Articles by: M. D.

  • Fatti e Storie

    La mia casa è dove sono. E l'Italia dove va?

    Igiaba Sciego e' una ragazza che ama il caffe’, i vecchi film di Mastroianni, Va Pensiero ed il cibo italiano, ma che sa pensare anche al presente, guardare al futuro. E’ di orgini somale. Nella sua biografia si mescolano tanti elementi, come in un puzzle che racconta la società di oggi. Anche quella apparentemente più scomoda.

    Ha infatti una storia personale che intreccia culture e paesi diversi: un padre proveniente dalla citta’ costiera di Brava e una madre cresciuta in una comunia’ nomade africana, basata su una complessa tradizione culturale orale.

    Igiaba Sciego parla italiano, somalo e inglese. E’ cittadina italiana. Vive a Roma, citta’ di cui ama profondamente l’antica storia. Si e’ laureata in Spagna.

    E’ giornalista e scrittrice. Lavora per varie testate nazionali come La Repubblica, Il Manifesto, Internazionale, Corriere Immigrazione.

    “La mia casa e’ dove sono” e’ l’ultima sua fatica. Il libro, edito da Rizzoli,  e’ stato raccontato proprio da lei, presso la Casa Italiana Zerilli-Marimo’  in una presentazione che ha toccato temi controversi come multiculturalismo, integrazione (parola non troppo amata dalla Sciego) e diritti negati.

    E' stata una presentazione che ha fatto riflettere e vedere,  attraverso i suoi occhi, un Italia che arranca, che non sa guardare al presente “siamo bloccati in un periodo storico. Nel periodo di Mastroianni e Gianni Morandi. “ ha esclamato Igiaba. La mia casa e' dove sono ... ascoltandoal veniva da chiedersi: dove va l'Italia?

    Quella che racconta Igiaba e’ un’Italia diversa, un’Italia fatta di storie sommerse e dimenticate, un’Italia che a fatica riesce a staccarsi dal suo passato coloniale per aprirsi a i cambiamenti di una societa’ sempre piu’ multiculturale e diversificata.

    “La mia casa e’ dove sono” porta alla luce tutte realta’ senza voce: esperienze e ricordi personali, racconti di immigrati che contribuiscono a costruire il nostro paese ma che sembrano abbandonati ad un destino di diritti negati e indifferenza.

    Igiaba descrive l’Italia come un paese di stereotipi e contraddizioni. Lo fa con una lucidità straordinaria, evitando pesantezze, usando anche ironia e lasciandoci pensare un secondo subito un attimo dopo aver sorriso. Italia  un“Bel Paese” di “italiani brava gente” un paese di troppi nostalgici e bloccati ad una concezione di famiglia e societa’ “monocolore e monoculturale”, come lei stessa afferma.

    E intreccia i suoi ricordi ed i piani di due mondi non troppo lontani. “L’Italia e’ dappertutto a Mogadiscio, nelle piazze, nelle vie; Mogadiscio e’ ovunque a Roma. Prendiamo ad esempio viale Somalia, racconta: perche’ si chiama cosi questa importante arteria romana? Se ne ignora il perche’. Ci dicono a scuola “siamo stati bravi a fare i ponti, gli acquedotti, le fontane”, ma non si va mai oltre la storia coloniale.  C’e’ invece molto di piu’.

    Con voce ben ferma la Sciego legge passaggi della sua opera e di articoli pubblicati in passato. La Roma che descrive e’ una capitale senza piu’ gloria, una citta’ che, lontana dai flash di turisti ammaliati,  un luogo che vive situazioni di disagio e sofferenza.

    E’ una Roma raccontata da “sagome immigranti” che popolano l’autobus 105, che dalla stazione Termini arriva fino a Grotta Celoni, periferia romana. “Un groviglio di corpi dove i continenti si sfiorano. Il ragazzo cinese dal viso stanco seduto affianco ad un nordafricano di mezz’eta’. Odore di curry, cipolla che si mescola a tante storie”.

    Igiaba riesce a trasportare il pubblico della Casa Italiana dentro l’autobus 105. Fa vivere l’atmosfera, guardare dentro e fuori, li tra una fermata e l’altra nella periferia romana.

     E’ un’attivista, che vuole sensibilizzare.  Lo sa fare. Cosi’ come coloro che sono impegnati nell’associazione G2, seconde generazioni che da anni si battono per il cosiddetto ius soli, ovvero per garantire la cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati sulla penisola.

    Tra una lettura e l’altra la scrittrice mostra diversi clip video.

    Spot pubblicitari e brani di film che con noncuranza usano immagini e linguaggi legati a stereotipi sul colore della pelle e sulla carica sessuale ed erotica del corpo della donna.

