Da qualche tempo gira per New York, ma anche in altre città americane cominciano a conoscerla bene, un ragazza dalla corporatura minuta, capelli neri e un sorriso speciale che esprimono, con una grande dolcezza, tutta la forza del suo essere profondamente italiana. Giorgia Caporuscio non è un’astronauta, un ricercatore famoso o un calciatore, ma svolge un lavoro ancora non troppo comune tra le donne: la pizzaiola.E’ nata a Terracina, un piccola città tra Roma e Napoli, e ha una storia che, pur nella sua apparente semplicità, merita di essere raccontata.
“La scuola alberghiera mi ha indirizzato alla ristorazione. Certo anche mio padre era nel campo e questo mondo mi piaceva fin da bambina...” Comincia così a raccontarsi, Giorgia, mentre mi riceve con le mani ancora impastate di acqua e farina. E’ una figlia d’arte. Quando è arrivata a New York, il padre Roberto Caporuscio era da anni un pizzaiolo di successo. Le pizzerie più famose sono Kestè in Bleeker Street e Don Antonio, sulla 51esima strada ovest.
Come mai una giovane, non ancora ventenne, decide di venire a lavorare a New York?
“Avevo 19 anni, un’età in cui non sai ancora cosa vuoi. Sono venuta un po’ per gioco, volevo imparare l’inglese. I primi mesi sono stati abbastanza duri, senza amici, sola con mio padre. Ma dopo due anni, mi sono detta: ma sì, resto definitivamente.”
C’è stato qualcosa che ti ha spinto a questo passo? Insomma un momento magico?
“Sono un pò timida e mio padre mi ha sempre spinto ad uscire fuori dal guscio. Mi ha mandato a Miami ad insegnare a fare la pizza.
Io la pizza la sapevo fare, l’avevo imparata da lui, ma non sapevo come insegnare … Mi sono messa le mani nei capelli, ero spaventatissima! Invece è andata benissimo, mio padre aveva intuito che avrei saputo farlo. Mi sentivo tanto piccola, ma loro mi hanno accolta come un maestro. E’ stato allora che ho capito che qui avrei potuto fare di più che in Italia, essere apprezzata per quello che so fare, anche se sono una donna.”
Ma quale è la parte difficile del lavoro?
“Innanzitutto c’è questo passaggio tra la vecchia generazione, quella di mio padre, con tanta esperienza, e la nuova, quella di noi ventenni. Ma la cosa più difficile è confrontarmi con i maschi, i pizzaioli. ‘Una donna che fa la pizza?’ dicono increduli quando mi vedono lavorare. Non è usuale, diciamo. E infatti quando ho cominciato mi nascondevo. Volevo che apprezzassero il prodotto senza sapere che era stata una donna a prepararlo. Ho impiegato molto tempo a inserirmi, anche perché non solo ero una donna, ero anche la figlia del capo! Sembrerebbe più facile, ma è proprio il contrario. Ho dovuto faticare molto di più per farmi apprezzare e nessuno me l’ha fatta passare liscia.”
Ma perchè ti piace fare la pizza?
“Perché è un lavoro apparentemente così semplice—serve solo pomodoro, farina, acqua, sale e lievito—ma in realtà è molto complesso. Io non sono una cuoca, non so cucinare, ma sono bravissima a fare la pizza. Ci vogliono passione e costanza. Ed io ce l’ho!”
E oggi insegnare come si fa la pizza fa parte del tuo quotidiano...
“Sì, è difficile, ma divertentissimo. L’insegnamento è un’altra cosa bella di questo lavoro. Non sai mai chi c’è accanto a te, ho insegnato a un pilota di aerei, a chef che sanno fare tante più cose di me, che avevano una grande esperienza in cucina. Mi sono dovuta adeguare alla loro mentalità, a quello che sapevano fare e che non sapevano fare. Alla fine ho insegnato a tutti.”
Il fatto di essere un’insegnante donna cosa ha significato?
“Mi guardano sempre con scetticismo, perché ho 25 anni e sono donna. Mi vedono come quasi un mostro: “Cosa ci dirà? cosa dovremo fare?” si chiedono. Io all’inizio faccio sempre questa premessa: ti farò fare il percorso che ho fatto io, ti insegnerò tutto quello che so, e mentre tu impari da me, io imparerò da te, imparerò ad insegnare meglio. E i miei studenti lo apprezzano.”
Ci sono donne alle sue lezioni?
“Certo. È ancora difficile per loro, e lo capisco, ma l’incontro con me gli fa bene gli da fiducia. Ricordi quel film con Sophia Loren, quando lei faceva la pizza fritta? Le donne la pizza l’hanno sempre fatta, ma non andavano a farla fuori casa…”
Hai insegnato a tanti stranieri, quali sono stati i più difficili?
Gli arabi—anche perchè per imparare a fare la pizza è necessario sentire la pasta con le mani, con il tatto, e io insegno molto questo…
C’è quindi un aspetto sensoriale, sensuale diciamo?
Sì, molto. Mio padre sa come insegno e aveva paura a lasciarmi insegnare anche a loro. E poi noi pensiamo che la cultura degli arabi sia generalmente più chiusa nei confronti delle donne, e lui non voleva che questo creasse un problema.
E come è andata?
