Le scuse di Mark Zuckerberg

Gennaro Matino (October 15, 2017)
Il creatore e fondatore di Faceook ha riconosciuto nel giorno più solenne per lui, ebreo, che qualcosa nel suo lavoro non va. Non è una critica dall’esterno al sistema Facebook, è la presa di coscienza di chi sa che anche la sua invenzione è a rischio di durata se consente alla pura libertà di parola di essere tradita, di chi sa che proprio la libertà senza regole ha permesso a Facebook di diventare così potente da rischiare oggi di distruggere se stesso.

«Chiedo scusa se il mio lavoro è stato usato per dividere le persone». Così Mark Zuckerberg nel giorno di Yom Kippùr, il giorno in cui gli ebrei fanno ammenda dei loro errori, per i peccati commessi nel corso dell’anno. E ha aggiunto: «Proverò a fare meglio il mio lavoro». Un esame di coscienza coraggioso e impietoso, inaspettato se proviene dal signore di Facebook, il re della comunicazione globale, il domino degli scambi di faccia e parole, l’uomo del potere oltre ogni controllo che si allarga a dismisura di valore economico e di persuasione politico globale.

Le regole servono alla libertà per respirare e la verità è parte stessa delle regole che l’uomo si dà per non offendere la libertà dell’altro. In rete non ci sono regole che tutelano la libertà. Il cielo stellato di ogni possibilità umana, la curiosità di oltrepassare la frontiera del possibile, il sogno di andare oltre la ricerca dell’altro e degli altri, naufraga nel mare della volgarità e dell’inganno quando la regola, la legge morale scritta dentro ogni uomo, è resa straniera. Un grande mezzo di comunicazione come Facebook può essere una via planetaria per la libertà, può permettere a diversi di incontrarsi e scambiarsi vita, ma può essere anche il luogo dove la libertà naufraga, imprigionata dalla dittatura della menzogna, genere diffuso tra chi all’essere sceglie l’apparire e l’apparire si inventa per nascondere il vero di se stessi di cui ci si vergogna, della realtà, della quotidiana verità, unica che permette alla vita di respirare. La vita affettiva, le relazioni interpersonali, la costruzione faticosa del dialogo, incontro e scontro di parole non possono rinunciare alla verità, sarebbe rinunciare a vivere.

Oltre il privato scambio, oltre il passaggio di decenza e indecenza che la rete offre ai singoli internauti, la finzione come potere è potere nelle mani di chi sta dominando il mondo e ancora di più vuole costringerlo al dominio di pochi vendendo notizie false prefabbricate ad arte, costruite per indirizzare voti, consensi, dinamiche di appartenenza e di rifiuto, scegliendo la pseudo democrazia della rete che mai può essere vera perché impossibilitata per sua natura alla totale trasparenza, perché dietro a uno schermo non è certo che sempre ci sia un essere libero e pensante e soprattutto onesto. Sento ripetere che la potenza di un mezzo di comunicazione e il suo corretto uso sta nella conoscenza che se ne ha, dell’utilizzo che se ne fa. E non si può essere che d’accordo benché resti retorica se l’analfabetismo dei nuovi linguaggi non ha mai avuto piena e visionaria attenzione da chi ha responsabilità politiche e pedagogiche.

I poteri oppressivi del passato facevano leva sulla disinformazione, sulla persuasione occulta o ingannevole convincendo dell’assoluta necessità di affidarsi alla parole dei venditori di menzogna che unici sembravano capaci di salvare il mondo. Tutto falso, tutto costruito ad arte, tutto passato nella rete dell’informazione di allora compiacente e venduta. Niente di diverso dal prodotto politico, sociale, economico avariato e guasto che oggi in Facebook o altrove in rete si vuole vendere a tutti i costi come salvifico anche se tragicamente mortale. Con quale mezzo l’Isis ha fatto reclutamento dei folli interpreti del Corano o Trump ha convinto l’America del suo incubo? Come Erdogan sottomette i turchi e Putin i russi? Come si costruiscono armi “fai da te” per organizzare stragi? E in casa nostra i vaccini diventano condanna a morte. Un Far West dove tutto e il contrario di tutto è ammesso. Non una regola, non una possibilità di discernimento, non un percorso di libero scambio fondato sulla decenza della libertà di parola che è altra cosa dalla libertà della menzogna.

Mark Zuckerberg ha riconosciuto nel giorno più solenne per lui, ebreo, che qualcosa nel suo lavoro non va. Non è una critica dall’esterno al sistema Facebook, è la presa di coscienza di chi sa che anche la sua invenzione è a rischio di durata se consente alla pura libertà di parola di essere tradita, di chi sa che proprio la libertà senza regole ha permesso a Facebook di diventare così potente da rischiare oggi di distruggere se stesso.

La libertà ha bisogno di essere educata, di lasciare spazio al tempo della verità per la sua crescita. Nella nostra vita avere  continuamente a che fare con la libertà è affrontare un rischio, uno sbaraglio. La democrazia ha tutti gli ingredienti perché la libertà si salvi o si suicidi, possiede tutti gli enzimi con i quali può fabbricarsi il suo messia o il suo sterminatore. Per questo se vuole durare, la democrazia va continuamente rifondata, va rinnovato il patto tra uomini liberi che sanno che le regole non sono un optional del bene condiviso. Ancor di più in rete, ora.

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