    “l’Italia non e’ razzista”, afferma Igiaba ,“ma e’ ancora legata a concetti e strutture ideologiche degli anni ’60 che rendono tollerabile alcuni preconcetti che in altri paesi sarebbero considerati come del tutto inaccettabili”. In Italia non ci rendiamo neanche conto di quanto siano pericolosi quegli stereotipi.

    Non manca il riferimento alla politica e alle polemiche sorte dopo gli insulti razzisti al Ministro Kyenge, a dimostrazione di come certe dinamiche sono addirittura presenti all’interno del nostro Parlamento.

    Conclude la conferenza citando Martin Luther King: “I have a dream, quello di vivere in una nazione di cui tutti possano essere orgogliosi. Una nazione che riesca a distruggere gli stereotipi coloniali e dove tutti possano avere uguali diritti”.

  • “OPEN ROADS”: questo è il nuovo cinema italiano

    Il Lincoln Center parla italiano dal 6 al 12 Giugno  con  “Open Roads: NewItalian Cinema”. Tutto questo grazie alla collaborazione della Film Society con l’Istituto Luce-Cinecitta’-Filmitalia e con il supporto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e soprattutto all'intenso lavoro di Antonio Monda.

    Si tratta della ormai consolidata rassegna di cinema italiano che, dal 2001, apre la strada a films e filmakers contemporanei del “Bel Paese” nel vasto panorama degli Stati Uniti, portando sul grande schermo del Lincoln Center giovani registi emergenti  al pari di pluripremiati direttori.

    Parliamo dunque di un’importante vetrina che, con l’ulteriore supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di New York e della Casa Italiana Zerilli-Marimò, apre questo tredicesimo anno con la proiezione di 11 pellicole su i più svariati temi.
     

    Tanti sono anche gli incontri con registi ed attori: nella giornata di venerdi 7 la Casa Italiana ha ospitato una tavola rotonda con la partecipazione di 8 registi su gli 11 in mostra, mediata dal suo Direttore Stefano Albertini e da Antonio Monda, co-curatore del festival. Appassionante dibattito che ha interrogato i filmakers sullo stato attuale del cinema italiano, svelando curiosita’ e retroscena  della produzione di ogni film. 
     

    A prendere la parola Marco Bellocchio, regista de “La Bella Addormentata”, pellicola che narra gli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro, nella  cornice di un paese diviso tra coscienza laica e civile sul tema dell’eutanasia. “Nel 1965 si producevano in Italia 200 pellicole in un anno. Nel 2012 ne sono state prodotte 70”, statuisce il regista piacentino, in una dissertazione che tocca i temi della crisi attuale ma allo stesso tempo della proliferazione di ottime pellicole nonostante la produzione a basso costo.
     

    Come ci spiega Maria Sole Tognazzi, in mostra con “Viaggio da Sola”: “Il mio puo’ essere considerato un film a basso costo che e’ riuscito a prendere vita grazie ad un idea geniale. Parlando della difficile vita, tra solitudine e carriera, di un’ispettrice anonima di Hotel di lusso e dovendo ambientare dunque gran parte del film all’interno di strutture alberghiere, siamo riusciti a trovare una partnership con una famosa catena. Considerando questi il mio film un’ottima pubblicita’ per i loro hotel, ci hanno offerto a zero costo tutte le location e l’alloggio per la troupe”.
     

    L’ottimismo e la rinascita del cinema italiano vengono fuori dalle parole di Giovanna Taviani, al Lincoln Center con “Il Riscatto”. C’e’ nuova vitalita’, entusiasmo, sia nello stile che nel linguaggio, forse anche alla presenza di molte registe donne.
     

    Le “quote rosa” presenti all’Open Roads sono ben quattro. Oltre alle gia’ citate Tognazzi e Taviani, sbarcano a New York Elisa Fuksas, al suo primo lungometraggio “Nina”, riflessioni di una ragazza nella cornice dell’EUR e Susanna Nicchiarelli con “la Scoperta dell’Alba”, storia di una donna che indaga sull’uccisione del padre avvenuta anni prima ad opera delle Brigate Rosse, riadattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Walter Veltroni.
     

    E’ dunque tema ben presente quello della donna in questa edizione, insieme ad un altro leitmotif, gia’ presente negli anni passati, ovvero la scoperta sul grande schermo di storie ed esperienze legate alle regioni italiane. Di scena la Sicilia e la Sardegna, rispettivamente con “E’ Stato il Figlio” di Daniele Cipri, grottesca rappresentazione di una famiglia siciliana e “Bella Mariposas” di Salvatore Mereu, ambientato in un vecchio quartiere di Cagliari e vede come protagonista una ragazzina dodicenne.
     

