Il mattino del 13 giugno 1944 gli aquilani si accorsero che i tedeschi invasori erano spariti, lasciandosi dietro carcasse di macchinari e pesanti macchie nere a ricordo degli incendi che avevano bruciato nove mesi di invasione. “Se ne sono andati”, disse a voce bassa ma ferma mio padre, quando vide il piazzale del garage Pacilli finalmente liberato da mezzi di trasporto, da militari e sentinelle armate fino ai denti e da tutto l’armamentario bellico usato nel periodo dell’occupazione.
Walter Cavalieri, lo storico aquilano che ha studiato il periodo della guerra e delle resistenza in Abruzzo, descrive così il “miracolo di S. Antonio”: “…Pressata dagli eserciti alleati e minacciata alle spalle dagli uomini della Resistenza, la X Armata tedesca di Kesselring non aveva altra possibilità che il ripiegamento. Altro che “miracolo di Sant’Antonio”! La liberazione dell’Aquila va intesa unicamente come il frutto di una lotta senza quartiere al nazi-fascismo. Con la liberazione finivano nove lunghi mesi di occupazione…” Per una dettagliata descrizioni degli eventi detti “Miracolo di Sant’ Antonio” cito anche l’ultimo libro di Errico Centofanti, Quel giugno di Luce e di Calor, pubblicato da One Group Edition.
Solo ora, dunque, vengo a sapere che la fuga dei tedeschi, la liberazione della città del 13 giugno 1944 passò nella cultura popolare come un miracolo di Sant’Antonio. Un miracolo? Come siamo e come eravamo? Ho sentito dire per strada, giorni fa, che nelle rovine di una chiesa gravemente danneggiata dal sisma si sarebbe trovato un tesoro, il tesoro dei templari! Se oggi si può anche solo pensare una fandonia di medievalismo leggendario, come meravigliarsi che 70 anni fa si sia creduto a un miracolo? Allora c’era solo l’informazione di regime, la guerra e le conquiste andavano a gonfie vele, la vittoria finale era certa. Andando avanti, le notizie dell’armistizio, tragedie e sbarchi degli alleati lungi dal creare l’idea della sconfitta, alimentavano l’idea dell’arma segreta di Hitler che infine avrebbe trionfato su tutto e tutti.
Eravamo brava gente, dedita al lavoro e alla famiglia, onesta e tenace, tenacemente attaccata alle proprie opinioni. In questo caso le opinioni più diffuse, opportunamente occultate o mascherate dopo cocenti sconfitte e disonorevoli fughe, rimasero vive a lungo. Brava gente, fornita di un’informazione parziale, limitata alle notizie ufficiali diffuse dal regime tramite radio, giornali e proclami stampati nei manifesti, cui si aggiungevano quelle fornite dai sacerdoti, che nelle parrocchie mantenevano stretti rapporti con i fedeli. Preghiere, suppliche alla Madonna, sante messe, rosari, invocazioni ai santi, giaculatorie per ogni occasione, erano parte integrante della vita di tutti i giorni, in una religiosità spesso solo formale, ma radicata a riti di tempi antichi e ricorrenze che scandivano lo scorrere delle stagioni. E allora come non credere ad un bel miracolo del santo del giorno? L’idea di questo miracolo del santo realizzato dagli umani si può considerare una bella manifestazione di religiosità popolare aquilana.
Oggi guerra, occupazione e liberazione sono tasselli di un mosaico storico complesso e articolato, ricco di spunti di ricerca e riflessione. Storia già scritta, da scrivere ancora, da conoscere, diffondere e possibilmente far amare dai giovani nati e cresciuti in tempi diversi, affinché quelle vicende non siano solo ricordi di pensionati con i capelli bianchi da rottamare subito, ma diventino il pensiero ispiratore del futuro dei nostri figli.