Sogno e Paura; Distacco e Nuova Vita. Quattro momenti significativi in cui si può racchiudere l’esperienza Italo Americana che, dalla fine del 1800 fino ad oltre gli anni della seconda guerra mondiale, ha segnato più profondamente l’economia, l’identità, le culture e la storia tutta di un paese come l’America. Tra tutte le nazioni che siedono al G8, infatti, l’Italia è l’unica ad avere avuto un’emigrazione così imponente e così prolungata nel tempo. Ed inoltre, da terra di emigrazione a terra che riceve un grande flusso di immigranti, l’Italia si è trasformata più velocemente rispetto agli altri paesi europei.
Il racconto di questa esperienza, sotto il segno della memoria, non poteva che trovare ospitalità presso la Casa della Memoria [1] e della Storia di Roma, istituto e insieme istituzione romana situata in uno dei luoghi più suggestivi della capitale, Trastevere. La casa della Memoria si avvale spesso del contributo di diverse associazioni culturali che hanno in comune la ricostruzione e la conservazione della Memoria del Novecento alla stregua di un servizio pubblico reso alla cittadinanza.
In questo sito si è svolta dal 20 dicembre 2008 al 28 febbraio 2009 una mostra fotografica con un ciclo di incontri e convegni per ricordare i migranti italiani che lasciarono la loro terra per inseguire condizioni di vita migliori e riscatto sociale.
Durante il programma, che ha avuto dal suo inizio una media di circa trenta visitatori al giorno fino alla chiusura, si sono alternate alcune occasioni di approfondimento sul significato della migrazione italiana nel mondo quali una rassegna cinematografica (“Cinema, Storia e… il sogno dell’emigrante”), che ha visto succedersi proiezioni di film appartenenti ormai alla storia cinematografica contemporanea: “Nuovomondo” di Emanuele Crialese (2006) e “Lamerica” di Gianni Amelio (1994). Insieme ad alcune significative proiezioni come “Emigranti” di Roberto Olla (2002); “Partire, ritornare - in viaggio con Tahar Ben Jelloun” di Francesco Conversano e Nene Grignaffini (2007). Tutte hanno fornito importanti testimonianze sulle esperienze personali di immigrati che per la loro peculiarità possono considerarsi come archetipi della figura dell’emigrato in generale. Il convegno “Migrazioni di ieri e di oggi”, invece, ha voluto mettere in evidenza, alla luce delle esperienze passate, tutti quegli elementi che contribuiscono ad un’analisi degli attuali processi migratori.
Ed è proprio dall’idea “personale” di un discendente di emigranti, l’abruzzese Nino Di Paolo che prende forma l’organizzazione di una mostra fotografica attraverso tre percorsi fondamentali: “partire” – “arrivare” – “vivere in America”. Dall’apertura di Ellis Island, l’isola delle lacrime, come centro d’immigrazione nel 1892, circa 22 milioni di italiani affidarono alla fortuna prima e al duro lavoro poi il loro sogno di riscatto dalla povertà. Le fotografie ritraggono in questa fase volti e corpi umani carichi di speranza e di miseria ma fieri nella loro determinazione.
I corpi come ‘appallottolati’, chiusi in se stessi a difendersi dall’altro e trovare un posto nella solitudine collettiva. Al loro arrivo, i passeggeri di terza classe venivano direttamente trasferiti nell’isolotto di pochi acri che fronteggia Manhattan, nel tratto di mare dove l’Hudson si unisce all’East River, per una più dura ispezione rispetto a quella più comoda riservata ai passeggeri di prima.
La prima ispezione dava il passo, se necessario, a una seconda più accurata ed umiliante che finiva con il contrassegnare con un gesso la schiena di ognuno, a seconda della malattia che riscontravano (PG per donna incinta, K per ernia, ecc,). I marchiati venivano inviati in un’altra stanza per controlli più approfonditi. Notevole è la rappresentazione fotografica di questi momenti in cui esseri umani di ogni provenienza vengono classificati e ispezionati uno per uno, e più di una volta, come merci di scambio. Coloro che venivano “sorpresi” con malattie gravi e contagiose venivano rispediti al luogo di provenienza. Infine, nella terza tematica affrontata, una delle immagini ritrae un nucleo familiare. La famiglia, in alcuni casi, fungeva da luogo di aggregazione sociale oltre che di appartenenza. Luogo in cui si manifestavano i problemi di adattamento alla nuova società. Il salario dei mariti spesso era inconsistente a soddisfare i bisogni familiari, dunque le donne per buona parte dell’anno avevano la responsabilità di provvedere alla sussistenza con lavori a domicilio di tipo casalingo, oppure nelle industrie tessili o alimentari per le adolescenti. Nei “negozi del sudore” immigrati lavoravano per pochi spiccioli (significativa la tabella comparativa dei compensi orari in base alla razza e alla provenienza: White – Colored – Italian). I valori assegnati agli italiani erano i più bassi, segno evidente di ciò che essi rappresentavano nella scala sociale.
