Il legame di Oriane Fallaci con il mondo anglo americano è forte, fondamentale. Risale all' adolescenza, allora la madre Tosca le diede da leggere le opere di Jack London, lo scrittore americano autore di numerose opere di narrativa, fra cui White Fang (Zanna Bianca) e The Call of the Wild (Il richiamo della Foresta), che narrano di un mito fondante della cultura americana, la libertà, che in questo caso si concretizza nell’eroica sopravvivenza degli uomini nel mondo del grande nord, poco popolato, a contatto diretto con una natura non sempre benigna, lunghissime, gelidissime invernate, distanze infinite, fiumi, laghi e foreste di conifere. In questo ambiente ostile e difficile la libertà dell’individuo diventa responsabilità di scelte di vita, lì anche un semplice gesto sbagliato può fare la differenza fra la vita e la morte. Fallaci lesse e rilesse da ragazza tutta l’opera di Jack London che divenne un punto fisso della sua cultura e del suo modo di pensare, la stella polare che la guidò sempre nelle scelte di vita e di narratore.
L’America fu dunque una presenza forte nel corso della vita di Fallaci che ne criticò la politica ai tempi della guerra del Vietnam, ma ne riconobbe i meriti, amò New York e ci abitò a lungo, in una town house nel cuore dell’Upper East Side, al 222 A, 61° Street. La amò sopra tutto in relazione proprio all'idea di libertà, quella di Jack London, amore che lei manifestò in tutti i modi, fino agli ultimi giorni della sua vita, tanto che uno dei critici che hanno scritto su di lei, Massimo Fini, intitola un articolo La missione di Oriana, americanizzarci tutti ( Il Gazzettino, 9 aprile 2004).
Riporto in questo articolo alcuni problemi nati dall’uso della lingua inglese per le interviste e le conferenze, e dalle traduzioni in inglese delle opere scritte di O. Fallaci, attraverso la lettura delle opere di critica di Santo Aricò e John Gatt Rutter.
Santo L. Aricò, di origine italiana, cresciuto a Brooklyn, è stato Professore di Lingua e letteratura Italiana in una università americana, Oxford, Mi. Ora in pensione si dedica alla scrittura come critico letterario. La pubblicazione del libro Oriana Fallaci: La Donna ed il Mito è il risultato della sua lunga attività di traduttore e critico a contatto con l’ opera di O. Fallaci. Ha scritto inoltre un articolo sulla controversa opera di Oriana Fallaci La Rabbia e l’ Orgoglio, scritto dopo l’attentato delle Due Torri e Contemporary women writers in Italy: a modern Renaissance. In note in fondo al suo libro S. Aricò comunica che tutte le traduzioni in inglese degli articoli pubblicati sull’Europeo, il Mattino dell’Italia Centrale e altri giornali italianisono sue, come pure tutte le traduzioni degli articoli di Paola Fallaci su Oriana.
Nell’introduzione al suo libro su O. Fallaci, S. Aricò manifesta una forte ammirazione per questa giovane signora fiorentina, portatrice ed espressione di una cultura toscana per lui lontana e nello stesso tempo amatissima, quasi un mito per un emigrato dall’Italia che ha imparato ad usare l’inglese dopo il dialetto d’origine, ignaro nell’infanzia e prima gioventù della lingua e cultura toscana, fatta non solo di parole assenti nel suo lessico familiare e da lui apprese più tardi, ma anche di immagini dipinte in chiese e palazzi civili da geni lontani nel tempo, da lui conosciute e sognate inizialmente sui libri, per lei, invece, pane quotidiano nel periodo della crescita e dell’ istruzione di base.
Mettendo in relazione le vicende della vita con l’opera di Oriana Fallaci, S. Aricò ha intuito che c’è un filo che collega il tutto, chiaramente rintracciabile ed onnipresente in articoli, interviste e romanzi. Questo filo di collegamento è la costruzione del mito di sé, come numero uno del giornalismo e della narrativa, essendo lei stessa in tutte le pubblicazioni, interviste a celebrità del cinema o della politica, romanzi anche non direttamente collegati alle sue esperienze di giornalista, la indiscussa protagonista, sempre. Insomma siamo di fronte ad un caso in cui la americanissima idea della costruzione di sé come numero uno (number one), cioè la corsa del vincente ed il suo rovescio, la sorte dello sconfitto (the under dog), il bischero nella lingua colloquiale fiorentina di Fallaci, risulta essere uno strumento utile ad illuminare un aspetto dell’ opera di Fallaci, il suo protagonismo.
Un punto interessante del libro di S. Aricò sono le notizie sui rapporti di O. Fallaci con la lingua inglese ed i traduttori americani. A pag. 195 e seg. l’autore narra che Fallaci ricorre all'idea biblica di maledizione divina e cacciata dall’Eden per spiegare la confusione delle lingue e la conseguente necessità di traduttori per le opere scritte. Questa è, secondo lei, la punizione per il peccato di superbia di Adamo ed Eva. Nel ruolo di Dio, Fallaci prima lancia loro parecchi insulti coloriti, poi dice: “…Avete mangiato la mia mela? E adesso vi punisco. Da ora in poi, parlerete lingue diverse, e quando scriverete un libro, dovrete essere tradotti. Fuori!”
Quanto a lei, nata a Firenze da famiglia di antiche origini toscane, aveva frequentato scuole italiane, pertanto la sua arte di narratore si esprime innanzi tutto in italiano, la lingua madre, quella usata in famiglia ed a scuola. Aveva successivamente acquisito una buona padronanza dell’inglese e del francese e qualche conoscenza dello spagnolo, sufficienti a scoprire delle libertà, inaccettabili secondo lei, nell’opera dei traduttori. Da qui una lunga serie di controversie, litigi, traduzioni, ritraduzioni e discussioni con traduttori, editori e tutti gli operatori del settore.
