Papa Francesco si è recato in visita alla Sinagoga di Roma. Si tratta della terza visita di un Successore di Pietro al Tempio Maggiore della capitale, dopo quelle di Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI nel 2010. L’evento coincide con la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Una visita che cade in un tempo carico di tensioni e di problemi, un’icona profetica di fraternità eloquente, per dire che ebrei e cristiani hanno un contributo originale da dare alla pacificazione tra gli uomini. Nel mondo di oggi ci sono tante tensioni; c’è un risorgente antisemitismo, pagato a caro prezzo da tante comunità ebraiche.
C’è un’ideologia della paura che rischia di divorare anche quanto di positivo è già in atto per ciò che riguarda il dialogo, l’incontro, la distensione degli animi nel rispetto reciproco. Papa Francesco e il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, hanno rinnovato nel loro abbraccio e nella stretta tra differenti per fede la ferma volontà al dialogo senza il quale l’uomo può solo partorire violenza. Un compito che attiene ad ogni uomo di buona volontà di fronte ad un mondo complesso, un bisogno indispensabile di buone notizie in tempo di anemia di speranza. Per le religioni il dialogo è un fatto spirituale, é conversione profonda e pensosa, che chiama alla via di Dio, iniziando un dialogo con Colui che è al di là di noi.
Tuttavia proprio il dialogo è stato additato dalla miopia del capitalismo globalizzato, come una via debole e perdente, anche se è sotto gli occhi di tutti che un mondo senza parole condivise genera solo aggressività. L’aggressività produce disprezzo. Il disprezzo fa risorgere muri di odio sepolti appena da pochi decenni. Ma quale destino può darsi l’umanità che sceglie l’odio come matrice di riferimento, dove “cristiani ed ebrei sono costretti a difendersi da spietati nemici, violenti ed intolleranti, che stanno usando il nome di Dio, per spargere il terrore?”. La salvezza per tutti, Ebrei, Cristiani, Mussulmani, può venire solo dalla via del dialogo. Vivere insieme è più che una prossimità fisica.
Non basta sapere da dove vengono i nostri vicini, a quale religione o gruppo appartengono. Vivere insieme include il condividere gli alti e bassi dell’esperienza umana: dare e ricevere ospitalità, ridere e piangere insieme. Senza compagnia di vita nessuna integrazione, nessun dialogo tra culture o religioni sarà possibile. John Lennon in Imagine evocava un mondo senza religione, senza inferno o paradiso, per superare i conflitti generati dalla differenza. Le religioni occupano uno spazio sempre più rilevante nel quadro geopolitico dell’area mediterranea e del mondo: molti fattori di crisi derivano da una contrapposizione che sembra partire da una differente sensibilità di sacro, da un modo diverso di credere.
Il problema non si risolve annullando le differenze, assimilando le altre in una cultura ritenuta superiore o peggio organizzando crociate di annientamento di massa del diverso o di conversioni forzate. Anche perché i contrasti non nascono dal credo religioso ma dall’economia diabolica: i santi di tutte le fedi sono sempre per la pace e aperti al dialogo. Distruggere il dialogo tra culture e tra fedi equivale a costruire un muro di separazione tra comunità che, cessando di comunicare, si separano e si spingono reciprocamente verso una tragica quanto aggressiva autosufficienza isolazionista. Ripristinare il dialogo è decisivo per il futuro dell’umanità, ancor di più quando alla violenza si risponde con il terrore, ai kalashnikov con le epurazioni o il marchio di infamia.
Per costruire il dialogo bisogna essere più audaci, più visionari tanto da poter immaginare perfino una comune casa di preghiera per diversi per fede, un Tempio che lanci ponti tra differenze per vincere la paura che divide. Alle teste mozzate ostentate in segno di odio, bisognerebbe contrapporre un’icona potente di fratellanza tale da superare l’oscena e diffusa convinzione di impurità del diverso per scelta credente. Al Tempio maggiore di Roma Ebrei e Cristiani hanno fatto ancora un passo verso l’accettazione piena gli uni degli altri, un passo importante per un percorso ancora lungo per dire che “ogni uomo è e resta mio fratello”.