Per la prima volta il Leone d’Oro di Venezia va a un documentario, Sacro Gra di Gianfranco Rosi (già da noi nel 2009 con Below sea Level, che si aggiudicò, nell’entusiasmo generale dell’isola, il premio del pubblico per la sezione “Documentiamoci”, e lo scorso anno con Boatman), uno dei primi firmatari dell’appello che lanciammo due mesi fa alla politica per salvare il Festival dai tagli ingenti alla cultura previsti dal nostro paese.
Una scelta coraggiosa, quella di Venezia, e un passo decisivo nel faticoso cammino del cinema del reale, per chi, come noi, e come tanti altri festival dedicati al cinema indipendente, ha sempre scommesso senza remore e senza esitazioni sul documentario narrativo, quando la Rai e le grandi distribuzioni italiane ignoravano registi talentuosi considerando il documentario un genere a parte, non adatto al pubblico e alle sale (Rosi, tanto per ricordarlo, è famoso all’estero ma non ha mai trovato distribuzione in Italia).
“C’è solo una parola che accomuna documentario e finzione – ha dichiarato Rosi dopo il verdetto –: cinema”. Chiamiamoli “film”, dicemmo noi sin dalla prima edizione. Perché credevamo, e continuiamo a credere, che si possa documentare la realtà – e trasformarla – raccontando una storia, con uno stile, un linguaggio. Quello di De Seta, di Ivens, Flaherty, che finalmente tornano alla ribalta e che forse, in un futuro speriamo non troppo lontano, verranno visti e studiati nelle scuole accanto alle materie classiche tradizionali. Un altro grande sogno del
Salinadocfest [2] che ha sempre puntato e continua a puntare sulla scuola e sulla formazione.
Cinema della realtà, che mai come quest’anno 2013 – e i titoli scelti per il concorso lo dimostrano – mette insieme finzione e documentario, utilizzando attori professionisti (è il caso di Alba Rohrwacher in Il fiato sospeso di Costanza Quatriglio), ricorrendo a una messa in scena astratta, metafisica, persino teatrale (Il secondo tempo di Piero Li Donni), dove il confine tra realtà e finzione si fa labile e sfocato (è il caso di Mirage à l’italienne di Alessandra Celesia), piegando i destini generali alle pulsioni dei destini personali, contro la presunta e falsa obiettività attribuita allo sguardo del documentarista (è il caso di Summer 82 di Salvo Cuccia e di Il muro e la bambina di Silvia Staderoli, dove c’è un io che dice io e che innesta sulla memoria storia di un paese, La Spezia per la Staderoli, Palermo e il concerto storico di Frank Zappa per Cuccia), i propri ricordi e le proprie emozioni personali.
La strada la solcò tanti anni fa Alina Marrazzi, con Un’ora sola ti vorrei (anche questo presentato a una delle prime edizioni del SalinaDocFest, nel silenzio stupito e commosso di una platea che per la prima volta capiva cosa può essere un documentario), aprendo la strada a un nuovo filone che coniuga autobiografismo, lirismo e repertorio storico.
Lo porta oggi alle estreme conseguenze un regista affermato in tutto il mondo come Pippo Delbono, anche lui un amico storico del SalinaDocFest (venne in concorso nel 2007 con Grido), che torna quest’anno a Salina come evento speciale con il suo ultimo documentario, Sangue, Premio Don Chisciotte al Festival di Locarno, che mette insieme la morte biologica della madre con la confessione di chi la morte l’ha scelta, e procurata, per ragioni ideologiche (l’ex brigatista Giovanni Senzani) e che, oggi, piccolo nel grande scenario della natura, riflette insieme al regista sulla vita e sulla morte, sui limiti biologici della natura e i limiti della storia.
Il SalinaDocFest ce l’ha fatta perché ha dimostrato che il cinema del reale – ieri come oggi – è un bene comune necessario quando un paese dimentica se stesso, parte di un patrimonio collettivo che è nostro dovere proteggere e salvaguardare. Un paese che oggi sembra risvegliatosi da vent’anni di sonno della ragione, in cerca di una nuova identità politica e sociale (Apolitics now! di Giuseppe Schillaci), ma anche di un nuovo senso di appartenenza e collettività. “Se si rimane uniti è possibile fare qualcosa”, dichiara Pier Paolo Giarolo, autore di Libri e Nuvole, documentario sulle biblioteche itineranti del Perù che viaggiano trasportando libri e scambiandoli tra le diverse comunità.
“Bene comune” è infatti il tema che abbiamo scelto per questa edizione, che si concluderà con l’evento speciale dedicato a Emergency, alla presenza straordinaria di Gino Strada, a ricordarci che la salute, come la cultura, è un diritto inalienabile del cittadino. Premio speciale “Dal testo allo schermo” a Emma Dante, direttamente da Venezia, dove il suo film Via Castellana Bandiera, che presenteremo in anteprima al pubblico di Salina, si è aggiudicato la Coppa Volpi con Elena Cotta per la migliore interpretazione femminile. La Dante presiederà la giuria ufficiale del Concorso SDF 2013 che, per la prima volta nella storia del nostro Festival, sarà composta da giovani dell’isola sempre più coinvolti insieme a noi nella passione per il genere documentario.
Il SalinaDocFest ce l’ha fatta anche per questo, perché per la prima volta l’isola ha risposto e ci ha salvato, parlo della Regione Siciliana, ma anche di Salina tutta, dai Sindaci agli Assessori, dai ristoratori agli albergatori, dagli imprenditori ai cittadini comuni, che hanno risposto al nostro appello e hanno sostenuto la nostra battaglia.
Questa edizione è dedicata a loro, alla comunità di Salina che ormai sente questo festival come una realtà necessaria al proprio territorio e ai giovani che questo territorio vivono anche di inverno. “Isolani sì, isolati no!”, avevamo gridato alla stampa durante la prima edizione del Festival. Lo rigridiamo oggi, forti del Leone d’oro a Sacro Gra, a tutto il cinema e alla cultura italiani, affinché il documentario esca per sempre dal cerchio dell’invisibilità, in cui il nostro Paese lo ha troppo a lungo relegato.