    Sottolineando l’abilita’ e l’eccellenza degli artigiani dell’industria del cinema italiano, come costumisti, hairstylist e makeup artist, richiestissimi nella macchina hollywoodiana, Monda introduce il curioso documentario di Guido Torlonia, “Handmade Cinema”. Un viaggio nel celato mondo di chi lavora dietro le quinte del cinema, rendendo possibili capolavori di fama internazionale.
     

    Dai contorni strambi, ironici e quasi “parossistici”, come lui stesso definisce la propria creatura, Papi Corsicato si presenta al pubblico di New York con “Il Volto di un’altra”, pellicola che usando il mondo della chirurgia plastica, introduce la metafora del voler cambiar faccia per cambiare se stessi.
     

    Non presenti al dibattito, ma in proiezione in questa strepitosa settimana dedicata al cinema italiano, Paolo Virzi’ con “Tutti i Santi  Giorni”, commedia italiana sull’amore e Gianni Amelio con “Il Primo Uomo”, dove “rubando” i ricordi di un giovane Albert Camus, porta in scena un adattamento dell’ultimo romanzo di questo grande scrittore.

    Settimana questa da non sottovalutare, dove l’Italia e’ in prima linea di fronte al colosso dell’industria cinematografica americana. Un dualismo Davide-Golia, dai risultati non del tutto scontati.

     
     
     

  • "Stradivari is Back". Amore e professionalità per la musica

    “Quella che vi narro oggi e’ la storia di un pezzo di legno. Un pezzo di legno che trasformato diviene musica per sempre”, introduce Fabio Ognibeni, proprietario della Ditta E. Ciresa S.R.L., ospite alla Casa Italiana Zerilli Marimò.

    Non si tratta certo della favola di Pinocchio, ma di una storia che, allo stesso modo, unisce insieme passione, creatività  e, perchè no, un pizzico di magia.
     

    Fabio Ognibeni è un imprenditore artigiano che vive in Val di Fiemme, amena comunita’ in  Trentino Alto Adige, e da piu’ di 35 anni  con la sua azienda, fondata nel 1952, si occupa della produzione delle piu’ prestigiose tavole armoniche per la costruzione di strumenti musicali. Definendo il suo lavoro come “magico”, Ognibeni non puo’ che raccontare la sua favola partendo proprio dai boschi di questa valle, che da piu’ di 300 anni forniscono legno di risonanza per i più importanti violini, pianoforti e clavicembali.
     

    L’Abete rosso della Val di Fiemme e del Bosco di Paneveggio, noto gia’ ai liutai del 1500 ed utilizzato dal celebre Antonio Stradivari, è un albero di “risonanza” ovvero il suo legno ha specifiche proprieta’ di amplificazione del suono, rendendolo legno atto per la costruzione di tavole armoniche degli strumenti a corda.

    Continuando la tradizione dei più antichi maestri artigiani, la Ciresia sceglie, stagiona e lavora questo legno di quasi 200 anni, con passione e professionalità. Come spiega Ognibeni, la ricerca scientifica è alla base del suo lavoro, in quanto non tutti gli abeti della valle sono utilizzabili per la costruzione delle tavole. In un territorio di 20.000 ettari ed ad un’altitudine di 1500 metri, solo due alberi su 1000 sono “alberi che cantano”. Compito di tali artigiani e’ ispezionare e quindi selezionare solo i migliori tronchi, non tralasciando il rispetto dell’ambiente attraverso metodi di abbattimento e sistemi di coltura che gli attribuiscono certificati di ecosostenibilità.
     

    La creatività e la passione non si ferma qui. Ognibeni ha l’onore di presentare per la prima volta negli Stati Uniti il suo nuovo progetto, “Opere Sonore”, un’innovazione che coniuga artigianilità, design e teconologia.
     

    “Opere Sonore” sono delle vere e proprie opere d’arte interamente realizzate a mano che, partendo dal concetto che in uno strumento e’ il legno che funge da cassa di risonanza, collegate con dispositivi elettrici che leggono supporti audio (iPod, lettori cd), regalano all’ascoltatore una diffusione del suono “surround” unica nel suo genere.
     

    Il pubblico in sala, inizialmente basito da come un semplice pezzo di legno possa fungere da amplificatore sonoro, non tarda a convincersi quando la musica invade la sala della Casa Italiana. Un suono pulito, limpido che non vincola ad una specifica posizione d’ascolto, cosa che succede invece con le normali casse.
     

    Non tralasciando la maestria dei liutai trentini nella creazione di queste sculture sonore, per le quali servono quasi 200 ore di lavoro.
     