Al centro della mostra, alcune suppellettili che raffigurano gli strumenti di viaggio: le polverose vecchie valigie a stento chiuse, i documenti di identità con le foto sgualcite. Questi, insieme ad alcune teche raffiguranti dei test per adulti e bambini, rappresentano l’ultima parte di una ricostruzione a sottolineare la concretezza delle esperienze esposte in immagini: gli oggetti della memoria.
Per l’ultima giornata di eventi correlati alla rassegna sono intervenuti cantanti folk della musica popolare, quali Giovanna Marini e Mariano De Simone, che attraverso la loro interpretazione di alcuni canti popolari dialettali italiani, misti a quelli di altra provenienza quale quella irlandese, tedesca, polacca, ecc. hanno saputo tradurre il significato di quelle esperienze riconducendole sino ai giorni nostri. In particolare Mariano De Simone ha eseguito la performance canora canti di altri immigrati con l’ausilio di strumenti provenienti da quegli stessi paesi, quali l’Irlanda, la Germania e la stessa America.
Come dice Nino di Paolo: “c’è ancora una Ellis Island intorno a noi… che appartiene a tutti coloro che per varie ragioni non scelgono, ma sono costretti a dover abbandonare i luoghi in cui sono cresciuti.”
I diversi linguaggi che hanno accompagnato l’intera iniziativa, letterari, musicali e visivi, bene inseriscono la figura della cultura dell’emigrante come un tassello fondamentale a comporre la cultura del mondo.
Per illustrare lo scopo e l’importanza dell’iniziativa, che seppur in uno spazio ristretto ha riscosso tanto successo, chiedo al Professor Alessandro Portelli, docente di lingue e letterature anglo-americane presso il dipartimento di Anglistica dell’Università “La Sapienza” di Roma e presidente del Circolo Gianni Bosio, di approfondire alcuni aspetti significativi dell’emigrazione avvenuta tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ed in particolare di questa occasione che l’ha riportata alla luce.
E’ interessante spiegare ai lettori di I-Italy.org l’importanza che riveste la Casa della memoria e della Storia di Roma per la cittadinanza: per quale motivo nasce un’istituzione del genere?
Innanzitutto, è bene ricordare che l’istituto nasce dall’incontro di due considerazioni: l’esigenza che si era venuta a creare per alcune associazioni di ex-partigiani e antifascisti (ANEI, ANPI, ecc.) rimaste senza una sede in cui conservare le documentazioni relative al periodo della resistenza, per continuare il loro lavoro di ricerca e divulgazione storica; d’altra parte, si è però arrivati alla conclusione che sarebbe stato sbagliato racchiuderli semplicemente in uno spazio ristretto senza un vero e proprio scopo, come ghettizzarli. Ed è per questo che mano a mano ci si è avvalsi del supporto di alcune istituzioni, quali l’Istituto Storico della Resistenza (già Istituto Romano per la Storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza) e del Circolo Gianni Bosio con l’Archivio Sonoro “Franco Coggiola” proprio per supportare il lavoro di ricostruzione, conservazione e promozione della memoria del Novecento. La divulgazione di tali elementi, tutti costitutivi dei valori e delle origini della democrazia, attraverso un lavoro scientifico contribuiscono a rendere consapevole la cittadinanza.
Tra le associazioni, il circolo “Gianni Bosio” di cui lei è Presidente, di cosa si occupa?
Il circolo Gianni Bosio è un istituto culturale prettamente musicale che si occupa della cura e della ricerca delle fonti orali e popolari a completa disposizione di studenti o studiosi desiderosi di approfondire tali discipline. Insomma, uno spazio pubblico in cui si “canta” la memoria.
Nell'ambito della conservazione e della ricostruzione della memoria come si colloca il soggetto curato nella mostra "Ellis Island - Italiani d'America"?
L’iniziativa nasce da una proposta del Gen. Nino Di Paolo quale discendente di emigranti che dall’Abruzzo partirono verso il Nuovo Mondo come altri. La sua è stata un’appassionata ricerca che ha avuto inizio prima a Cansano, nel museo dell’Emigrazione, per poi concludersi a Roma. Le occasioni addotte all’organizzazione della mostra si devono da una parte alla volontà di riportare all’attenzione della cittadinanza e dei visitatori una vicenda storica importante; dall’altra per riflettere sul nostro rapporto conflittuale con l’immigrazione attuale.
Come avviene il passaggio, se di passaggio si tratta, dal racconto personale, derivante da esperienze uniche in situazioni così difficili, a racconto collettivo, corale?
