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Torno a New York dopo aver partecipato ad una delle più belle esperienze della mia vita. Cinque giorni a Palermo per un “Seminario [3]” con 115 giovani provenienti da tutto il mondo.
Si sono riuniti, grazie al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero [4](CGIE), ai Comites (Comitati degli Italiani all’estero) e alle Consulte regionali dell'emigrazione presenti nei rispettivi paesi di accoglienza. Non è stato facile ma l’entusiasmo, e un grande lavoro di squadra, ha fatto superare molte difficoltà soprattutto logistiche ed economiche.
Difficile descrivere l’atmosfera costruttiva che fin dai primi momenti ha coinvolto tutti ed il caso di dirlo: giovani e meno giovani (o, come si dice oggi non senza ironia: “diversamente giovani”). Per una volta gli organizzatori - e posso citare per motivi di spazio solo Michele Schiavone, Segretario Generale del CGIE e Maria Chiara Prodi presidente della Commissione VII del CGIE - Nuove migrazioni e generazioni nuove -, sono stati molti attenti a non occupare, come troppo spesso capita, i loro spazi.
I giovani hanno quindi finalmente parlato, presentato proposte, contestato quando occorreva; si sono confrontati fra di loro e con alcuni rappresentanti istituzionali. Sono ora finalmente pronti per creare, nei prossimi mesi, quella che sarà la prima vera rete di giovani italiani nel mondo. Si comincia già a lavorare a distanza, gli imput arrivano da chi è tornato a casa, nei diversi continenti. E’ chiaro, nella città di Palermo si sono poste solo le basi. Il momento dei giovani, il “loro” momento, comincia ora.
Potrei scrivere a lungo su questi ragazzi e ragazze che ho incontrato ma, per ora, vorrei avviare una riflessione sui temi di cui si è parlato nel panel che ho presentato e moderato. Con me Domenico De Maio, dell’'Agenzia Nazionale per i Giovani [5], Stefano Queriolo Palma, della Direzione Generale per la promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione Internazionale [6], e Giovanni Mafodda, funzionario Ufficio di Coordinamento Marketing di ICE-Agenzia [7].
Lo voglio fare perché negli ultimi 15 anni della mia vita questo è stato il tema su cui mi sono più spesso confrontata nel mio lavoro. Noi di i-Italy ci occupiamo di comunicare l’Italia agli americani e lo facciamo a 360 gradi. E, per farlo, dobbiamo partire appunto dal concetto di soft power.
Il soft power italiano
Il termine, coniato all’inizio degli anni novanta da Joseph S. Nye della Harvard Kennedy School of Government, ricorre spesso in Italia, lo citano le istituzioni, i media, le aziende. Sul soft power - molto più che sull’hard power che pure non gli manca - gli Stati Uniti hanno costruito il Brand America che ormai fa parte dell’immaginario del mondo, nel bene e nel male. L’American Dream ha fatto la fortuna di quel Paese, anche attraendo milioni di immigrati da tutto il mondo, Italia inclusa. Una analoga operazione di Nation Branding, di costruzione del Marchio Paese, potrebbe oggi essere concretizzata per l’italia.
L’Italia dispone già, infatti, di un patrimonio di soft power largamente inutilizzato, ma spontaneamente apprezzato in tutto il mondo. Il Made in Italy, ad esempio. Esiste un Italian Dream, una Italian Way of Life, quel VIVERE ALL’ITALIANA che campeggia ora nello slogan coniato dal Ministero degli Esteri come ombrello per tutte le attività di diplomazia economica e culturale del Sistema Italia.
Occorre mettere a sistema tutto questo potenziale soft power per esportare la nostra immagine nel mondo. In Italia, però, non esiste un ente centrale in grado di decidere e attuare una promozione integrata del Brand Italia. Abbiamo tanti enti coinvolti nelle attività di internazionalizzazione, centrali, regionali e locali, ed è necessario un enorme sforzo di coordinamento.