    E’ dunque una storia quella di Ognibeni e della Valle di Fiemme, che merita di essere conosciuta anche oltreoceano. Una storia di amore e tradizione che porta la musica ai piu’ alti livelli in tutto il mondo da secoli. E se passate da quelle zone, tendete un orecchio. Dicono che gli alberi possano cantare.

  • Arte e Cultura

    Umbria. Settimana Jazz con una regione che non smette di stupire

    Se diciamo Jazz qual è la prima cosa che viene in mente? New Orleans, Louis Armstrong, voci black. Ben pochi infatti sanno dell’importante contributo italiano alla nascita e allo sviluppo di questo genere musicale. Niente panico, ci pensa l’Umbria Jazz a ricordarcelo, con la sua settimana di musica targata Italia nello storico palco del Birdland dal 4 al 9 Giugno.

    All’ENIT si e’ aperta nella giornata di lunedi l’Umbria week,  all’interno del programma di promozione delle esperienze territoriali italiane “Italy Forward”, attivato dal Ministero degli affari Esteri e dal Dipartimento di Stato Americano.

    A spiegare le iniziative attuate per celebrare questa magnifica regione, presenti l’Assessore Regionale Fabio Paparelli, il Direttore Artistico dell’Umbria Jazz, Carlo Pagnotta e Renzo Arbore, presidente del celebre festival musicale.
     

    A partire da martedi 4 Giugno sono esposte le ceramiche dell’artista Michele De Lucchi, dopo un mese di esposizione a San Pietroburgo, nelle sale dell’Italian Trade Commission e, in occasione di un workshop per scoprire le tradizioni enogastronomiche umbre, sono presentate, all’interno del progetto Umbria App e Umbria Digital Edition, diciannove App e sette e-book per semplificare l’offerta turistica.

    Tutte iniziative che culminano con un’intera settimana di concerti che portano a New York le piu’ grandi star della musica Jazz italiana. E’ proprio Renzo Arbore a voler sottolineare l’influenza degli artisti italiani nel panorama Jazz mondiale con la presentazione del suo documentario “Da Palermo a New York E Fu Subito Jazz”, proiettato all’Istituto Italiano di Cultura.

    Il documentario, diretto da Renzo Arbore e da Roberto Di Blasi purtroppo scomparso di recente, racconta la formidabile storia di Dominic James “Nick” La Rocca, musicista figlio d’immigrati siciliani che registro’ il primo disco nella storia del Jazz.

    L’amore e la passione di Arbore per questa musica e la sua volonta’ di rendere nota a tutti una verita’ storica da molti ignorata, prende forma nel suo viaggio tra New Orleans, New York, Chicago e Salaparuta (Sicilia), testimoniato nel documentario.

    Raccogliendo immagini, suoni e frammenti di vita vissuta, lo spettatore viene catapultato alla fine dell’800, in una fitta rete di storie di emigranti siciliani che, tra difficolta’, poverta’ e determinazione, partivano alla ricerca del grande sogno americano. Fondatore de “The Original Dixieland Jazz Band”, Nick La Rocca fu colui che rivoluzio’ la musica Jazz, prima di allora espressa nelle forme solenni del ragtime, introducendo energia e frenesia. Per alcuni critici addirittura anticipo’ il motivo di successo dei Beatles.

    Renzo Arbore non si limita a celebrare esclusivamente il giovane italo americano e non dimentica gli altri grandi italiani che hanno lasciato la loro impronta nel Jazz americano.

    Eddie Lang, abruzzese di origine, grandissimo chitarrista, Louis Prima, siciliano (come la maggior parte dei musicisti) che mixando jive, swing e testi con inflessioni prese dal dialetto siciliano, creò un nuovo trend musicale seguito all’epoca e Tony Scott, pseudonimo di Anthony Joseph Sciacca, clarinettista notissimo in America che suonò in numerose e famose orchestre.

    La gremita sala dell’Istituto Italiano di Cultura rimane incollata allo schermo, incredula e basita di come quanta Italia ci possa in realtà essere in un ritmo che vede le proprie radici nella cultura afro-americana. Ma la risposta e’ semplice: la musica nasce dal ritmo e gli italiani hanno ritmo anche nel parlare quotidiano. Il Jazz e’ storia di condivisione, appartenenza, gioia. E’ l’insieme diesperienze di ogni singolo artista e quindi uomo. Gli immigrati italiani non potevano che dare il proprio contributo, raccontando con la musica la propria storia e cultura.

    L’evento è stato anche occasione per una breve conversazione/presentazione del film con Enzo Capua (responsabile di Umbria Jazz a New York), il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a New York e Renzo Arbore. Quest’ultimo ha colto l’occasione per lanciare un appello verso la Sicilia.

