Mentre Mercegaglia e Marchionne litigano a Barletta si muore per 3 euro e 95 centesimi all'ora

Maria Rita Latto (October 04, 2011)
Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, annuncia che dal primo gennaio 2012 Fiat e Fiat Industrial lasceranno Confindustria. Poche ore dopo in Puglia si è verificato il crollo di un palazzo di due piani che per un cedimento strutturale inghiotte dieci persone, tra cui cinque operaie al lavoro in uno scantinato fatiscente adibito a opificio. Continua il tragico conto delle morti bianche. Con questa Triangle Factory italiana il nostro Paese va ancora indietro nel tempo, alle morti sul lavoro avvenute cent’anni fa


"La firma dell'accordo interconfederale del 21 settembre ha fortemente ridimensionato le aspettative sull'efficacia dell'articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l'impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale".

 

Con queste parole contenute in una lettera datata 30 settembre indirizzata a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, annuncia che dal primo gennaio 2012 Fiat e Fiat Industrial lasceranno Confindustria. Una rottura annunciata, frutto delle divergenze sul tema dei contratti nazionali e sull’effetto “anestetizzante” che l’accordo dello scorso 21 settembre ha, di fatto, sull’articolo 8 della manovra di bilancio del governo. Questo articolo, visto dalla Fiat e dal suo ad come essenziale per poter avere più libertà di azione nelle contrattazioni aziendali e quindi per stare sul mercato globale, dava alle aziende facoltà molto più ampie anche in tema di licenziamenti. Le potenzialità dell’articolo 8 si sono tuttavia ridotte di molto con l’accordo tra Confindustria e Sindacati.

 

Nella sua lettera alla Marcegaglia Sergio Marchionne sottolinea: "Fiat, che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato. Per queste ragioni, che non sono politiche e che non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento, ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno scorso, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria". E ancora più esplicitamente, pressato dalle domande dei giornalisti, Marchionne è andato oltre la lettera, affermando che “per noi la Confindustria politica ha zero interesse”.

 

Intanto, mentre i cosiddetti “padroni” litigano tra di loro, lo scorso 3 ottobre a Barletta, in Puglia, si è verificato il crollo di un palazzo di due piani che per un cedimento strutturale è imploso inghiottendo dieci persone, tra cui cinque operaie al lavoro in uno scantinato fatiscente adibito a opificio che ieri si è trasformato in una trappola mortale. E non c’è stato niente da fare per Maria, 14 anni, la figlia del titolare della maglieria che ieri era uscita un’ora prima da scuola ed era andata a cercare i genitori al lavoro e per altre quattro donne, quattro operaie, Matilde, Giovanna, Antonella e Tina, che si trovavano all’interno dell’edificio.

 

Una tragedia, assurda, che proietta il nostro Paese indietro nel tempo, alle morti sul lavoro avvenute cent’anni fa ed anche oltre. Come non pensare alle opere dickensiane che narravano le condizioni massacranti di chi lavorava nelle workhouses della Londra ottocentesca, o all’incendio avvenuto a Manhattan, alla Triangle Factory, dove nel 1911 morirono 146 donne tra le fiamme? Non c'erano idranti né uscite di sicurezza al nono piano del palazzo nella Manhattan industriale dei primi del Novecento. Le condizioni di lavoro di quelle donne erano ancora obsolete, con orari massacranti, spazi da sardine, paghe decise di volta in volta dai capireparto. La sicurezza, poi, era inesistente, specie in fatto di incendi. Le scale più alte dei vigili del fuoco arrivavano al sesto piano quando la metà degli opifici si trovava al di sopra del settimo.

 

E poi ecco cent’anni dopo riproporsi il dramma di donne costrette a lavorare “in nero”, senza contratto, per poter vivere, anzi per sopravvivere, per poter pagare il mutuo della casa o per consentire ai propri figli di fare una vita almeno accettabile. A Barletta, nel sottoscala del palazzo crollato c’era il laboratorio di confezioni dove un gruppo di donne cuciva magliette e tute da ginnastica, lavorando dalle 8 alle 14 ore al giorno per 3 euro e 95 centesimi all'ora. Una paga da terzo mondo, una situazione da terzo mondo, una storia che la dice lunga sul Meridione d’Italia, sulle donne che vi abitano. Nella nostra Italia popolata da tante donne disposte a tutto (basti pensare alla famosa intervista con la escort Terry de Nicolò, pronta a passare sul cadavere della madre pur di vivere nel lusso ed avere successo) anche le morte di Barletta appaiono come donne disposte a tutto, con la differenza che pur di potersi sposare, dare una mano ai magri bilanci di famiglia accettavano un lavoro ai limiti della sopravvivenza. Disposte a tutto, anche a lavorare in condizioni estreme, pericolose, ignare del rischio di non tornare più a casa dai propri cari. 

 

Dura, in merito, la presa di posizione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha subito inviato un messaggio al sindaco della città Nicola Maffei. “L’inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora, impone l’accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità e soprattutto l’impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e di vigilanza” ha detto il capo dello Stato.


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