“Laudato sii”. Per sfidare i potenti della terra e custodire il Creato
“Laudato sii”, l’enciclica ecologica del pontefice che sfida i potenti della terra che, avendo eretto altari all’economia diabolica, hanno messo a rischio la vita del pianeta. “Laudato sii”, il perenne cantico delle creature che, da San Francesco a Papa Francesco, sprona gli uomini di buona volontà ad essere custodi della terra.
Un testo suggestivo, una visione alta e commovente della storia umana, centonovanta pagine di scrittura creativa, meditativa, emotiva. Un inno alla speranza contro ogni speranza, desiderio di nuova sostanza, di fiducia, di potercela fare insieme, tutti gli uomini, tutta la vita che brulica intorno e dentro al giardino di Dio, mentre previsioni apocalittiche condannano il pianeta ad una fine drammatica.
Il futuro, per quanto compromesso, è rimesso ancora nelle mani dell’uomo. Parola di Papa, ci si può credere. Comunque si deve, in assenza di alternative: “…sappiamo che le cose possono cambiare, il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato”.
“Viviamo in un giardino affidato alle nostre mani”, ricordarlo è difendere la vita stessa, è rendere grazie al Signore del creato. Un impegno che riguarda ogni uomo e che obbliga il credente a dare ragione della propria fede, amando e custodendo ciò che gli è stato dato in consegna.
Custodire piuttosto che salvaguardare, rimando alla pagina biblica dell’origine: l’universo e il mondo, l’uomo e le creature, tutte sono famiglia di Dio. Custode è l’uomo e, nella missione che gli è stata affidata, il suo ruolo non è di padrone. Coltivare la terra, proteggerla, difenderla (cf. Gn2,15) è dare spazio all’armonia del dialogo con i diversi vissuti, non solo è affondo di aratro e tenuta di briglie ma è dialogo intraumano. E’ permettere all’uomo, difendendo il suo ambiente vitale, di restare tale.
“Custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino… Noi, invece, siamo guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare”.
La lotta per la bellezza, per conservare intatta l’opera di Dio, si è dimostrata titanica: l’uomo deve lottare perfino contro un perfido ingranaggio di autodistruzione messo in moto dagli egoismi più perniciosi. Lotta quotidiana che si aggiunge a quella che deve mettere in atto per la difesa del creato. I cieli e i mari ridotti a immondezzai: piogge acide, inquinamento atmosferico, rifiuti tossici aggrediscono ogni giorno il giardino di Dio. Gli animali della terra, compagni di viaggio dell’uomo, seviziati in ogni modo. La bramosia di potere che ha creato le mille Babele dell’incomprensione ha ridotto il mondo in spazzatura. E come conseguenza di tutto questo i custodi sono diventati gli avidi soppressori delle cose che avrebbero dovuto custodire. E tra di loro si è organizzata un’aspra contesa di chi ha più diritti, di chi deve avere più spazi, di chi deve possederne più parti, di chi deve appropriarsi di più beni. La più bella delle creature, imbastardita dalla bruttezza dell’avidità, rischia di perdere i connotati dell’umanità che rimanda ai tratti del divino.
È fondamentale cercare «soluzioni integrali», sentenzia il papa, «che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».
Nel pensiero di Bergoglio, «la crescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e ridurre i costi. Per questo è necessaria un’ecologia economica, capace di indurre a considerare la realtà in maniera più ampia. Infatti, «la protezione dell’ambiente dovrà costituire parte integrante del processo di sviluppo e non potrà considerarsi in maniera isolata».
Educare alla custodia del creato è educare alla vita stessa. Percorso faticoso, ma esaltante, che vede insieme diverse generazioni a riscoprire la bellezza del creato nella gratuità come libertà in tempo di odiose schiavitù, la reciprocità che permette di sentirsi parte e disponibili all’incontro in tempo di contrapposizioni violente, riparazione dal male che si oppone a ogni fatalistica rassegnazione che il mondo non possa cambiare. Un bellissimo midrash recita: «Guarda le mie opere, quanto sono belle e degne di lode. Tutto quanto ho creato, l’ho creato per te. Stai attento a non rovinare. E a non distruggere il mio mondo, perché se farai così non ci sarà dopo di te chi possa porre rimedio ai tuoi danni» (Qohelet Rabbah 7,28).
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