    C’è un luogo importante per il Jazz nel mondo che sta chiudendo. Si tratta della Scuola e della Fondazione di Ignazio Garsia, Il Brass, importante per la storia della musica della regione, la Sicilia, cha fornito il maggior numero di musicisti. “E’ un peccato che le istituzioni non proteggano un luogo così importante” ha detto Renzo Arbore.

  • Art & Culture

    When New York Meets Abruzzo

    The setting of ENIT located a in the heart of Rockefeller Center was filled with a different breeze of air on Thursday, May 30th. The hectic atmosphere of the city was substituted for a moment with a calmness and tranquility of breath-taking panoramas: a journey, even though only through imagination, to Abruzzo, a wonderful land where the sea, the skies and the mountains have no boundaries.

    ENIT, the National Tourism Agency, hosted at its headquarters the presentation titled: "Abruzzo: Made ​​in Nature, Made ​​in Italy," in order to promote the less known Italian region and its treasures in the United States. 

    Director of ENIT, Eugenio Magnani, introduced and led the presentation which included the participation of Mauro Di Dalmazio, Minister for the Development of Tourism in the Abruzzo region, Aurelio Cilli, Minister of Tourism of the Province of Pescara and Lucio Fumo, Founder and Artistic Director of "Pescara Jazz."

    It wasn’t at all difficult for the audience, almost in entirety composed of people who admitted to never having visited Abruzzo, to immediately grasp the particularities of this stunning land, from the words of the Regional Minister Di Dalmazio and

    Provincial Minister Cilli. Due to a perfect synthesis between art, nature, tradition, wine and food, Abruzzo is defined as the region of the "feel good", where solidarity, generosity and hospitality of its people make an already fantastic holiday, a unique and unforgettable experience.

    Considered the green region of Europe or the Region of Parks, with 33% of its territory placed under environmental protection, this "green lung" of Italy is home to many National Parks such as: Abruzzo, Majella, Gran Sasso-Monti della Laga, as well as Regional Park: Velino-Sirente, and a Protected Marine Area: Torre del Cerrano, and 38 other regional oasis’ and reservoirs.

    The featured video, prepared especially for this promotional campaign, allowed each individual participant, to associate words with images and sounds: from the Apennines to the Adriatic Sea, the film presented sport routes, and cultural and culinary adventures, justifying the definition of Abruzzo as a "way of life, " – said Di Dalmazio.

    "Mountains reaching the sea," is the true definition of Abruzzo mountains, considering the characteristic morphology of the territory, the towering mountains that slope continuously all the way to the seacoast. Here, too, the numbers are the evidence of the quid pluris of this region, with 130 kilometers of pristine coastline, which earned it 13 blue flags (an international recognition of European costal locations, which meet quality criteria relating to refinements for bathing and services offered).

    There is a lot more. In Abbruzzo nature is combined with innovation and technology thanks to two very ambitious projects led by the two Ministers. One being the creation of the first European track connecting 130 miles of coastline with an uninterrupted pedestrian path and the installation of a free WI-FI network, and the other undertaking the restructure of 350 paths and trails within the majestic parks in Abruzzo.

    The Abruzzo is also art and culture, and a land, which gave birth to some of the greatest Italian poets and writers, from Ovid to Benedetto Croce, Ignazio Silone and Gabriele D'Annunzio. There, Romanesque abbeys, monasteries and medieval villages arise, immersed in magical scenery difficult to describe in words. Again, statistics lend a hand in proving what distinguishes the region: Abruzzo is home to 100 of the most beautiful villages in Italy, of which 18 are ranked among the top 100 in the world.

    How can one not dream of visiting n this area and tasting the first fruits, the regional food and wine, accompanied by delicate Jazz music in the background. For this, after all, is the region, which for the past 40 summers is the stage for the important "Pescara Jazz" music festival. Ella Fitzgerald, Bob Dylan and Miles Davis are just some of the celebrities who graced the stage of Pescara, explains Lucio Fumo, the mind and soul behind the event. Present in the room are also Sandro Damiani and Giancarlo Alfani, President and Marketing Manager of the "Pescara Jazz Festival".

    Everyone present at the presentation was transported to this wonderful region: big-hearted, generous and proud of its impressive history. It 's true ... Abruzzo is a strong and at the same time a gentle land.

  • Arte e Cultura

    Quando New York incontra l'Abruzzo

    Al 630 Fifth Avenue, nella suggestiva cornice del Rockfeller Center, cuore pulsante di New York, si e’ respirata un’aria diversa giovedi 30 maggio. Alla voce frenetica della citta' si e’ sostituita per un attimo la calma e la tranquillita’ di panorami mozzafiato: un viaggio, seppur con la fantasia, in Abruzzo, meraviglioso territorio dove mare, cielo e monti non conoscono confini.   