Solo 10 anni fa nasce, proprio con questo scopo, la DGSP - Direzione Generale per la promozione del Sistema Paese (e mi piace citarne l’artefice forse più importante, l’Ambasciatore Giampiero Massolo, allora Segretario Generale della Farnesina). Per chi non lo sapesse il concetto è questo. Visto che abbiamo una ramificata rete diplomatica (126 Ambasciate, 80 Consolati, 83 Istituti di Cultura) che fa capo al MAECI (acronimo del Ministero degli affari esteri e cooperazione internazionale) la DGSP si candida a essere il coordinatore di un enorme attività di PROMOZIONE INTEGRATA dell’Italia nel mondo. E da qualche anno lo fa attraverso quella che viene chiamata ‘Cabina di Regia per l’internazionalizzazione’, che il MAECI co-presiede insieme al Ministero per lo sviluppo economico (MISE). Ne fanno parte ICE-Agenzia, ente unico attraverso cui vengono canalizzati gli ingenti fondi stanziati a questo scopo, ed una serie di altri soggetti ministeriali, finanziari, imprenditoriali e territoriali.
Ecco finalmente insieme i soggetti promotori del soft power italiano, i coordinatori del Sistema Italia nel mondo, gli artefici del nostro Nation Branding - e il marchio #VIVEREALLITALIANA [8], realizzato dal regista e direttore artistico Davide Rampello.
I giovani “portatori sani di soft power”
Ma cosa c’entrano i giovani? Questa era la domanda che avevo proposto agli organizzatori del seminario. Conteneva, naturalmente, una velata provocazione. Ci sono 60 milioni di discendenti di Italiani in tutto il mondo. (Circa una ventina sono negli Stati Uniti, paese dove vivo). Circa 5 milioni sono cittadini italiani. Questi milioni di italiani nel mondo, e in particolare i giovani, sono i fondamentali per il Nation Branding italiano, “portatori sani di soft power”. Ma ne siamo consapevoli?
Questi ragazzi, queste ragazze sono i veri attori del “Vivere all’Italiana”, della cultura, dello stile di vita, del Made in Italy e, cosa molto importante, rappresentano un’Italia contemporanea, non quella stereotipata attribuita ai loro padri e ai loro nonni.
Il CGIE, I COMITES, le istituzioni, il Ministero degli Esteri devono raccogliere questa sfida e lavorare insieme a questi giovani nel mondo, considerarli a tutti gli effetti parte del Sistema Italia. Lo devono fare non solo proponendo dall’alto iniziative dirette a loro, ma devono renderli partecipi, starli ad ascoltare, farli entrare nei loro progetti, e in alcuni casi nei loro organi elettivi. Devono sostenere, favorire, moltiplicare occasioni di incontro come quella del Seminario di Palermo. E devono forse imparare ad ascoltare, più che a parlare, e a farsi da parte quando è necessario, per favorire il ricambio generazionale, che è anche ricambio culturale e rinnovamento spirituale.
E’ la rete che questi ragazzi e ragazzi hanno cominciato a mettere su che conta davvero. Con i loro media on line, con i loro social network, i giovani sono ormai soggetti attivi sullo scenario politico, sociale ed economico mondiale, e non docili strumenti o magari bacino di raccolta di voti. Sono loro gli attori - oggi forse ancora inconsapevoli o almeno increduli delle possibilità che gli si aprono davanti. Il ‘potere dolce’, il ‘potere morbido’ dell’Italia nel mondo dipende da loro.
Su questo, e su di loro, si deve costruire Il nostro soft power. Facendo rete. Credo che la loro rete possa diventare il vero punto di forza per l’Italia all’estero. E tutto questo può fare tanto bene ai loro coetanei che vivono in Italia.
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Informazioni sul seminario si trovano sul sito https://www.seminariodipalermo.it/ [3]
Source URL: http://newsite.iitaly.org/magazine/focus-in-italiano/opinioni/article/soft-power-cosa-centrano-i-giovani-nel-mondo
Links
[1] http://newsite.iitaly.org/files/seminariodipalermo1jpg
[2] http://www.iitaly.org/node/55217
[3] https://www.seminariodipalermo.it/
[4] http://www.sitocgie.com/
[5] http://www.agenziagiovani.it/
[6] https://www.esteri.it/
[7] https://www.ice.it/en/
[8] https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/promozione-integrata-del-sistema/vivere-all-italiana.html