Per quanto riguarda il suo uso della lingua inglese parlata, viene spontaneo chiedersi come fece lei, giovanissima, vissuta ed istruita in Italia, ad intervistare le celebrità di Hollywood, non tanto per l’abilità di rivolgere le domande, quanto per quella di comprendere a pieno le risposte degli intervistati. Non c’è risposta alla domanda, di fronte ad un genio, ad un numero uno del giornalismo e della narrativa, le osservazioni dei comuni mortali sono destinate a svanire nel nulla.
Però una traccia della consapevolezza di una qualche sua difficoltà con la lingua inglese parlata emerge nel 1976, durante una conferenza all'università di Amherst. In apertura del suo intervento Lei ammise che parlare in inglese di fronte a professori e studenti di un college universitario poteva sembrare irresponsabile, e si scusò per il suo inglese non shakesperiano, per la pronuncia che poteva essere insopportabile, per la inesatta scelta di vocaboli e la fraseologia stravagante. Tuttavia questo Fallaci -English, era il solo strumento che aveva per comunicare con loro. Allora la sua onestà le portò ammirazione.
Accanto a questo episodio, l’ informatissimo libro (S. Aricò, pag.67) ci offre un esempio di una comicità irresistibile, creata e dall’uso di una espressione italiana da lei tradotta in inglese direttamente parola per parola, e dalla sua pronta, vivacissima arguzia, durante l’intervista con Hugh Hefner, inventore e padrone della rivista Playboy.
Ad un certo punto, nel corso della conversazione lei lo coglie in flagrante ipocrisia ed esclama, in inglese:
Fallaci. : Here the donkey falls. (Qui casca l’asino)
Hefner: What did you say? (Che ha detto?). Facile immaginare l’espressione meravigliata, forse un po’ spiazzata di lui.
F. Nothing, it’s an Italian way of speaking. ( Niente, e’ un modo di dire italiano).
H. insiste: What does it mean? (Che significa?)
F. Significa che mentre io andrò all' inferno, lei andrà in paradiso, Sig. Hefner. Lì, fra santi e martiri, insieme alle sue conigliette, lei discuterà del sesso degli angeli.
H.: Hanno sesso?
F. No, non ce l’hanno.
Per quanto riguarda la narrativa di Fallaci e le traduzioni di queste opere, segnalo che nella bibliografia in calce all'opera di S. Aricò, ci sono i nomi del o dei traduttori, per ciascun romanzo.
John Shepley tradusse Intervista con la Storia (Interview with History) e Lettera ad un Bambino mai Nato (Letter to a child never born).
Pamela Swinglehurst Gli Egotisti: Sedici Interviste Sorprendenti (in collaborazione con Mihaly Csikszentmihalyi e la stessa Fallaci) (The Egotists, Sixteen surpising interviews), Se il Sole Muore (If the Sun Dies), Penelope alla Guerra (Penelope at War), Gli antipatici (The Limelighters, ed Il Sesso Inutile (The Useless Sex).
James Marcus Inshallah successivamente ritradotto da lei stessa.
William Weaver Un Uomo (A Man), e Isabel Quigly Niente e Cosi Sia ( Nothing and Amen).
Mi soffermo sulla storia della traduzione di Inshallah, che fu pubblicato negli USA come una “traduzione di Oriana Fallaci da una traduzione di James Marcus”. Prima di iniziare il lavoro l’autore conosceva ed apprezzava il modo di tradurre di J. Marcus ed insieme, di comune accordo, presero la decisione di eliminare i brani in dialetto. Inizialmente la Fallaci accettò e lodò il lavoro di Marcus. Però infine lei rifiutò la resa in inglese. Certamente, secondo Marcus, la causa non fu una traduzione eccessivamente letterale, e lei stessa strutturò un’altra traduzione sulla base di quel lavoro.
Secondo S. Aricò, “Il vero problema riguardo al passaggio di Fallaci da Insciallah a Inshallah è la sua padronanza dell’ inglese, sufficiente per una conversazione ma non per la sua prosa elaborata, che incanta. Il suo inglese impacciato spesso contiene fraseologia costruita in modo inesatto, indice di un’ovvia mancanza di istruzione formale nella lingua.”
Seguono vari esempi di frasi discutibili inglese, alcune prese da una recensione di Thomas Keneally, un critico che espresse dubbi sulla traduzione di InshAllah: “Insieme ad una narrativa vigorosa c’è un dialogo che scricchiola ed esagera negli effetti”. Il critico elenca alcune delle frasi “sfortunate” di Fallaci, di cui riporto un esempio: “By Christopher Columbus and his mother’s dirty underpants! (Per Cristoforo Colombo e per le mutande sporche di sua madre!)”. La sfortuna della frase consiste nel fatto che essa è del tutto estranea ad un lettore anglo-americano. Qualcuno di loro leggendo quella frase avrà espresso meravigliato dissenso con un “Ohhh! Noi non diciamo così!” e, con un’alzata di sopracciglia, avrà forse chiuso il libro.
Nonostante i rapporti con i traduttori siano stati tempestosi, secondo S. Aricò, Oriana Fallaci deve la sua fama nel mondo alle traduzioni che ha avuto in inglese, che dagli USA e dall’Inghilterra hanno contribuito a diffondere la sua opera in tutto il mondo. Infatti pur nella babele delle lingue, rivolgendosi al maggior numero di lettori possibile, lei capta in prima persona e rappresenta nei personaggi della sua vasta opera i molteplici aspetti, drammatici e contrastanti, della cultura della sua epoca: etici, morali, sociali, politici, filosofici e scientifici. Così Oriana Fallaci riesce a costruire il mito di sé, nel mondo. Una Donna.