Milito nei DS prima e nel PD dopo da vent’anni. Dopo aver avviato l’attività di un piccolo gruppo di DS a New York, ho fondato con altri pazzi l’Ulivo USA nel 2002, su basi di appartenenza diretta e non attraverso i partiti che lo componevano. L’idea era di arrivare a formare un partito democratico che ispirato all’inclusività di quello americano tenendo conto della nostra storia politica. Da lì il passaggio a co-fondare il PD di New York è stato facile.
Ho sostenuto Renzi e confido che sarà un ottimo segretario, sebbene ritenga tutti i candidati molto validi: sogno un partito dove tutti e tre contribuiscano alla costruzione e attuazione di una politica di cambiamento del paese, che ne ha un disperato bisogno. Resto convinto che dobbiamo tenere il partito ancorato ai valori del centrosinistra, e per questo apprezzo molto Cuperlo, oltre che per le sua qualità umane e intellettuali sulle quali si è scritto assai.
Oltre a conoscerlo da anni, ne condivido la storia di sinistra, pur non essendo mai stato iscritto ne al PCI ne alla FGCI. Apprezzo molto anche Civati e la sua idea di partito di volontari, la sua nettezza di posizioni. La sua campagna molto inclusive è stata la più bella e la più somigliante alle campagne dei candidati americani con i quali ho collaborato, non ultimo de Blasio.
Io rivendico la militanza come sforzo di volontariato (non necessariamente d’iscrizione) e la mia adesione al partito prescinde dal suo leader e vorrei che così fosse per tutti, candidati, elettori e militanti. Spero quindi che Renzi sappia valorizzare chi ha perso e che questi rimangano a lavorare con il vincitore. Renzi è il leader di cui il PD ha più urgente bisogno perché esso ha bisogno di uno shock molto forte, non privo di costi, ma necessari.
Se da un lato serve mantenere saldi i valori del progressismo, dall’altro il PD necessita di una notevole infusione di liberalismo. Cosa che serve all’Italia, perché siamo il paese con la destra meno liberale e più corporativa dell’occidente. È possibile tenere insieme il liberalismo, l’economia di mercato - e una vera meritocrazia diffusa - con la redistribuzione, un welfare state avanzato e universale (perché oggi non lo è) e una vera uguaglianza di opportunità. C’è una gran necessità di “più sinistra”, anche perché il modello di capitalismo affermatosi negli ultimi 20 anni ci ha portato a livelli di disuguaglianza globale mostruosi. Ma se l’economia non cresce, se la meritocrazia è mortificata e la mobilità sociale è inesistente, è impossibile avviare politiche sociali e di solidarietà che funzionino. E dobbiamo anche capire che se l’austerità ci sta ammazzando, fare debito e trasferire il suo peso sulle generazioni future come abbiamo fatto finora è sbagliato. Il debito a un certo punto si paga, ed è quello che stiamo facendo, vecchi e giovani.
Vorrei un PD dove contino gli eletti ma che sia anche in grado di coinvolgere i militanti, i volontari e i simpatizzanti nell’elaborare una visione del paese e policy concrete, portando a sintesi i contributi degli eletti con quelle dei militanti. Che non sia pertanto solo un comitato elettorale e che non butti a mare i suoi dirigenti più “vecchi”, ma li sappia valorizzare, a patto che anche questi abbiano l’umiltà di fare da consiglieri e non da padroni. Non ha senso chiedere a tutta la generazione più vecchia di andarsene in blocco. Si faccia contare il merito anche in politica, indipendentemente dall’età o dall’anzianità di “servizio”. L’esperienza non può essere un disvalore: si invoca tanto l’America, ma faccio notare che ci sono senatori e deputati rieletti - in un sistema competitivo - sistematicamente da 30 anni.
Vorrei in Italia più Bill de Blasio. Che vince con un programma progressista chiaro e netto, sapendo bene che per mantenere New York la grande città più sicura d’America, serve una polizia forte, che però ricostruite il rapporto con le comunità; che vuole maggiori investimenti nella scuola statale, tenendo presente il vincolo di bilancio e non sperperando soldi pubblici; convinti che l’iniziativa d’impresa sia valore fondamentale e il ruolo del government non sia di mortificarla, ma di favorirla, inserendola in un contesto di politiche di solidarietà e di opportunità per i meno abbienti. Abbiamo un disperato bisogno non di less government (in Italia anche si) ma di smart government.
