I nove punti per il lavoro in Italia
Lo scorso 21 settembre Confindustria e sindacati hanno firmato definitivamente l'accordo interconfederale su contrattazione e rappresentanza già redatto in occasione del precedente vertice del 28 giugno scorso.
Lo hanno annunciato la presidente degli industriali Emma Marcegaglia e i leader di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti al termine di un incontro che si è svolto nella sede di Confindustria di via Veneto a Roma.
Una firma attesa da mesi con cui le parti sociali (quelle firmatarie, ovviamente) rispondono alle norme previste dall’articolo 8 della manovra economica che, sopratutto sulla parte relativa alle deroghe in materia di licenziamenti, aveva scatenato un duro coro di critiche da parte sindacale e la perplessità del mondo industriale.
Ma cosa prevede quest’intesa? Il documento elaborato contiene nove punti che vanno dalle nuove regole per la rappresentanza sindacale, alle garanzie di efficacia per gli accordi contrattuali firmati dalla maggioranza dei rappresentanti dei lavoratori, ad una sostanziale possibilità di deroghe a livello aziendale (termine che comunque non compare esplicitamente nel testo della bozza), al quadro dei contratti nazionali. Comunque, il punto più importante è quello che sottolinea la centralità delle parti nelle decisioni sui contratti e stabilisce regole precise per la rappresentatività sindacale. E, visto che l’articolo 8 della manovra prevede che le deroghe ai contratti nazionali vadano concordate con i sindacati maggiormente rappresentativi, nella pratica l'intesa risolve la questione. Tuttavia, la Cgil è decisa a voler cancellare del tutto l’articolo 8 che, comunque, prevede la possibilità di venire meno allo Statuto dei lavoratori, e in particolare all'articolo 18 che sancisce l'impossibilità di licenziare. Su questo punto la Cgil è decisa ad andare avanti con iniziative volte alla cancellazione dell'articolo 8, vista come un “obiettivo fondamentale” per la Cgil. “L'ipotesi su cui ci stiamo muovendo è quella del ricorso alla Corte Costituzionale”, conclude Susanna Camusso.
L’accordo interconfederale tra l’altro prevede meccanismi precisi per la rappresentatività sindacale: ad esempio, un sindacato per firmare un contratto deve avere almeno il 5% degli iscritti in quella categoria. Inoltre, un contratto aziendale deve essere controfirmato da rappresentanze che abbiano almeno nel complesso il 50% degli iscritti fra i lavoratori di quella società; il contratto può essere sottoposto a referendum. Tuttavia l’accordo, pur prevedendo i contratti aziendali, sottolinea che il riferimento resta comunque il contratto nazionale, che garantisce “la certezza dei trattamenti economici e normativi per tutti i lavoratori del settore”.
Dopo la firma dell’accordo, le parti hanno rilasciato un breve comunicato in cui si sono impegnate inoltre a “far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto concordato e che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all'autonoma determinazione delle parti”. Susanna Camusso, segretario della Cgil ha sottolineato che i rapporti tra le parti non sono, quindi, materia del governo: “Abbiamo detto a questo governo che non può interferire – ha aggiunto la leader Cgil – l'art.8 non è la strada con cui si costruiscono le relazioni sindacali”.
Questo accordo chiude una stagione di separazione tra Confindustria e sindacati. In particolar modo, il fatto che questo accordo sia arrivato dopo quattro anni in cui la Cgil non aveva più firmato un accordo unitario, segna una fase nuova per la Confederazione. Non ha nascosto la propria soddisfazione Emma Marcegaglia, la quale ha espresso la volontà di “andare avanti tutti insieme”. Giudizio condiviso anche dai segretari di Cisl e Uil, nonché dal segretario della Cgil Camusso che ha dichiarato: "Abbiamo superato una stagione di divisione conseguente, anche, alla ristrutturazione della contrattazione. Abbiamo dato un contributo a rimettere il valore del lavoro e la centralità della contrattazione all'attenzione del nostro Paese e dei lavoratori".