    L’ENIT, agenzia nazionale del turismo, ha ospitato nella propria sede l’incontro “Abruzzo: made in nature, made in Italy”, al fine di promuovere nel territorio degli Stati Uniti, le eccellenze di questa straordinaria regione italiana.
     

    Introdotto e mediato dal suo Direttore Eugenio Magnani, l’appuntamento ha visto l’intervento di Mauro Di DalmazioAssessore per lo Sviluppo del Turismo nella Regione Abruzzo, Aurelio Cilli, Assessore al turismo della Provincia di Pescara e Lucio Fumo, Fondatore e Direttore Artistico di “Pescara Jazz”.
     

    Non e’ difficile per la gremita sala, composta per la quasi totalita’ da un pubblico che ammettedi non essere mai stato in Abruzzo, afferrare fin da subito le peculiarita’ di questa terra dalle parole dell’Assessore Regionale Di Dalmazio e dell’Assessore Provinciale Cilli.

    Perfetta sintesi tra arte, natura, tradizione ed enogastromia, l’Abruzzo viene definito la regione dello “stare bene”, dove la solidarieta’, generosita’ ed ospitalita’ dei propri abitanti contribuisce a rendere speciale un soggiorno che di per se’ e’ gia’ esperienza unica ed indimenticabile.
     

    Considerata la Regione verde d’Europa o Regione dei Parchi, con il 33% del suo territorio sottoposto a tutela ambientale, questo “polmone verde” d’Italia ospita ben tra Parchi Nazionali (d’Abruzzo, della Majella, Gran Sasso-Monti della Laga), un Parco Regionale (del Velino-Sirente), un’area Marina Protetta (Torre del Cerrano) e 38 tra oasi e riserve regionali e statali.
     

    Il video mostrato in sala, idealizzato per la campagna promozionale, riesce a far associare ad ogni singolo partecipante, parole ad immagini e suoni: dagli Appennini al mare Adriatico, percorsi sportivi, culturali e culinari che giustificano la definizione dell’Abruzzo come “modello di vita” offerta da Di Dalmazio.
     

    “Montagne a portata di mare”, sono soliti dire gli abruzzesi e non a torto, considerando la caratteristica morfologia del loro territorio. Imponenti catene montuose che degradano, con linea di continuita’, fino alla costa.

    Anche qui i numeri testimoniano il quid pluris di questa regione, con 130 kilometri di costa balneare che gli hanno conferito l’onore di ben 13 bandiere blu (riconoscimento internazionale per quelle localita’ costiere europee che soddisfano criteri di qualita’ relativi a parametri di balneazione e servizi offerti).
     

    C’e’ molto di piu’. La natura si sposa con l’innovazione e la tecnologia grazie a due ambiziosi progetti esplicati dai due Assessori.

    Il primo vede la creazione della prima pista europea che collega 130 kilometri di costa con un percorso ciclopedonale senza interruzione e l’installazione di una rete WI-FI free usufruibile da chiunque.

    Il secondo, la ristrutturazione di 350 sentieri e percorsi nei maestosi parchi abruzzesi.
     

    L’Abruzzo e’ anche arte e cultura, e’ terra che ha dato i natali ai piu’ grandi poeti e letterati italiani, da Ovidio a Benedetto Croce, Ignazio Silone e Gabriele D’Annunzio.

    Abbazie romaniche, eremi e suggestivi borghi medievali sorgono immersi in scenari che difficilmente possono essere descritti a parole. Anche qui le statistiche danno una mano: l’Abruzzo ospita 100 tra i borghi piu’ belli d’italia, di cui 18 sono classificati tra le prime 100 posizioni.

    Come non sognare di essere in questa terra, magari assaporando le primizie enogastronomiche del territorio, accompagnati da note Jazz di sottofondo. Perche’ e’ questa la regione che da ben 40 estati e’ teatro dell’importante festival musicale “Pescara Jazz”. Ella Fitzgerald, Bob Dylan e Miles Davis sono solo alcuni dei nomi che si sono esibiti palchi pescaresi, come ci spiega Lucio Fumo, anima e mente della manifestazione, con la presenza in sala di Sandro Damiani e Giancarlo Alfani, rispettivamente Presidente e Marketing Manager del “Pescara Jazz”.

