Il ritorno di Berlusconi

Dario Cristiani (April 15, 2008)
Berlusconi torna alla guida dell’Italia con il 47% (Pdl+Lega Nord). Il PD al 38% (con l'Italia dei Valori). La Sinistra radicale esce dal parlamento; la destra estrema non entra. L'UDC al 5,6%.


Sebbene lo scrutinio delle schede non sia stato ancora completato, il dato politico principale di queste elezioni è emerso in modo abbastanza netto già durante pomeriggio: Silvio Berlusconi torna alla guida dell’Italia. In una tornata caratterizzata da un’affluenza alle urne leggermente inferiore rispetto a due anni fa (80% contro l’83% del 2006), il blocco politico imperniato sul Popolo delle Libertà, soggetto che ha messo insieme Forza Italia e Alleanza Nazionale, coadiuvato dalla Lega Nord e dal Movimento per l’Autonomia, ha ottenuto alla Camera il 46,7% (16.764.018 voti) e al Senato 47,2% (15.386.402). Questo è il dato complessivo della coalizione. Analizzando nello specifico, il PdL ha avuto il 37,2% alla Camera ed 38,1 % al Senato, la Lega l’8,4% alla Camera e 8,1% al Senato, con degli exploit di rilievo come il dato leghista in Emilia-Romagna (7% addirittura) mentre l’MpA ha ottenuto l’1% dei voti sia alla Camera che al Senato.


Il blocco politico guidato dall’altro candidato principale di questa tornata elettorale, Walter Veltroni, è formato dal Partito Democratico e dall’Italia dei Valori di Antonio di Pietro, si è fermato invece al 37,6% (16.764.018) alla Camera e al 38% (12.387.014) al Senato. Il PD, il nuovo partito nato dalla fusione tra i Democratici di Sinistra e la Margherita e che ha rappresentato la principale novità di questa tornata elettorale, ha raggiunto il 33,2% alla Camera e il 33,7% al Senato. L’IdV ha ottenuto invece il 4,3 sia alla Camera che al Senato.


Al di fuori dei due blocchi che hanno catalizzato su di sé la larga parte dell’elettorato, sono emersi solo pochi partiti capaci di “reggere il colpo” di quella che verrà ricordata come la prima campagna elettorale “tendenzialmente bipartitica” dell’Italia. L’Unione di Centro guidata da Pierferdinando Casini si attesta come il primo partito al di fuori dei due principali schieramenti. Il partito erede della Balena Bianca Democristiana ha ricevuto alla Camera il 5,6% e al Senato il 5,7%, riuscendo però ad eleggere solamente due senatori in Sicilia, unica regione dove ha varcato la soglia di sbarramento dell’8%, su base regionale, prevista dall’attuale legge elettorale per l’elezione dei senatori.


Fuori dal Parlamento invece rimarranno, insieme alla moltitudine di sigle minoritarie candidate in questa tornata, anche la Sinistra Arcobaleno guidata da Fausto Bertinotti e la Destra-Fiamma Tricolore del duo Storace-Santanchè. Per SA, nata dalla fusione dei due principali partiti comunisti d’Italia, Rifondazione e Comunisti Italiani, i Verdi e la Sinistra Democratica, queste elezioni hanno rappresentato una pesante e, per molti versi, inaspettata debacle. Sebbene molti segnali andassero nella direzione di un ridimensionamento della sinistra radicale in termini numerici, in pochi avrebbero pronosticato una esclusione dal Parlamento sia alla Camera che al Senato di questo soggetto politico. I risultati della SA sono stati: il 3% alla Camera, dove il quorum su base nazionale era del 4%, e il 3,2 al Senato. Anche in regioni dove notoriamente questi partiti erano fortemente radicati il dato è stato fortemente deludente, come ad esempio le regioni “rosse” della Toscana (dove la sola Rifondazione Comunista viaggiava al 8,2% nel 2006 e oggi l’intera SA è al 5,2%) e dell’Emilia-Romagna (3,3% a fronte di un dato 2006 che poneva Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi, senza il dato della SD, al 10%).


L’altra “ala” invece, la Destra dell’ex governatore del Lazio Francesco Storace, ha avuto il 2,4% alla Camera e il 2% al Senato. Neanche nel Lazio, dove le forze di destra sono storicamente radicate, come nell’area Latina o in Ciociaria, la Destra ha sfondato: si è attestata in media ad un 3,3%, nonostante alcuni osservatori dessero questa formazione addirittura in odore dell’8% al Senato in questa regione.


Si delineano così dei primi elementi su cui ci sarà modo e tempo di riflettere nelle prossime settimane: nonostante un sistema elettorale particolare e da tutti accusato di essere portatore di instabilità e frammentazione, una riduzione e una semplificazione del quadro politico, sebbene nascente e probabilmente ancora fragile vi è stata. Essa è stata, probabilmente, più ampia e marcata di quanto prospettato e pronosticato: alla Camera e al Senato vi sarà posto per i due blocchi più l’UdC e alcuni parlamentari della Südtiroler Volkspartei. Mancheranno le ali estreme di sinistra e destra, non entrate in Parlamento.


Il distacco di 9 punti percentuali tra la coalizione guidata da Berlusconi e quella di Veltroni dice che la partita, in realtà, probabilmente non era mai stata apertissima, sebbene la novità PD ha modificato fortemente il quadro politico e la decisione di andare da soli ha probabilmente rimesso in gioco un blocco politico che solo fino a due mesi era considerato sostanzialmente “morto”. Si delinea una maggioranza chiara che però, come dimostrato anche dai cinque anni di governo Berlusconi dal 2001 al 2006, non significa automaticamente “capacità di governo”. Quello dipenderà dalla volontà politica e dalla capacità, da parte di Berlusconi, di imporre la “sua” agenda, non dai numeri. La presenza di una Lega forte, che ha raddoppiato i suoi voti rispetto al 2006, può rappresentare in questo senso un’incognita: qualora la Lega dovesse avere la percezione di un’azione di governo penalizzante per sé, per i suoi interessi territoriali e per il suo elettorato, probabilmente attuerà una politica orientata alla differenziazione rispetto al governo. Bossi, in passato, si è dimostrato estremamente abile nel monetizzare politicamente in questo senso “l’utilità marginale” del partito. E questo, grazie alla quantità importante di deputati e senatori eletti dalla Lega, potrà essere ancora più forte in futuro e comportare qualche problema di omogeneità e di tenuta politica del governo.

 

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