Vorrei un partito simile al partito Democratico americano, ma nei suoi aspetti migliori.
1. Osmotico con la società civile, fatto principalmente di volontari che fanno un altro mestiere, portatori di esperienze e capacità diverse, salvo essere eletti (e DEVONO fare solo quello), ma che abbia un minimo di struttura snella e professionale. Uno staff non in attesa di diventare un giorno un politico ma lo faccia per professione. Il PD dovrebbe avere un manager che si occupi degli aspetti gestionali e non politici. Come l’Executive Director del DNC, che non fa anticamera per diventare parlamentare. Serve una vera divisione del lavoro, più professionalità e meno professionalissimo.
2. Che il legislatore intervenga nella regolazione dei partiti fissando standard minimi di democrazia e trasparenza (ne parlai in direzione di marzo) e primarie per legge. Senza il cambiamento del contesto istituzionale non risolveremo mai il corto circuito di un partito che fa elezioni aperte per eleggere i suo leader - unico fra i partiti italiani a farle mentre gli altri ti danno picche - e crea un conflitto fra iscritti e non iscritti.
3. Primarie come parte integrante della legge elettorale almeno per tutte le cariche esecutive ma il leader del partito sia eletto dagli iscritti o da elettori registrati in un albo certo ex ante, che comporta un minimo di sforzo. A quando un’iniziativa pesante del PD in parlamento?
4. Riforma radicale del finanziamento pubblico ai partiti: no all’abolizione totale, ma principio dei “matching funds”, cioè finanziamento privato coadiuvato dal finanziamento pubblico, ai candidati e non alle strutture di partito. Oggi i soldi dei rimborsi elettorali vanno al partito centrale invece che ai candidati, mentre in America il rapporto è ribaltato. Attenzione però a cosa s’importa: per esempio la legislazione statale di New York è pessima, mentre un’ottima legge è quella della città di New York (anche questo lo suggerii alla direzione di marzo scorso): il finanziamento si fonda su donazioni individuali non deducibili (non lo sono in nessuno stato). La donazione massima è di $4.950 sia per la primaria che per la generale. Sono vietate le donazioni da società e c’è un tetto massimo di spesa. Per ogni dollaro donato fino a un massimo di 175, il comune versa al candidato 6 dollari: se verso $300, il candidato ne riceve dal comune altri 1050=175x6. Totale 1350.
5) Battaglie chiare e nette sui diritti civili, per esempio sui matrimoni egualitari (dal bellissimo titolo della legge sui matrimoni gay di NY State chiamata appunto, “Equal Marriage Rights” e non Same Sex Marriage Rights).
6) Basta con la perenne guerra fratricida: ci si scontra duramente ma il giorno dopo ci si unisce attorno al vincitore. Credo nel partito come comunità di persone che condividono valori fondamentali: si fa parte della stessa famiglia e si lavora insieme il giorno dopo le elezioni per il bene del paese. Ci vuole la consapevolezza che esiste qualcosa che ci accomuna che è molto più grande di noi stessi e dei leader che sosteniamo. E l’umiltà di sapere che la perfezione non può essere la nemica del miglioramento come ci ha spiegato il presidente Obama.
Si tratta di cose che dico, scrivo, ma soprattutto pratico, da almeno oltre un decennio, nella politica italiana e in quella americana. Il mio mantra resta sempre, per il partito, per il Paese e per il mondo: We are all in it together is a much better philosophy than you’re on your own (Bill Clinton, Convention 2012).
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Gianluca Galletto, consulente finanziario, co-fondare il PD di New York. Pugliese di Grottaglie, MBA a Yale, da 15 anni vive e lavora a New York. È stato candidato alla Camera capolista per il PD circoscrizione Nord Centro America.
Ha lavorato nella campagna di Bill De Blasio per l’elezione a sindaco di New York.