SONO in totale 562 gli immigrati giunti a Napoli in settimana a bordo della nave della Marina militare ‘’Foscari’’. Tra di essi 75 minori, 25 bambini. Cinque le donne incinte. Poveri cristi sopravvissuti al massacro di una guerra quotidiana mai dichiarata che, sotto gli occhi del mondo civile, da più di un decennio si consuma senza speranza di armistizio.
Il dramma dei profughi visita anche la nostra città e ti aspetteresti la piena comprensione da chi sulla propria pelle ha sperimentato la stessa sorte, per una città, la nostra, mai risparmiata dai grandi fenomeni migratori, ben esperta di dolorosi espatri che hanno visto i suoi figli cercare pane altrove. Ma purtroppo le cose cambiano e la memoria gioca brutti scherzi, basta visitare alcuni siti cittadini per rendersi conto di quanta violenza nelle parole, quanto razzismo, quanta volgare disumanità alberghi anche in tanti napoletani che vedono nei flussi migratori di disperati un rischio crescente di degrado della città.
Ma davvero non «ci riguarda », come scrive qualcuno? Il problema delle sponde, dei grandi movimenti migratori, quelle masse di popoli spinti dalla fame, dalla disperazione, dai terrorismi politici, dalle guerre, dalle devastazioni ecologiche, frutto del colonialismo del passato e della corruzione presente, è un problema che non può non riguardarci. Paesi poveri, gente del Sud del mondo che per respirare cerca aria altrove. Aria di giustizia, di fraternità, di accoglienza. Aria negata, spesso affogata in quel Mare nostrum, che di “nostro”, di sponde amiche bagnate dallo stesso mare, conserva solo il nome. Una strage simile a quella di una vera guerra per dimensioni e numero di decessi. Dal 2000 al 2015 sono morti più di 40 mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa: il 50 per cento in più di quello che appare dalle stime esistenti.
Poveri cristi che per sfuggire alla morte sfidano la morte, unica via di uscita per lasciarsi alla spalle, forse per sempre, le native malate sponde. Senza valigia, nessuna sostanza, solo il ricordo. Poi sbarcare qui da noi, sulle nostre sponde, affamati di sogni, lasciati in libera uscita da governi farabutti, alleati dei signori della morte, e spesso fino a poco fa dei nostri stessi Paesi “perbene” che ora vorrebbero da quei governi più controllo, più protezione delle loro sponde, semmai pagando il prezzo della loro complicità, perché si possa impedire che la nostra aria venga spartita con povera gente che non ne ha più di sua.
Parole tante, commozione di circostanza per i morti, per poco, per troppo poco tempo. Intanto i morti in mare aumentano e i disperati ogni giorno lo sfidano come ultima frontiera. Prima abbiamo foraggiato i loro aguzzini, ora facciamo finta che la responsabilità sia semplicemente altrove. L’Europa graziosamente concede spiccioli in elemosina. Gli Stati “perbene”, chiusi gli occhi, insensibili al dolore, pur di proteggere la loro falsa sicurezza, accumulano scorte di riserva in vista di una non si sa quale possibile temuta miseria universale. E il razzismo, che fa il suo ingresso in luoghi in cui mai avresti pensato fosse possibile, ora è inarrestabile.
Forse, tempo addietro, avremmo dovuto prendere in seria considerazione l’esortazione di Paolo VI quando, nel lontano 1967, denunciava l’aggravarsi dello squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri, quando ricordava al mondo intero il diritto di tutti i popoli al benessere. Forse avremmo dovuto prestare maggiore attenzione a un mercato clandestino che favorisce le immigrazioni irregolari vendendo profumatamente a gente disperata il sogno di un’Europa ricca, capace di offrire lavoro a chiunque arrivi. Forse anche Napoli, che ha riservato a papa Francesco un’accoglienza straordinaria, avrebbe dovuto fare meno rumore e più attenzione alle sue parole quando a Lampedusa dichiarò che la cultura del benessere ci rende «insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, in una situazione che porta all’indifferenza verso gli altri. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!».
Ma davvero non è affar nostro?