Omertà. Quando si diventa veri cittadini?
Omertà. Avrei voluto scrivere un altro pezzo, avrei voluto raccontare un’altra storia, quella che in realtà avevo già scritto e non ancora inviata al giornale, una storia come questa: “Omertà. L’alto dei palazzi sgrida la piazza: se la legge non fa il suo corso, se la giustizia frena è colpa della gente che tace, obbligata alla regola del silenzio, da quella consuetudine culturale che fa di un ambiente dominato dalla camorra, una terra di regole diversamente ordinate”. Avrei scritto: “La paura è colpa certo, ma è anche difesa per chi non sa essere eroe, per chi vuole essere solo un uomo normale”.
Ma qualcosa si è rotto, qualcosa mi ha detto che non sempre la prima impressione è quella giusta: ti accorgi che c’è altro e non puoi che raccontarlo. Alex Zanotelli, che apprezzo per il suo impegno coraggioso, come i tanti amici che molto più di me lottano per una Napoli migliore, dichiara che nel caso di Genny Cesarano, vittima innocente della camorra alla Sanità, passato ingiustamente come colluso, non c’è stata omertà, gli inquirenti avrebbero esagerato, non si poteva pretendere da quattro ragazzini, schiacciati dal terrore delle pallottole, il coraggio della verità. Lo stesso sembra dichiarare il padre di Genny.
È una dichiarazione rischiosa e per questo non sono d’accordo con Alex dal quale proprio per la sua lotta mi sarei aspettato un giudizio diverso: il silenzio è dolo, lo è sempre, ancora di più se a morire sotto i colpi è un innocente, un ragazzo, un amico che ha portato per un anno e più, dopo il martirio, la croce addosso del sospetto di essere lui stesso camorrista. Un popolo è in cammino se sa insieme lottare contro il potere del male, se insieme si assume la responsabilità di fare barriera al sopruso forte della verità.
Ognuno fa il suo mestiere ma un appello alla legalità, una marcia anticamorra, il professionismo dell’antimafia, una predica o una scomunica al malaffare non è detto che riescano a convertire una città, che normale non è, e a convincere la gente a cambiare il proprio sillabario. Si dice che più che prendersela con la gente che non parla, altro le istituzioni dovrebbero pretendere, altro dovrebbero produrre: lavoro, controllo del territorio, scuola. Tutto giusto e di certo va dato merito a chi con abnegazione, sostituendosi spesso allo Stato, proprio nel rione Sanità ha creato percorsi, progetti ambiziosi di liberazione e di riscatto sociale.
Ma l’omertà resta come malapianta in quel tessuto sociale che fa di chi lo abita, liberato o meno dalla camorra, un connivente con il suo potere perché vissuta come inevitabile, invincibile, indomabile. Quanti anni bisogna avere per raccontare che un amico è stato trucidato dalla vigliacca mano della camorra? Che scuole bisogna aver fatto? Quand’è che si diventa cittadini capaci di dare un significato a questo nome? Certo i ragazzi non sarebbero dovuti essere stati lasciati soli e di sicuro quegli adulti che hanno raccolto la loro confessione sono più responsabili se hanno pensato bene che il silenzio potesse garantire protezione.
Un popolo in cammino è quello che offre la sua forza di coesione per farsi voce della protesta, ma lo è di più se la sua proposta di legalità sa offrire perfino itinerari di civile eroismo che fa della verità, sempre e in ogni caso, il suo vessillo. Ed è verità che il lavoro manca perché lo Stato non fa abbastanza ma soprattutto perché lo ruba la camorra, ed è verità che il controllo del territorio da parte dello Stato non è garantito perché la camorra lo controlla meglio, è vero che la scuola non dà adeguata formazione perché la camorra offre la sua scuola come facile guadagno, ma è suprema verità che la camorra vince anche perché l’omertà glielo consente.
Come sarebbe stata diversa la storia se quegli sventurati amici di Genny Cesarano passata la notte della paura, confidata a un amico, a un adulto, forse a un prete l’amara disavventura, si fossero trovati in marcia con un popolo in cammino che oltre agli slogan in difesa dell’onestà del povero Genny avessero esposto sotto la Procura i cartelli con i nomi degli assassini. La loro paura sarebbe stata confortata e vinta dal coraggio di un popolo che ancora non c’è, che ancora deve convincersi, oltre gli slogan e le marce, che la camorra può essere vinta, e lo sarà se insieme, nel quotidiano, sceglieremo la trasparenza della verità che libera, sempre e in ogni caso.
A Napoli è difficile essere eroi contro la camorra me ne rendo conto, si resta soli, e quei pochi che hanno tentato di esserlo sono stati calunniati, derisi, costretti a cambiare destinazione d’uso. Ma l’eroismo di un popolo in cammino, tutti insieme oltre il singolo, può essere la risposta per dire il no definitivo all’omertà, alla malata consistenza della camorra.
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