Via Sallustio di notte, illuminata nella parte centrale, bui i vicoletti laterali, è oggi una immagine eloquente della desolazione del centro storico della città. I suoi grossi fabbricati, cresciuti negli anni settanta, pulsanti di vita, negozi e abitazioni allora, ora abbandonati e deserti.
Sopravvivono i lecci, circondati da erbacce cresciute indisturbate. E’ la via perpendicolare al corso dei portici e dello struscio, qui si vedono parecchi cantieri all’opera, alcuni palazzi storici finalmente scoperti e pronti per l’uso. Ma chi li userà, e come? In questa zona i cartelli vendesi o affittasi sono segno tangibile della dispersione di persone ed attività, che hanno trovato migliori sistemazione altrove, nella vasta periferia post sisma. Professionisti e commercianti, che prima lavoravano in centro, non tornano, almeno per ora. Insieme, il corso e via Sallustio, immagini eloquente dello stato della città, oggi. Qualcosa è stato fatto, di più, molto di più resta da fare.
La stampa e le televisioni ancora si interessano allo stato della città. Prevalgono gli articoli che descrivono in toni patetici lo stato di abbandono del centro storico. Ci sono anche iniziative valide, cito ad esempio il convegno su “L’Aquila, post-catastrophic town”, tenuto di recente a Firenze da professori di Storia dell’Arte, e da Salvatore Settis sulla tutela e conservazione dei beni ambientali. Ricordo anche l’inchiesta di Repubblica.it, centrata sulle conseguenze della improvvisa ed eccessiva espansione del territorio dovuta alla realizzazione delle new towns, che hanno esteso eccessivamente un territorio dove vivono solo 60.000 abitanti.
Cito come voce fuori dal coro quella di Enrica Strippoli, psicoterapeuta che lavora a L’Aquila, che lei considera una delle città d’Italia dove si si vive meglio, perché ricca di spunti di vitalità e capacità di rinnovamento non comuni. “La situazione in Italia è drammatica: la crisi economica ha bloccato qualsiasi processo di crescita ed è difficile per gli italiani avere speranza nel futuro… Anche qui, all’Aquila, le difficoltà sono molte. Ma quello che abbiamo e che altre città non hanno è il movimento, il fermento, dato dalla ricostruzione in atto… Tutto questo trasferisce un senso di continuità, di speranza nel ‘domani’, prospettive senza le quali l’essere umano si deprimerebbe...Un fermento positivo che genera una creatività che non ha eguali rispetto a prima del terremoto.”
La selva di gru che si vede entrando in città da ovest, è segno tangibile di speranza per il futuro, soprattutto quando esse sono in movimento. Ecco sì, una speranza per la città sono i cantieri in movimento, gli operai che sciamano per il corso nella pausa pranzo, la confusione delle lingue e dei dialetti, originale e nuova per orecchie aquilane, nate e cresciute entro le mura. Inoltre i cantieri all’opera indicano che flussi di danaro scorrono per muoverli. L’augurio di tutti è che non si fermino per beghe locali, truffe, raggiri, infiltrazioni delinquenziali di varia provenienza, difficoltà, rivalità, invidie e competizioni dannose.
Una breve osservazione in relazione alla fiaccolata della memoria di quest’anno. Partecipata e silenziosa, appare sempre più un momento di solidarietà cittadina, che oggi unisce tutti e caratterizza, anche per il futuro, l’identità dell’aquilano nella memoria di una catastrofe che ha segnato in modo profondo la storia della città.
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