Trump questa volta non c’entra! Il vero motivo del rimpatrio dei 'Soviet Soviet'
Entrare negli Stati Uniti non è - soprattutto dopo l'attentato alle Torri Gemelle - un processo facile per uno straniero che non è un semplice turista. E si sa, con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, si prospettano tempi ancora più difficili. L’ordine esecutivo sull’immigrazione firmato la settimana scorsa non promette bene.
Ma entrare negli Usa certo non è impossibile, se si è in regola e si seguono le procedure giuste. Purtroppo non è andata così per Alessandro Costantini, Alessandro Ferri, Andrea Giometti, i tre componenti della band pesarese Soviet Soviet. Arrivati negli Stati Uniti, per un tour promozionale americano ed invitati ad un festival in Texas, sono stati respinti alla frontiera e rimpatriati in Italia dopo aver trascorso una notte in reclusione.
La vicenda
Arrivati a Seattle mercoledì 8 marzo con un ESTA, il permesso temporaneo di visita negli Stati Uniti con durata di 90 giorni, i tre componenti della band italiana non sono infatti riusciti a passare i controlli della Customs & Border Protection. Dopo 4 ore di colloquio in aeroporto le autorità di frontiera hanno deciso di rimpatriarli in poche ore. Il motivo addotto: non hanno i requisiti appropriati per entrare in territorio statunitense.
La band ha comunicato l’accaduto il venerdì sulla propria pagina di Facebook: “Siamo atterrati a Seattle il pomeriggio dell’8 marzo. Ci siamo presentati ai controlli passaporti muniti dell’Esta, della lettera della nostre etichetta americana (con la quale il proprietario della label dichiarava che avremmo avuto una serie di concerti solo a scopo promozionale e non percependo pagamento) e l’invito scritto del SxSw di Austin. (…) Siamo stati tutti richiamati e sottoposti a tre interrogatori divisi in tre piccole stanze dell’ufficio. Abbiamo fatto in modo che gli agenti parlassero direttamente anche con il proprietario dell’etichetta americana senza ottenere alcun successo. Dopo quasi quattro ore di domande ci hanno letto il verdetto: avevano deciso di rimandarci in Italia e di negarci l’entrata negli Stati Uniti. Ci hanno dichiarato immigrati clandestini anche se la nostra intenzione non era quella di trovare lavoro sul suolo americano né tantomeno quello di non tornare in Italia. (…)”
Quello che ha stupito di più i componenti della band Soviet Soviet sarebbe stato il fatto che a loro era stato assicurato di poter usare l’ESTA, in quanto non avrebbero percepito nessun compenso. Secondo gli stessi però il motivo scatenante del diniego d’ingresso sarebbe stato il fatto che in due luoghi, in cui avrebbero dovuto suonare, il concerto era a pagamento.
Si legge infatti sempre nel messaggio di Facebook:
“Siamo partiti con tutti i documenti del caso, i passaporti e le varie dichiarazioni con le quali chiarivamo che il nostro tour era solo per promozione e non per guadagno. Sapevamo che se avessimo percepito un compenso avremmo dovuto fare il visto lavorativo. Non era questo il caso e le fonti che avevamo consultato ci avevano tranquillizzato al riguardo. Non avevamo nessun fee concordato e il concerto alla radio KEXP non era di certo a pagamento. Il punto è che gli agenti controllori, facendo un rapido check dei concerti, si erano accorti che l’entrata a due di essi era a pagamento e questo fatto bastava per obbligarci a presentarci con i visti da lavoratori invece che con gli Esta.
Abbiamo accettato questa decisione, anche se abbiamo provato in tutti i modi a spiegare che la situazione economica concordata era diversa, ma non c’è stato modo di convincerli. Da quel momento siamo diventati tre immigrati clandestini e siamo stati trattati come criminali.”
