Delirious Naples: Hofstra University punta i riflettori su Napoli

Daniele Demarco (November 18, 2011)
Più di quaranta esperti si sono riuniti nel campus universitario di Long Island per presentare il capoluogo partenopeo al pubblico americano. L’iniziativa, organizzata da Pellegrino D’Acierno e Stanislao Pugliese, durerà quattro giorni e si concluderà, Sabato 19 Novembre, alla Casa Italiana Zerilli Marimò.

In una delle fasi più critiche per la città di Napoli, da ormai diciassette anni invischiata in un’emergenza rifiuti della quale non si riescono a prevedere ancora gli esiti, c’è chi, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, guarda al capoluogo campano come a un epicentro di musica, di letteratura e di cultura. È Pellegrino D’Acierno, professore di letteratura comparata alla Hofstra University. Per amore di Napoli, la città in cui ha studiato quando risiedeva in un appartamento alla Riviera di Chiaia, D’Acierno, insieme al collega Stanislao Pugliese, è riuscito a mettere insieme una equipe composta da più di quaranta intellettuali che condividono i suoi stessi sentimenti. Ci sono voluti diciotto mesi per accorpare questa sorta di “Dream team”, ma, alla fine, gli sforzi hanno prodotto un risultato. Il 16 Novembre si è, infatti, riunita, nel Cultural Center della Hofstra University per dare inizio a una vera e propria maratona culturale che durerà, quasi senza sosta, fino a sabato 19 Novembre. Il titolo dell’iniziativa è altisonante ed evocativo: “Delirious Naples”. Questo nome, ha spiegato D’Acierno nel corso della sua prolusione introduttiva, intende essere un inno a tutte le contraddizioni di una città che, quasi come un labirinto, sembra nascondere i propri segreti e si ribella a qualsiasi tipo di interpretazione. È la Napoli che parla con la voce della Sibilla Cumana, la Napoli che ha stregato veri e propri giganti del pensiero come Goethe, Nietzsche e Walter Benjamin. Una Napoli che merita di essere conosciuta al netto degli stereotipi e dei luoghi comuni.

L’iniziativa dei professori D’Acierno e Pugliese diventa tanto più meritoria se si tiene presente la considerazione di cui gode il capoluogo campano nell’opinione pubblica estera. Pochi degli studenti presenti nel campus prendono parte a un evento che sembra principalmente diretto a un pubblico di specialisti. Pochissimi conoscono realmente Napoli come città di cultura al pari di Roma, Firenze o Venezia. Molti la associano a meraviglie paesaggistiche che in realtà si trovano al di fuori dei confini cittadini come Capri, Pompei ed Ercolano. Altri, invece, la associano agli steriotipi della pizza e del mandolino, se non addirittura a quelli dell’immondizia e della malavita organizzata. C’è persino chi, come Michael, 26 anni, studente alla Facoltà di legge, si chiede se Napoli non sia una città del Sud della Francia. Eppure Michael, che studia per diventare avvocato, appare perfettamente informato sui recenti sviluppi della politica italiana. Conosce Mario Monti e sa tutto delle vicende del Presidente uscente Silvio Berlusconi. Se anche questa giovane promessa del sistema universitario americano, avesse preso parte all’incontro organizzato presso il Cultural Center della Hofstra University avrebbe sicuramente scoperto un universo sconosciuto: Napoli una delle città più importanti e belle dello stivale, una metropoli che, come ha detto Fred Gardaphè, professore emerito di “Italian and Italian American Studies” al Queens College di New York, “è stata tra le più ricche e colte di Europa”; la patria di Giordano Bruno e Giambattista Vico.
 

È, vero, la città ha anche vissuto tempi duri: quelli dell’immigrazione, del terremoto e del colera. La sua gloria è caduta tanto in basso che, come ricorda ancora Gardaphè, qualcuno si è potuto permettere di urlare in senso dispregiativo “Ma vaffannapoli” (Go to Naples), quasi per dire “Ma va all’Inferno” (Go to Hell). Tutto ciò, però, non ha tolto nulla al patrimonio nascosto e al potenziale ancora inespresso del capoluogo campano. “Un tempo – ha detto il professor D’Acierno – la città di Napoli era un cosmos. Oggi si è trasformata in un caos-mos”. Tuttavia, ha sottolineato, Patrizia La Trecchia, professore associato di “Italian Studies”, senza le stratificazioni culturali che si addensano in quel caos, Napoli non sarebbe riuscita a produrre quelle contaminazioni che rendono la sua cultura così speciale. “Dal punto di vista culturale – ha aggiunto ancora la professoressa La Trecchia – Napoli è oggi l’antesignana di un nuovo modello di globalizzazione, una globalizzazione sud-centrica che tende ad incorporare suggestioni provenienti da tutto il Terzo mondo”.
 

