare sedici mesi di carcere per chiudere definitivamente col passato…. Quella notizia avrebbe gettato nello sconforto chiunque, ma non me… volevo pagare fino in fondo il mio debito con la giustizia. Mi presentai spontaneamente nella caserma vicino a casa”. 

Da qui diventa difficile seguire l'incredibile successione di avvenimenti in cui è coinvolto. Pagine di vita criminale, con processi, tentativi di fuga,  condanne, trasferimenti in diversi carceri ...

Accanto alla vicenda personale, la narrazione di decenni di storia italiana che entrano in carcere, l'incontro con dei detenuti brigatisti, i "neri", il carcere duro del cosiddetto “41 bis”, i cambiamenti della società italiana visti e vissuti da dentro le mura.

Una storia che ha dell’incredibile, quella che racconta Emma D’Aquino, ma le vere storie sono spesso incredibili.  Tutto comincia con un furto di peperoni e melanzane, dopo un’infanzia e adolescenza marchiata dalla povertà e dalla fame.  Marano, figlio di un bracciante siciliano, ha quattro fratelli e viene da una casa che "puzzava di fame".

I suoi racconti sembrano portare in atmosfere da romanzo verista. “Alla casa del povero ognuno ha ragione”... “la forca è fatta per il disgraziato”... così scriveva Giovanni Verga nei “Malavoglia”.

Con "Ancora un giro di chiave. Nino Marano. Una vita fra le sbarre" (Baldini Castoldi editore) Emma D’Aquino  - conduttrice del TG1 in prima serata, con una carriera importante da cronista - affronta un tema molto delicato. 

Le criticità legate alla vita nel carcere sono infatti ancora tantissime. Secondo la legge italiana la pena deve avere una funzione rieducativa che tenda, anche attraverso contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale. 

Continuo quindi qui,  con la mia penna, una riflessione aperta perché incredibilmente difficile e vasta, nata nel corso della doppia  presentazione del libro che come Your Italian Hub abbiamo organizzato a New York: la prima alla St. John’s University, con la professoressa Katia Passerini e i suoi splendidi allievi; la seconda in un loft di Union Square, dove a intervistare Emma c’era insieme a me la collega Francesca Di Matteo, preceduta da un’introduzione del Console Generale Francesco Genuardi. Nel pubblico, a dimostrazione dell’interesse del tema, l’Ambasciatrice Mariangela Zappia, rappresentante permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite e il nuovo direttore dell’ICE di New York, Antonino Laspina.

Una premessa importante. Non intendo in nessun modo giustificare Nino Marano: è un pluriassassino, non ci sono dubbi. Un assassino che uccide, ma la prima volta entra in carcere per un furto di peperoni e melanzane. Anche qui non ci sono dubbi.

Quando abbiamo deciso di presentare questo libro con Emma D’Aquino, sapevo che sarebbe stato difficile raccontarlo. L’avevo letto tutto d’un fiato la scorsa estate, per poi ritornare, più volte, indietro tra le pagine per rivedere alcuni passi.  La sua vicenda, per quanto unica, stimola riflessioni di carattere generale.

La prima è: Emma D’Aquino - attraverso le parole di Marano -  racconta la vita in carcere di decenni fa; quanto è cambiato nei penitenziari italiani, da allora? E la seconda è, visto che ci troviamo a New York, è vero che negli Stati Uniti il sistema carcerario è ancora più duro? E ancora: cosa dobbiamo pensare della “funzione rieducativa della pena” quando la vita in carcere, in realtà , può perfino spingerti alla violenza? E infine: siamo tutti d’accordo che la pena debba avere questa funzione, e non semplicemente quella “retributiva” della legge del taglione: a tale dolore arrecato, tale dolore comminato?

Quello di Emma D’Aquino è un racconto accurato, distaccato, controllato nei dettagli, cesellato, da cronista, realizzato con grande sensibilità.

Ha indagato, scrutato, osservato Nino Marano.  Un delinquente senza affiliazioni a clan mafiosi, orgoglioso, una sorta di “one man show”, che tra un penitenziario all'altro diventa più volte assassino. 

Ci sono diversi aspetti che colpiscono di lui. Nelle sue parole si evince una sorta di morale, la sua “morale senza morale”. Qualcosa di primordiale, atavico che origina nelle sue umili e sfortunate origini, in un evidente ’assenza di cultura civica.

Alla base una sorta di "male necessario," che Nino considera come un'arma di  legittima difesa contro le ingiustizie che toccano lui, ma anche altri. E per Nino la legittima difesa ammette la violenza.
 

“Dalle frequentazioni con Nino ho imparato che agisce in base ad un codice etico particolare e personalissimo, fatto di rispetto per gli innocenti, che proprio in quanto tali non vanno toccati ma salvaguardati (e le guardie carcerarie appartenevano a questa categoria).” scrive Emma D’Aquino. E continua: “Credo che sia stato vittima della sua incapacità di distinguere in modo nette il bene dal male, senza sfumature, senza contaminazioni. Vittima del suo ruolo di censore che ha creduto di assumere , all’interno di un mondo privo di regole morali”.

E accanto a quest’uomo, lontana ma intimamente vicina, una donna: la moglie. Sarina non lo abbandonerà mai e le parole di Nino per lei ricamano amore. Le pagine su questa coppia, sui loro figli, sono molto intense. Dunque  un uomo spietato, ma anche profondo e attento verso la moglie Sarina che lo ama, riamata.

Viene spontaneo chiedersi: ma è diventato violento in carcere, o lo era già prima? E se fosse nato in un altro contesto sociale sarebbe stato lo stesso uomo? Poteva la sua vita prendere una strada diversa?

Ed è  evidente che non siamo tutti uguali nelle condizioni di partenza e questo si dimentica troppo spesso. E’ evidente che quel carcere non ha certo aiutato Marano a “redimersi”, come vorrebbe la legge italiana e in linea con le risoluzioni internazionali, nel rispetto della dignità umana. Invece il detenuto viene lasciato solo in una sorta di giungla.

La pena per lui sembra diventare lo stimolo per nuovi scempi.  Non esiste quindi alcuna speranza per Nino Marano? Non è così, anche lui ha avuto le sue possibilità, soprattutto negli ultimi anni, mentre il carcere italiano piano piano cambiava, alcune persone lo hanno aiutato.

Alla fine del libro due capitoli. Uno intitolato “La Metamorfosi”, l’altro la “La Professoressa Gioia. 

“La mia rinascita è frutto di un lavoro lento, e per questo devo ringraziare chi in questi anni di carcere mi ha aiutato a capire, a guardarmi dentro, a essere l’uomo che sono oggi. Gli insegnanti, i volontari, i direttori. Allo stesso tempo, non credo davvero che quanto mi è accaduto sia tutta colpa mia, e per gran parte di quello che ho fatto in carcere, nelle carceri di quegli anni, non posso davvero dirmi pentito”. In queste parole il ritratto di un un uomo pieno di contraddizioni, orgoglioso, ma in un “inferno di ricordi” come scrive l’autrice. 

Il libro ci lascia però con un senso di speranza, al di là della tragica vicenda che racconta. Si può fare un percorso di ‘redenzione’. Le domande, su come si vive e si costruisce la vita  dietro le sbarre oggi, rimangono però tante.

Concludo con un invito,  quello di leggere il bel libro di Emma D’Aquino. Per riflettere su tante sfumature intrise di umanità..

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Ancora un giro di chiave: Nino Marano. Una vita tra le sbarre
di Emma D’Aquino 

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