Le parole ... parole... della politica

Gennaro Matino (January 21, 2018)
Insopportabile, insostenibile, inconsistente politica parolaia, becera propaganda ad uso di sudditi ignoranti e sprovveduti, mercato truccato della vendita “del tutto è possibile se scegli noi”, volgarità di partiti che, in questa noiosa e volgare kermesse elettorale, rappresentano solo se stessi. E qualcuno spera perfino di portare la gente al voto! Si ha come la sensazione che mai come oggi, mentre la parola “democrazia” viene usata a sproposito da destra a sinistra, se ancora esiste una destra e una sinistra nella politica italiana, mentre attraversa il quotidiano come se fosse valore acquisito, ne abbiamo perso di vista la sua forza reale, e così facciamo di questa magica parola un uso nauseante, come nauseante è quello di responsabilità, di partecipazione.

Mi ripeterò, ne ho già scritto, ma dopo il ventennio fascista, quello berlusconiano ha distrutto la politica italiana e l’ultima legislatura, benché si sia sforzata di dare un miglior assetto ai percorsi democratici, non ha convertito l’esperienza politica, non è riuscita a farla uscire fuori dal suo degrado, dalla sua decadenza. Resta il vuoto di valori intorno a cui la politica deve ragionare, determinando la caduta della memoria, permane l’adesione a modelli culturali ed etici bassissimi in diversi campi dell’agire individuale e sociale. L’italiano dimentica in fretta e in fretta si lascia sedurre da chi già lo ha ingannato, svenduto, umiliato. Un secolo fa nella sua lucida analisi Antonio Gramsci scriveva: “ Il fascismo si è presentato come l’anti- partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano”. Cosa c’è di diverso oggi?

Una proposta politica di puro potere come occupazione senza limiti di tutti gli spazi e le sedi occupabili confondendo il governare con il comandare. È quel vecchio volto di potere che si rigenera, che si ricicla e che usa arroganza verbale, ossessione di apparizione, demonizzazione della dialettica, arte antica per investigare anche con l’avversario le vie possibili della verità. Vecchio è cambiare casacca mentre il pallone è ancora in gioco. Vecchia è la consuetudine di legittimare politicamente gli interessi di parte e asservirsi ai più forti per necessità di scanni. Vecchio è tradire le idee fino a un attimo prima professate e passare armi e bagagli nelle formazioni politiche vincenti. Vecchio è l’uso dei mass media pubblici che dovrebbero essere di servizio sociale come appannaggio solo dei più forti limitando la democrazia delle idee. Vecchio è l’accentramento del potere e non la delega, la sussidiarietà. È vecchia la rissa quotidiana senza proposte, la contrapposizione verbale per divertimento televisivo, la fuga dai contenuti e dalle idee, la scelta dei compagni di partito tra chi è pronto ad essere gregario e non competitivo. Vecchio è il politico che prima degli interessi collettivi antepone i suoi.

E non tutto quello che è venduto come nuovo lo è veramente, perfino i movimenti che si propongono come alternativa al sistema, si dicono pronti a governare anche con il peggiore degli alleati possibili del passato regime purché si arrivi al governo. La politica è altra cosa, è pensare insieme alla costruzione del futuro, insieme organizzare la speranza.

La democrazia è luogo di sintesi di pensieri diversi, è dare parola a tutti, e a tutti consentire la parola contraria. Ed è per questo che la politica democratica non è la scienza dell’assoluto, del qui decido io, non è la scienza del solo compromesso ma della mediazione, della programmazione, è arte di governo della sintesi di desideri molteplici che mira al bene collettivo. Chi lotta per la libertà sua e degli altri, chi crede nella democrazia a tutti i livelli possibili, si pone come segno di contraddizione del sistema di potere che uccide le speranze, va contro l’imbarbarimento dei nostri giorni che rischia di rafforzare il dispotismo pensiero. Forse non riceverà il riconoscimento degli uomini, ma gli basterà quello della sua coscienza per restare in armonia con se stesso e vincere il disagio che opprime dentro quando di fronte ai despoti si resta inermi. Nel Suk delle parole di fumo la propaganda dei venditori di nulla avanza e nel triste dibattito che allontana sempre di più la gente dalla partecipazione, muore la democrazia. Un già visto che la storia ha raccontato, le sue conseguenze dolorose, un fatto che dovrebbe far riflettere. Ma la storia non è maestra di vita, se lo fosse davvero gli italiani non permetterebbero, ancora una volta, di essere presi in giro.

*Gennaro Matino, teologo, scrittore, docente di teologia pastorale e parroco a Napoli

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