Ce l’ho fatta! Perché io sono donna, ma assomiglio molto a mio nonno e quindi sono testarda!Miei due studenti arabi adesso sono nel Kuwait a fare la pizza! Sono anche tornati a trovarmi e alla fine siamo diventati amici, come con tutte le persone a cui ho insegnato.
Quanto tempo ci vuole per imparare a fare bene la pizza?
Il mio corso dura dieci giorni. La parte più difficile è la manualità. E una volta imparati i ‘segreti’ ci vuole molta dedizione, costanza, per tenersi allenati e scoprire il proprio stile. Chi riesce davvero ci mette tanta passione, è un po’ come suonare uno strumento. Devi essere come un’artista!
E diciamo che insegni anche la cultura della pizza?
Sì, presenti tutto un pacchetto che contiene cultura e tradizione. È come consegnare un passaporto per l’Italia. Insegno come la pensiamo, gli abbinamenti dei sapori. Chiedo sempre ai clienti di dirmi il loro background, da dove vengono per capire come devo insegnare. Ad esempio, i due ragazzi arabi fino a pochi anni fa non sapevano neanche cosa fosse il pomodoro.
Dunque torniamo al fatto che sei una pizzaiola donna. Come dicevi prima, le donne la pizza l’hanno sempre fatta, ma poi sono stati gli uomini a gestire le pizzerie. In Italia è ancora largamente considerato un mestiere maschile. Perchè?
E’ una questione di mentalità. Le donne erano a casa, e ancora oggi è spesso così. Nessuno si aspetta che sappiano prendere in mano la parte imprenditoriale di questo lavoro. E loro stesse non se lo aspettano … Pensano che quando avranno una famiglia, dei figli, dovranno smettere.
E tuo padre cosa ne pensa?
“Abbiamo fatto una scommessa, quella di vedere se alla fine vincerà la famiglia o il lavoro. Io penso che potrò farlo anche con una famiglia. Credo che in Italia sarei sempre stata vista come una che avrebbe dovuto stare a casa a cucinare. Ma per fortuna a New York non c’è questa idea di donna. Gli americani non mi vedono come un alieno. Tre anni fa ho vinto il campionato della pizza qui e c’erano altre donne: non me l’aspettavo. Piano piano stiamo guadagnando più spazio.”
Insegni, gestisci il personale, e fai le pizze. Cosa ti piace fare di più?
La parte più bella è fare la pizza. Prima lo facevo molto di più...
Qual è il rapporto con il partner di tuo padre, don Antonio Starita? Lui è un’icona del mondo della pizza a Napoli. Come ha vissuto lui il tuo ingresso nel campo?
È un rapporto spettacolare perché lui una pietra miliare della gastronomia italiana, è stato il massimo averlo come insegnante e si è divertito a insegnarmi. Per me fare la pizza è meglio che fare yoga o andare in palestra … è rilassante. Il lavoro è stressante, ma fare la pizza è rilassante.
Don Antonio, tuo padre e c’è un’altra persona ‘di famiglia’ che lavora con te...
Il mio ragazzo, Raffaele Tramma. Tra lui, mio padre e don Antonio, sono beata tra gli uomini!E’ manager di ristoranti. L’ho conosciuto qui in America un anno fa. Mentre ero ad Atalanta mio padre aveva assunto questo ragazzo di Formia, un città vicina alla mia, avevamo amici in comune. E poi ci siamo ritrovati a New York, io a fare le pizze e lui il cameriere.
E “galeotta fu la pizza….”
Si gli ho insegnato a fare la pizza. E oggi mi prende in giro perché dice che sta diventando più bravo di me, ma non è vero! Diciamo che è sulla buona strada...
Che consigli daresti a una ragazza che vuole intraprendere il tuo lavoro?
Di non scoraggiarsi, di essere tenace, coraggiosa e molto testarda. E’ dura, ma ci sono tante soddisfazioni. E spero che sempre più donne facciano questo lavoro, anche in Italia. Persino in Giappone ci sono molte ragazze ormai che fanno le pizzaiole!
E nel cassetto un progetto che un pò l’allontana al padre...
“Voglio un locale tutto mio, senza papà, ma con la sua consulenza. Quando ho iniziato a fare questo lavoro non avrei mai pensato di dirlo ma adesso sì. Non desidero grandi cose, voglio andare avanti passo dopo passo. Vorrei un locale piccolo, che mantenga la tradizione e l’atmosfera italiana, ma che sia giovane e che parli ai giovani.”
Con la Montanara, hai vinto un premio. Ma quale è la pizza che ti piace fare di più?
La Kestè con salsa di pomodro, mozzarella di bufala, rucola e scaglie di parmigiano.È classica, semplice, ma sempre speciale, perché ha qualcosa in più…
Semplice, ma speciale. Insomma, proprio come Giorgia
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Kesté Pizza & Vino [2]
271 Bleecker St, New York, NY 10014
Don Antonio [3]
309 W 50th St, New York, NY 10019
Source URL: http://newsite.iitaly.org/magazine/focus-in-italiano/fatti-e-storie/article/giorgia-caporuscio-una-pizzaiola-in-america
Links
[1] http://newsite.iitaly.org/files/41279pizzagiorgiacaporuscio1463150029png
[2] http://www.kestepizzeria.com/
[3] http://www.donantoniopizza.com/