La firma dell’accordo da parte dei segretari Bonanni (Cisl) e Angeletti (Uil) non ha sorpreso più di tanto, dal momento che sin dal referendum voluto a Pomigliano e Mirafiori da Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, questi due sindacati si erano dichiarati disponibili a sottoscrivere qualsiasi proposta elaborata dagli industriali. Ha sorpreso, invece, la firma della Camusso che, dopo appena quindici giorni dallo sciopero generale dello scorso 6 settembre, sciopero che aveva portato in piazza con la Cgil milioni di lavoratori, con quest’intesa emargina la Fiom (Federazione Italiana Operai Metallurgici), l’ala più “dura” del sindacato e rischia di creare contraddizioni all’interno della Confederazione stessa. Infatti, già a giugno, dopo il primo assenso all’accordo con Confindustria, c’era stato chi aveva criticato l’operato del segretario Camusso dal momento che, pur avendo ottenuto la certificazione della rappresentatività delle sigle sindacali, apriva, di fatto, la strada ad una subordinazione del contratto nazionale ai contratti aziendali, per di più restringendo gli spazi di democrazia sui luoghi di lavoro, prevedendo solo in alcune occasioni la possibilità per i lavoratori di esprimersi sui contratti attraverso i referendum. Tant’è che il segretario della Fiom, Landini, aveva chiesto da subito alla Confederazione di “ritirare il proprio sostegno e adesione all'ipotesi di accordo del 28 giugno”, richiesta rispedita al mittente. Nel frattempo, lo sciopero generale del 6 settembre ha messo in evidenza il grande potenziale della Cgil nel mobilitare i propri iscritti, nonché quelli di altri sindacati. Ecco perché adesso tutti aspettano di vedere come la firma dell’accordo con Confindustria possa influire sui futuri rapporti all’interno della Confederazione.
All’indomani della firma dell’accordo molti osservatori hanno notato come la lotta contro il governo Berlusconi abbia unito due donne da sempre su posizioni diametralmente opposte come Emma Marcegaglia e Susanna Camusso. A chiedere per prima le dimissioni del premier è stata il segretario della Cgil, che ad agosto, all'indomani della manovra, indisse lo sciopero generale per il 6 settembre e da allora continua sulla strada della mobilitazione delle piazze. Ora anche la Marcegaglia va allo scontro: “O il governo vara riforme serie e impopolari oppure deve andare a casa”, ha detto pochi giorni fa, dopo il declassamento del debito dell’Italia da parte di Standard & Poor’s.
Le richieste della leader degli industriali sono chiare: “La riforma delle pensioni, una riforma fiscale che abbassi le tasse su imprese e lavoratori e, eventualmente, alzi quelle sulle cose, una grande vendita di patrimonio immobiliare, un investimento sulle infrastrutture e sulla ricerca”.
Con queste affermazioni il capo di Confindustria si fa interprete di un malumore diffuso tra gli industriali italiani nei confronti di Silvio Berlusconi e del suo esecutivo.
Da parte del governo, ed in particolar modo del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, c’è un vivo apprezzamento per la firma dell’accordo tra Confindustria e sindacati: “L'accordo definisce i criteri di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e definisce le maggioranze che rendono le intese applicabili a tutte. La legge aggiunge la sua forza per dare certezza agli accordi”. Per quel che concerne le deroghe, il ministro ha ripetuto la sua posizione, e cioè che l'articolo 8 “si limita a definire le materie che liberamente le parti possono regolare”, aggiungendo che così il sistema delle relazioni industriali si evolve verso una “dimensione di prossimità, come auspicano le autorità sovranazionali”, ha scritto il ministro nella nota, riferendosi implicitamente alla Bce e all'Ocse: cioè si dà più peso alla contrattazione aziendale. Diversa l'interpretazione che arriva da alcuni esponenti della sinistra. Per il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, la firma “è l'unico segnale positivo di fiducia, su cui puntare per una ricostruzione del Paese”. L'ex ministro del Lavoro del Pd, Cesare Damiano, si spinge oltre: “l'esigibilità dell'accordo renderà del tutto inutile l'articolo 8 della manovra, riconsegna alle parti l'autonomia delle decisioni sulle relazioni industriali, dopo le inopportune intromissioni del Governo”.
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