È stata la musica il vero filo conduttore della prima giornata di “Delirious Naples”. La musica che ha stregato Nelson Moe, professore associato di Italiano alla Columbia University. Il professor Moe ha ricordato i tempi in cui si trovava a Napoli per studiare l’opera di Carlo Levi; le sue passeggiate per Via San Biagio dei Librai, quella celebre traversa del centro storico costellata di piccole botteghe librarie. “Di quei mesi – ha detto – ricordo soprattutto le canzoni di Pino Daniele. E’ attraverso la sua musica che ho imparato a conoscere Napoli, una città in cui sai davvero di non essere mai solo”.

Quell’esperienza partenopea ha fruttato a Moe un libro intitolato The View from Vesuvius: Italian Culture and the Southern Question. L’opera, insignita di un prestigioso premio letterario, è stata poi tradotta in italiano con il titolo Un paradiso abitato da diavoli: identità nazionale e immagini nel Mezzogiorno. Ancora musica quando, nel corso della conferenza, viene proposto un estratto del musical Scugnizzi. Musica nelle parole di Stanislao Pugliese che ricorda i cori allo stadio dopo la partita Napoli-Milan, dello scorso settembre, vinta dai padroni di casa per 3-1 rimontando un goal di svantaggio. Al termine del match, tutto lo stadio cantava ‘O surdat nnamurat, uno dei classici della canzone partenopea, ma anche l’inno d’amore dei tifosi alla propria squadra. John Monteleone e John la Barbera, entrambi musicisti di origine italiana, hanno mostrato le influenze della musica partenopea sul repertorio americano. Il primo ha addirittura ipotizzato un influsso del mandolino nel tradizionale genere blue-grass, la branca del country più aperta alle contaminazioni della musica folkloristica europea. Joseph Sciorra, Associate Director for Academic and Cultural Programs al John D. Calandra Italian American Institute, ha ripercorso le tracce lasciate dalla canzone napoletana “Core ‘ngrato” nel repertorio italiano e latino-americano, riuscendo a scovare rivisitazioni di quelle note nei film d’epoca, nelle note di artisti rap, nelle performance comiche di Franco e Ciccio e persino in uno dei più recenti espiodi dei Soprano’s.
 

La conclusione della prima giornata di “Delirious Naples” è stata affidata a B. Amore, artista e scrittrice che opera tra l’Italia e gli Stati Uniti. B., questo il suo nome d’arte, ha creato, per l’occasione, una istallazione specifica e dieci media-work aggiuntivi. Ogni singolo lavoro è stato incentrato sulla relazione storico-culturale Napoli-New York e sull’esperienza vissuta dagli immigrati del Sud Italia. Amore ha incorporato in queste opere materiali di uso comune: oggetti scovati per caso in cantine e magazzini, documenti scritti di valore storico documentaristico, lettere d’epoca e spartiti musicali. “Forse – ha detto – se questi materiali di risulta possono diventare arte un giorno potrà trasformarsi in arte anche l’immondizia di Napoli”.
 

A fine serata abbiamo incontrato Angelo Cannavacciuolo, attore e scrittore napoletano noto al pubblico della Penisola per aver recitato la parte del fratello imbranato di Marina Suma in Sapore di mare (1983), uno dei film più popolari della commedia all’italiana diretto e prodotto dai fratelli Vanzina. Col tempo Cannavacciuolo, è riuscito a scrollarsi di dosso quel ruolo ingombrante e ad imporsi all’attenzione della critica come regista e romanziere. Il suo ultimo libro, Le cose accadono, pubblicato nel 2008, è stato insignito del prestigioso Premio Domenico Rea per la narrativa. Cannavacciuolo sarà fra i protagonisti della seconda giornata di “Delirious Naples”. L’evento sarà incentrato sulla letteratura partenopea da Matilde Serao ad Anna Maria Ortese e Fabrizia Ramondino. Cannavacciuolo cercherà di spiegare al pubblico americano e italo-americano l’importanza del loro punto di vista in una lettura complessiva della città che riesca a rendere giustizia della sua vera anima. “Abbiamo bisogno – ha detto – di un occhio esterno che ci osservi e riesca a mettere a fuoco tutti quegli aspetti del nostro essere napoletani che noi abbiamo interiorizzato e non riusciamo più ad interpretare. L’immagine della città che ci arriva riflessa dall’altra sponda dell’Oceano può aiutarci a comprendere meglio noi stessi. Anche gli sforzi che oggi sono stati compiuti per tentare di tradurre al pubblico presente in sala alcune espressioni tipiche del dialetto napoletano, possono diventare per noi un ottimo strumento di auto-analisi e auto-critica. Ci sono infatti locuzioni, luoghi comuni, proverbi, frasi di antiche canzoni che noi oggi ripetiamo quasi meccanicamente senza comprenderne più il senso. Ma nel loro significato è racchiusa la vera anima della città”. “Da questo punto di vista – ha continuato Cannavacciuolo – una manifestazione come Delirious Naples può insegnarci davvero molto”.

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