Il parere dell’esperta: alle band e gli artisti il permesso ESTA non va mai consigliato
Abbiamo cercato di capire meglio come stanno le cose da un punto di vista legale. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Annalisa Liuzzo, dello studio legale Liuzzo & Associati, attiva nel campo dell’immigrazione da più di venti anni.
Annalisa Liuzzo ha lavorato su moltissimi casi simili e al rilascio del visto di diversi musicisti italiani noti al grande pubblico.
“Non so abbastanza sul caso per dire se effettivamente il fatto che alcuni posti chiedevano dei pagamenti ai partecipanti dei concerti è stato il motivo scatenante del rimpatrio - ci ha detto - Potrebbe essere. Ma potrebbe anche essere stato qualcosa che hanno detto durante il colloquio. Il tempo che hanno passato prima di questo viaggio negli Stati Uniti o un qualsiasi sospetto di collaborazione passata o futura sul suolo americano. Ho lavorato con tantissimi artisti e dico sempre di prendere assolutamente un Visto. Di non entrare mai con un ESTA. Lo richiede la normativa vigente. Il più adatto in questo caso sarebbe il visto di tipo P.”
Non è una vicenda legata a Trump
In tutti i casi l’avvocato tiene a sottolineare che “questo non è un problema legato a Trump e alle sue nuove direttive, come alcuni sostengono. E’ una cosa che succede da sempre, e non cambia con le amministrazioni. Bisogna sempre fare attenzione e avere il visto giusto. Occorre sempre rivolgersi a chi fa questo di lavoro da molto tempo”.
Alla stregua di tre criminali
Oltre all’espulsione però, il trio pesarese su Facebook ha tenuto a sottolineare il “brutale” modo in cui sono stati trattati.
Sul comunicato si legge: “Abbiamo accettato la decisione ormai presa, ci hanno preso le impronte digitali e fatto le foto per il fascicolo. Ci hanno sequestrato il cellulare e non ci hanno dato la possibilità di avvisare parenti e familiari. Verso le 22.30 si sono presentati due ufficiali carcerari che ci hanno perquisito, ammanettato e portato in carcere tramite camionetta. Abbiamo passato la notte in cella scortati come alla stregua di tre criminali. Il giorno seguente, dopo aver sbrigato la procedura del carcere (foto, dichiarazione di buona salute e firme), altri due agenti ci sono venuti a prelevare. Perquisizione, manette e camionetta. Ci hanno portato all’ufficio controlli del giorno precedente dove abbiamo atteso il nostro volo di ritorno che era verso le 13.00 ora locale. Solo in prossimità della partenza ci sono stati ridati i cellulari e le borse e siamo stati scortati fino all’entrata dell’aereo. Siamo stati sollevati di esser ripartiti e di esserci allontanati da quella situazione violenta, stressante ed umiliante.”
La risposta dell’Homeland Security
A tal proposito ha rispondere è stata direttamente l’Homeland Security americana, interpellata dalla radio di Seattle KEXP (con la quale la band aveva un’intervista già concordata), spiegando come queste procedure facciano parte della legge federale dello stato e non sia stato fatto niente di diverso dalla normale amministrazione: “Quando un viaggiatore è dichiarato inammissibile, gli uomini della CBP (Customs & Border Protection, ovvero i corrispondenti americani degli agenti di frontiera) cercando tutti i modi possibili di far rientrare i viaggiatori nel loro paese di residenza il più presto possibile. Purtroppo noi non abbiamo un posto dove portare le persone in caso fosse necessario trattenerli per una notte.
E’ quindi la procedura standard di trattenerli e usare tutte le misure detentive del caso nel tragitto dall’aeroporto al luogo in cui passeranno la notte. Tutto questo in maniera sicura, umana e professionale. In nessun momento qualsiasi misura restrittiva viene usata in maniera puntava o che possa far male a nessuno”.
Una normale amministrazione? I componenti del gruppo non l'hanno trovata normale. Descrivendo l'accaduto come "una situazione violenta, stressante ed umiliante.”
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