L’impegno politico e sociale oltre la rete

Gennaro Matino (April 26, 2016)
Soli, sempre più soli, drammaticamente soli, per scelta e non solo per avversità. Ci accontentiamo della finzione della rete dove postare l’immagine più artefatta, la più lontana da noi stessi, ci accontentiamo di amici virtuali, ci commuoviamo in rete, ridiamo in rete e cerchiamo dalla rete il consenso, l’applauso, la soddisfazione di esserci. E con un click, un mi piace o una faccetta, trasformiamo l’effimero in essenziale, il pettegolezzo in verità, l’attrazione in prostituzione di sentimenti, la curiosità in morbosa intromissione nel buco della serratura della vita degli altri. Se la presunta vita democratica del nostro Paese passa per questa insostenibile solitudine, allora la vita politica di questo Paese è una barzelletta.



SE la rete è lo specchio dell’Italia allora c’è da preoccuparsi. Nulla da dire sulla grande opportunità che offre uno strumento di comunicazione di massa, indubbio il merito delle grandi community che hanno cambiato lo stile di vita dei cittadini nel mondo, ma non basta una tastiera e uno schermo per saper comunicare, come non basta una penna per saper scrivere.




La comunicazione è un aspetto fondamentale della vita e dei rapporti umani, l’uomo è parola detta e ascoltata, ogni uomo è il risultato di parole ricevute ed è responsabile di quelle da passare, è la parola che ci rende uomini. Comunicare è dire all’altro ciò che sei, è passare nel segno e nel fiato la vita ed è per questo che comunicare, per l’uomo che dà valore all’umano, che ritiene la libertà sacra, è il dovere diritto di parole che devono essere gestite sempre più come incontro e confronto di esperienze e culture diverse, scambio di pensieri contrari, libertà di dire nel rispetto della differenza, e non come scontro e conflitto di mondi incomunicabili.




Ogni evento, storia e fatto della vita vengono sottoposti alla radiografia spesso vera, giusta e a volte spietata dei mass-media e della rete, ma non possono diventare volgare materia di contrapposizione violenta che trasforma in nemici chi ha la sola colpa di pensarla diversamente. Quella che potrebbe essere definita il più democratico dei luoghi di incontro, la rete, può trasformarsi, senza etica della parola scambiata, in squadrismo, in gratuita violenza da usare come strumento rivendicativo di lotta malata. Basta leggere i post che l’ultima chiamata referendaria ha provocato negli opposti schieramenti per comprendere quanto sia lontana la democrazia nel nostro Paese, di quale orda barbarica sia popolata la nazione degli opinionisti per caso.




Uguale scenario che si ripete puntuale per eventi diversi ma non distanti di inaudita volgarità, come regalare insulti alla squadra avversaria che si vuole morta, al diverso per fede che si manda al rogo, alla parte politicamente opposta che si vuole distrutta. Cosa è il razzismo, anche nelle sue forme estreme e violente, cosa è il disgusto e l’avversione crescente per il diverso, che sia profugo o altro, se non una mancata comunicazione tra universi culturali che invece potrebbero scambiarsi molto, potrebbero passarsi vita, se non altro il comune senso di appartenenza al genere umano? Ci si sorprende ipocritamente perché la gente non va a votare, perché la gran parte delle persone si sente fuori dall’universo politichese e non si fa autocritica, non si ha il coraggio di dichiarare che da tempo la gran parte di noi ha condannato all’insignificanza lo scambio umano di cui la politica è materia prima ridotta ormai a merce di scarto.




Soli, sempre più soli, drammaticamente soli, per scelta e non solo per avversità. Ci accontentiamo della finzione della rete dove postare l’immagine più artefatta, la più lontana da noi stessi, ci accontentiamo di amici virtuali, ci commuoviamo in rete, ridiamo in rete e cerchiamo dalla rete il consenso, l’applauso, la soddisfazione di esserci. E con un click, un mi piace o una faccetta, trasformiamo l’effimero in essenziale, il pettegolezzo in verità, l’attrazione in prostituzione di sentimenti, la curiosità in morbosa intromissione nel buco della serratura della vita degli altri.

Se la presunta vita democratica del nostro Paese passa per questa insostenibile solitudine, allora la vita politica di questo Paese è una barzelletta.




Il rapporto vita e politica è un rapporto sofferto, che passa per le mani di uomini che diversamente orientati condividono la vita come uomini, non come robot, tantomeno da controfigura, che desiderano da diverse posizioni una vita migliore per tutti che se diventa virtuale e non fatica quotidiana di risoluzione dei problemi veri della gente può risolversi nella mostruosità di forme totalitarie, lontane certo da quelle del passato, ma che tuttavia possono riproporre riveduto e corretto il pensiero unico come il più praticabile.




Può risolversi in disgustosa querelle, come quella appena consumata all’ombra di un referendum, dove i pretesti sono diventati più importanti dei contenuti, dove la strategia dell’annientamento dell’avversario è stata palesemente più ricercata che le ragioni e i significati di una convocazione popolare. L’impegno politico e sociale va oltre la rete, deve poter andare, senza generalizzare, oltre il gratuito chiacchiericcio di chi al tempo delle parole significative ha dato potere alle parole inutili che nel tempo dell’insignificanza sono diventate parole di odio, quelle più ascoltate.

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