    Ha accompagnato la delegazione abruzzese la cantante aquilana Simona Molinari, orgoglio della regione. Diplomata nello storico conservatorio Alfredo Casella dell'Aquila, la giovane interprete, con la sua voce swing/jazz  sta spopolando in Italia, soprattutto dopo la sua partecipazione al Festival di San Remo.
     

    Al 630 Fifth Avenue, New York non poteva che immaginarsi in questa meravigliosa regione, dal cuore grande e generoso e dalla storia imponente ed orgogliosa.
     

    E’ proprio vero…Abruzzo, terra forte e gentile.   

  • Arte e Cultura

    Biagio Antonacci ad NYU. Il 'ragazzo' che ama l'attesa

    Occhiali neri, sorriso stampato ed emozione sul volto di Biagio Antonacci, ospite d’eccezione dell’incontro tenutosi presso la Casa Italiana Zerilli Marimò della NYU, presieduto dal suo direttore Stefano Albertini e dall’Editor in Chief di I-Italy, Letizia Airos.
     

    Per la prima volta sul palco newyorkese all' Highline Ballroom, che lo ha visto protagonista di due fortunate date nelle giornate di lunedi e martedi, il “ragazzo” di Milano scherza e gioca con il pubblico della sala dell’auditorium della Casa Italiana. Pubblico che conosce e ama Biagio Antonacci: “ Da Udine a New York solo per te”, recita il cartellone di una fan seduta tra le prile file, mentre in fondo altre ragazze mostrano orgogliose la famosa “piccante” copertina di Vanity Fair per la quale Biagio posò (quasi) come mamma l’ha fatto, coperto dal suo cd.

    “I’m sorry, but I don’t speak english!”, esordisce giustificandosi della presenza di un interprete al suo fianco e facendo scoppiare il pubblico in una fragorosa risata. Ed è proprio cosi, tra risate e confessioni strappate anche grazie alle incalzanti e mirate domande della Airos, che prende forma questa conversazione con il grande cantautore italiano.

    Biagio Antonacci è abituato all’energia e al trasporto del grande pubblico dei suoi concerti, ma non ci nasconde in questa occasione come fosse emozionato prima di salire nel palco della sua prima data a New York. Emozione dettata dal confrontarsi con un pubblico nuovo, ci spiega, ma che gli ha regalato entusiasmo e grinta per la sua seconda esibizione.

    Ma chi è realmente Biagio Antonacci. Il “ragazzo”, come lo ha definito il Direttore di i-Italy, torna indietro alla sua infanzia quando la Airos chiede di descriversi.
     

    “La mia vita è sempre stata dedicata alla musica, questo grande sogno che avevo da bambino. Ed un ragazzo che ha un sogno, è un ragazzo fortunato. Avere un sogno da bambini è un grande regalo. I sogni vanno poi alimentati, seguiti. Sono diventato uomo con la musica. Sono diventato un cantautore. Vivo le cose che scrivo e quindi canto cio’ che mi accade in prima persona. Il cantautore e’ colui che prima vive e poi scrive. Io sono un cantautore”.
     

    Il pubblico della Casa Italiana rimane con gli occhi incollati su Biagio quando ancora  la Airos, avida di mettere a nudo il cantante milanese, lo interroga circa l’origine della spiccata sensibilità dei suoi testi che lo mette in stretta connessione con il pubblico femminile. Biagio ama relazionarsi con le donne, mettersi a confronto con il loro profondo universo, ci spiega e trarne fuori parole e musica che in parte testimonino la sua ricerca. “Un’uomo aspetterà sempre una donna, sempre. Una donna futura, una donna del passato, la propria mamma, qualsiasi donna”. Non poteva offrire regalo migliore alle fan presenti in sala.
     

    Chiaccherata tra amici alla NYU, intervellata dall’ascolto dei piu’ grandi brani di Antonacci e resa dinamica  dalla liaison che riesce a creare con il suo pubblico. Ride e scherza Biagio, sicuramente il calore newyorkese è qualcosa di nuovo ed inaspettato per lui. Per questo “regular guy” che non smette mai di sognare.

  • Arte e Cultura

    Padova. L'orto universitario più antico del mondo

    L'Università di Padova e il caso esemplare del suo orto universitario sono stati  protagonisti all'Istituto Itailano di Cultura di New York.  L’evento, introdotto dal Direttore Roberto Viale, ha visto la partecipazione del Magnifico Rettore dell’Università di Padova, Giuseppe Zaccaria, del Vice Presidente della “Arthur Ross for Horticolture and Living Collections” presso il The new York Botanical Garden, Todd Forrest ed il contributo delle Professoresse Lucia Tomasi Tongiorgi dell’Università di Pisa e Laura Tallandini dell’Università di Padova.

