Solo cinque spettatori al suo concerto d’esordio in un piccolo teatro napoletano, oltre cinquantamila in piazza dinanzi al Duomo milanese recentemente. Fra questi due poli oscilla l’ancor giovane carriera di un genio,
Giovanni Allevi, [1] compositore ed esecutore di gran stile, raffinato, coraggioso e deciso a raggiungere il sogno di libertà e di umanità che solo la musica riesce a suggerire (e a realizzare). Concerti un po’ ovunque nel mondo per il pianista nato nel ’69 ad Ascoli Piceno, con più di qualche "puntata" al di qua dell’Atlantico, per conquistare l’America, al prestigiosissimo Blue Note di Manhattan. Composizioni originali e suggestionanti le sue, un’ispirazione genuina che dalla tradizione, conosciuta assai bene ed amata, si muove verso un futuro di novità e di maggiori libertà espressive. Tutti concordi, quindi, giovani soprattutto, ma anche il pubblico più compassato, quello abituato alla solennità delle Hall consacrate essenzialmente al passato.
"Si studia per anni e anni. Si insegue un ideale di perfezione irraggiungibile. Poi iniziano i corsi di perfezionamento, nella speranza di entrare nelle grazie di qualche potente. Arrivano i primi concerti, le prime soddisfazioni, magari il posto di insegnante... Ma senti che il mondo è altrove, che i tuoi immensi sacrifici non vengono riconosciuti. I grandi concertisti sono pochi, sempre gli stessi, pilotati da logiche di agenzia. E arriva l’ansia. E’ più facile prendersela con me, perché ho alterato il sistema, non mi sono arreso ad esso, creandone uno tutto nuovo, parallelo e vero, che ha messo in dubbio le loro poche ultime certezze".
Che la musica si rinnovi continuamente, che sia sacrificio, espressione di una quotidianità sempre alla ricerca di un mondo comunque migliore e più equo (non solo nell’arte) è missione per il Nostro che, ne «La musica in testa» (Rizzoli), non affida il suo sé ad una formale autobiografia ma "spiega" le ragioni profonde e sincere del suo essere uomo ed artista insieme, il confronto col reale e la lotta contro l’ottusità di chi dubita che il nuovo possa "vero". Una vera e propria lezione di... filosofia questa di Allevi, che ci fa compagnia con i suoi dubbi esistenziali, le sue fobie e le sue attese, e ci aiuta a meglio comprendere, attraverso le sue "normali" difficoltà, quanto e quanti ci vivono intorno.
"L’emozione è il linguaggio attraverso cui si comunica con sinserità, mettendosi a nudo, senza timore di mostrarsi fragili e indifesi, perché la fragilità è la nostra forza, in un mondo trascinato dalla ragione verso la competizione estrema".
E di emozioni la sua musica ne offre in quantità e qualità impressionanti. Grande tecnica non solo, ma anche, se non soprattutto, un cuore grande così e una mente che non evita il confronto con i compositori più famosi, ma riesce a dialogare con loro, a staccarsene con coraggio e determinazione, e ad affermare dietro ogni nota le sue idee, seguendo il concetto che la musica sia evoluzione e non rottura rivoluzionaria con quanto sia stato prima, e senza l’ansia dell’originalità a tutti i costi; quest’ultima, anzi, viene spontanea proprio attraverso quel rimuginìo che è il tormento sanguigno e palpitante della creazione.
"Chiunque affronti un’attività artistica e creativa entra in diretto contatto con il mistero delle cose. E scopre che la quotidianità, privata del disincanto grazie all’Arte, è capace di regalare squarci di senso e lampi di divino".
Poesia quindi, oltre che filosofia. Sete di perfezione, tensione costante, e coscienza dei limiti dinanzi al trascendente, all’assoluto verso cui la musica è viatico (e anche sofferenza), testimonianza inesauribile della sorpresa e dello stupore dinanzi a quel che non si riesce a cogliere con lucidità. La musica vibrante di Allevi è tutto questo: una via essenziale, catartica e necessaria, che conduce all’uomo ed al suo cuore, e ne sottolinea la sete di stelle e d’infinito.
(Pubblicato su Oggi7 del 18 maggio 2008)
«La musica in testa»,
di Giovanni Allevi,
pp. 222, Rizzoli, Milano, 2008,
Euro 15,00Mu