Esco di casa e, svoltato l’angolo, vedo un venditore ambulante di colore contrattare con un ragazzo per l’acquisto di un mazzolino di mimosa confezionato in una bustina di plastica rosa: l’avrà per un solo euro. Più avanti qualcuno mi porge un volantino che promuove una discoteca, leggo “…DONNA INGRESSO OMAGGIO…”. Cento metri più in là, un enorme cartellone pubblicitario raffigura un ragazzo in perizoma che, con sguardo ammiccante, invita tutte le passanti a partecipare alla festa durante la quale si terranno degli spogliarelli maschili. Ma che succede? Ah, sì… è l’8 Marzo!
Di rado ho festeggiato questa ricorrenza, mia madre mi portava con sè insieme alle sue amiche quando ero piccola: andavamo a mangiare una pizza e mio padre le regalava dei fiori…lei non sembrava apprezzare molto il gesto, ma tutti gli anni mi raccontava la triste storia della fabbrica di camicie e diceva che da grande avrei capito che non si trattava solo di una favola senza il lieto fine.
Oggi so che quella che mia madre mi raccontava da bambina non era affatto una favola triste in cui alla povera, sottomessa ragazza non veniva dato il tempo di scoprirsi principessa, oggi so che quella che mia madre mi raccontava è storia vera, e credo che me la raccontasse tutti gli anni per assicurarsi che io ne conservassi il ricordo e che ne acquisissi la coscienza.
Ma la genesi della ricorrenza dell’8
Marzo, in realtà, pare essere abbastanza incerta: per le femministe francesi degli anni 50, per esempio, la ricorrenza sarebbe atta a commemorare il 50° anniversario di uno sciopero di lavoratrici tessili brutalmente represso a New York l’8 marzo del 1857; per il bollettino del Pci Propaganda nel ’49, invece, si celebrerebbe l’8 marzo 1848, quando le donne di New York scesero in piazza per avere i diritti politici. Quale che sia, di queste o di altre supposizioni, quella corretta non è importante perché nel 2012 è piuttosto importante ricordare tutti questi episodi.
Eppure continuiamo, imperterriti e ripetitivi, a chiamarla “festa delle donne”. Non sono sicura che ci sia veramente qualcosa per cui festeggiare: certo, nel corso dei secoli, per mezzo di dure lotte e affrontando tutte le conseguenze del caso, migliaia di donne hanno contestato e urlato e manifestato per la parità dei diritti, e molti e importantissimi sono stati i traguardi da loro raggiunti, traguardi di cui noi, donne del 2012, ci gioviamo e da cui non potremmo prescindere. Ma abbiamo veramente raggiunto questa tanto agognata parità dei sessi? La risposta è evidente e scoraggiante: gli uomini vengono ancora preferiti alle donne sul lavoro, e si parla di “quote rosa” al governo. Personalmente, in quanto donna, trovo tutto questo umiliante e retrogrado. Sin dal 1800 le donne si battono per una parità che nel XXI secolo sembra ancora lontanissima: la società occidentale, mentre punta il dito accusatore verso il burqa, ostenta progressi che in realtà non esistono perché, se veramente i pregiudizi di genere fossero superati, che senso avrebbe parlare oggi di femminismo? Che senso avrebbe istituire delle quote rosa se fosse stato accettato il postulato secondo cui una donna è in grado di svolgere le stesse mansioni che può svolgere un uomo?
Io credo, insomma, che se oggi ci troviamo a parlare di femminismo è perché ce n’è ancora bisogno, e se c’è ancora bisogno di eroine come quelle del ‘900, allora è ancora necessario ricordare e partecipare all’8 Marzo, perché quella che chiamiamo “festa della donna” dovrebbe essere la “giornata della donna”, una giornata che ricordi che siamo ancora indietro rispetto alle nostre idee, una giornata che celebri tutte quelle donne che vengono discriminate in quanto tali, una giornata che rivolga lo sguardo a quelle che invece, nonostante tutto, ce l’hanno fatta a farsi valere. E’ solo così che può acquistare significato quel mazzolino di mimosa avvolto in una bustina di plastica rosa: quel fiore non deve più essere uno sterile omaggio, ma deve essere un segno di appoggio a tutte coloro che credono possibile la realizzazione dell’utopia della parità dei sessi.
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