    Nell’anno della cultura italiana negli Stati Uniti, l’accento non poteva che essere posto dai  partecipanti di questo simposio sulla centenaria storia e sulle singolari caratteristiche del Giardino Botanico di Padova. Caratteristiche che nel 1997 gli conferiscono l’onore di essere iscritto nella World Heritage List dell’UNESCO come bene culturale.

    L’Orto Botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia”.  

    Leggendo la motivazione in base alla quale il Comitato del Patrimonio dell’Umanità ha deciso di inserire questa meraviglia nella Lista, il Magnifico Rettore Zaccaria ha aperto il suo discorso ripercorrendo le fondamentali tappe della storia dell’ Orto Botanico di Padova.

    Fondato nel 1545 su volere della Repubblica di Venezia la quale mise a capo del progetto il Professore Francesco Bonafede, l’Hortus Simplicium (ovvero l’Orto dei semplici, cioè i medicamenti provenienti dalla natura), nacque per la coltivazione di piante ad uso terapeutico provenienti da tutto il mondo con finalità scientifiche e didattiche.

    Non sembra azzardato definire la sua nascita come “anno zero” nel percorso della scienza botanica e della stessa medicina, grazie anche all’introduzione del metodo sperimentale nello studio delle piante medicinali, caratterizzato da lezioni dal vivo e classificazioni analitiche di ogni semplice. Divenne ben presto punto di fama internazionale, attirando a se studenti e scienziati da tutto il mondo, desiderosi di apprendere come riconoscere tali piante e utilizzarle nel corretto modo.

    Turning point di notevole importanza, considerando che all’epoca le piante officinali rappresentavano l’unico rimedio medico e numerosi erano i decessi dovuti alla loro errata somministrazione a causa di  un’incerta classificazione.

    Ma l’innovazione scientifica e didattica padovana non si ferma qui. Esulando dal campo prettamente officinale, a loro si devono numerose altre classificazioni dall’impatto rivoluzionario persino nella vita di tutti i giorni. Il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Viale, ci spiega come sia proprio Padova a dare i natali alla prima classificazione del seme di caffè, contribuendo alla sua diffusione in tutta Europa. Il nostro debito nei confronti dei botanici padovani non termina. E’ ancora grazie ai botanici padovani che fiori come ciclamini, girasoli e giacinti, originariamente provenienti da altre zone d’Europa, siano ora parte integrante del nostro landscape.

    Il suo carattere eccezionale dunque, si deve alla commistione in un unico luogo di più elementi peculiari racchiusi in una cornice architettonica unica nel suo genere. All’ombra delle due piu’ importanti basiliche della citta’, quella di Sant’Antonio e di Santa Giustina, l’Orto Botanico è il più antico nel mondo a mantenere la sua ubicazione e le sue caratteristiche architettoniche principali.

    E’ la Professoressa di Storia dell’Arte Lucia Tomasi Tongiorgi dell’Università di Pisa a mettere in luce le novita' rappresentate dalla pianta dell’Orto: una struttura circolare con un quadrato iscritto al centro diviso a sua volta in quattro quarti orientati secondo i punti cardinali. Disposizione innovativa e pragmatica che rispondeva ad esigenze prettamente didattiche per la migliore collocazione e successiva identificazione delle piante presenti al suo interno. Ma la Pro.ssa Tomasi Tongiorgi ci dice di più. Figlia della propria epoca, la struttura architettonica dell’Hortus Simplicius richiama quella dei tipici giardini rinascimentali, dando luogo ad una struttura di non poco fascino grazie anche alle possibili letture in chiave esoterica ed astrologica della stessa.

    Ancora oggi l’Orto Botanico di Padova continua a svolgere un’importante e proficua attività scientifica e didattica secondo i moderni dettati della scienza botanica. Il Rettore Zaccaria, infatti,  tiene a sottolineare come il rispetto e la salvaguardia delle biodiversità e la sensibilizzazione dei visitatori a tali principi, sia uno degli odierni obiettivi dell’Orto Botanico, grazie anche alla creazione di un nuovo percorso che collega il vecchio orto con il nuovo quasi a voler indicare la continuita’ della tradizione botanica padovana.

    Di straordinario valore scientifico, artistico, storico e naturalistico l’Hortus simplicius e’ dunque da sempre paradigma di perfezione e innovazione. Imitato e preso come modello per la creazione di successivi orti botanici in tutto il mondo, ne hanno testimoniato la sua bellezza e unica atmosfera insigni visitatori, come Karl Leumann e Goethe.  L’Orto Botanico di Padova è un macrocosmo dove da secoli convivono scienza e arte, razionalità e bellezza allo stesso tempo. In un percorso di tradizione e passione che arriva fino ai giorni nostri.