E’ compito precipuo dello storico quello di costruire, attraverso il lavoro di studio e di ricerca, una narrazione e un’analisi critica delle memorie e le esperienze che vengono riportate dai protagonisti. Raccogliere le testimonianze e riscontrarne la valenza storica attraverso un costante studio e approfondimento, rende il racconto personale, soggettivo, testimonianza storica di valore collettivo. Gli stessi protagonisti sono coscienti dell’utilità e del valore delle proprie memorie volti alla ricostruzione della coscienza storica del paese.
Il nucleo familiare che tipo di mutazione subisce dal momento in cui inizia una nuova vita in un paese sconosciuto?
La famiglia è soltanto una delle letture che possono darsi dell’esperienza di migrazione e all’interno della mostra si è scelta questa lettura per l’importanza di aggregazione sociale che essa aveva una volta giunti in un paese sconosciuto, in cui si era ricchi solo della propria identità. Tuttavia anche persone sole decidevano di intraprendere il viaggio ed eventualmente formare un proprio nucleo familiare.
Che tipo di reazione ha suscitato nei lavoratori americani l'assunzione, sotto sfruttamento dei lavoratori stranieri, e soprattutto italiani, alla luce di ciò che risulta dalle tabelle dei salari suddivise in ‘White’ ‘Colored’ and ‘Italian’?
Bisogna subito tenere conto del fatto che esisteva un’idea del lavoro fondata sulla minima distribuzione e alta retribuzione, dunque i lavoratori americani già discriminanti contro i lavoratori afro-americani non vedevano di buon occhio l’arrivo di questa massa di stranieri che abbassavano i salari e diminuivano le possibilità di impiego. Ma fu proprio dall’arrivo di questi emigranti che si crearono le prime organizzazioni sindacali fino al Congress of Industrial Organization degli anni ’30 del secolo scorso.
Leggendo prima e ascoltando poi il testo della canzone “Chist’è New York” di Giuseppe de Laurentis, si capisce come la lingua ufficiale, l’inglese, abbia potuto fare da veicolo e insieme da collante all’uso del dialetto dei migranti. In che modo avviene la contaminazione tra dialetto e lingua ufficiale?
L’inglese entra quotidianamente nella vita degli emigranti e si evolve in base alle necessità. Basti pensare al fatto che gli emigranti di cui ci occupiamo nella mostra erano braccianti agricoli, contadini e certo non avevano mai visto ascensori o palazzi, per cui niente di più automatico per loro era chiamare l’ascensore “elevatora”. Nella canzone di De Laurentis, il protagonista fa riferimento alle “ghelle”, cioè girls ragazze.
Durante il periodo dell'immigrazione più massiccia, oltre a quella italiana ed europea in genere, ovviamente si deve far riferimento anche ad altre esperienze quali quella cinese o latina. Come è cambiata la cultura popolare di questi tipi di immigrazione oggi?
Oggi grazie ad altri tipi di immigrazione più massiccia quale quella latino-americana ad esempio, la cultura popolare diventa sempre più bilingue dal ghetto ai quartieri residenziali, per le strade, tutto è esposto in due lingue: l’inglese e lo spagnolo. Anche nei primi anni del Novecento e oltre gli anni della seconda guerra mondiale, altri tipi di immigrazione si affacciavano sempre di più come quella cinese. Un’altra delle canzoni di cui abbiamo parlato la sera del 26 febbraio, durante la Guida all’Ascolto che precedeva le esibizioni dei cantanti di musica popolare, è quella di Chris Kando IIjima, Joanne Nobuko Miyamoto e Charlie Chin del 1970. Nel verso “We…who live their stamp on America” e nella canzone tutta si può avvertire la volontà e il desiderio di dare un significato alla partenza di “lasciare un segno sull’ America”.
L’iniziativa è speculare ad una precedente tenutasi proprio nel Museum of Immigration di Ellis Island nel 2000,”Lifeline” organizzata dalla scrittrice italo americana B. Amore (Bernadette D’Amore) che, attraverso l’esposizione di oggetti, sculture, documenti e storie appartenuti soprattutto alla propria famiglia d’origine, ha voluto condividere la ricostruzione della propria memoria come segno d’identità culturale che è stata anche punto di partenza della sua arte.
La scrittrice presenta il 2 marzo a Roma il suo nuovo libro, un visual novel tratto dalla suddetta mostra, “An Italian American Odyssey – Life Line through Ellis Island and Beyond” (Center for Migraton Studies, New York 2006). Un inconsapevole cerchio storico che dall’atlantico al mediterraneo e viceversa ha traghettato due tipologie di esperienze, personale e collettiva, entrambe figlie di un unico grande sogno.
Source URL: http://newsite.iitaly.org/magazine/article/ellis-island-roma-italiani-damerica-un-esercizio-di-memoria
Links
[1] http://www.culturaroma.it/spaziperlacultura/28/schedacultura.asp