Dialogare con la morte rende meno dura la vita

Gennaro Matino (November 10, 2015)
È l'unica esperienza che ci chiama ad essere soli di fronte al mistero, Da affrontare da soli, senza poter delegare nessuno



"OGN'ANNO, il due novembre in Italia, c'é l'usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll'adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero". Così recitava Antonio de Curtis, rimando a un passato che sembra lontanissimo, in cui la commemorazione dei fedeli defunti era un evento che si spartiva casa per casa. Ai cimiteri per lo più ci si recava in pullman affollati da uomini e donne, colorati dal nero del lutto e dal giallo e dal rosso dei crisantemi. La solita litania sul cambiamento del clima e delle stagioni, come sosteneva qualche vecchina che a stento si reggeva in piedi, ma che niente l'avrebbe fermata, costasse la vita, dal fare visita ai propri morti.

 

Tra una risata, un pianto, uno spintone si arrivava al cimitero con cardellini in gabbia, pane cafone in bella vista, torrone per far festa, palloncini colorati e bambini, tanti, con salvadanai forgiati a tomba a cercare soldini: «Signurì e muort».

 

Altri tempi, difficile dire se migliori, ma ogni anno sempre meno gente si reca ai cimiteri, solo vecchi, tanti rimpianti, interpreti di un passato difficile da passare oggi che la memoria del caro estinto non trova più spazio nell'era del mito dell'eterna giovinezza, perché non trova più spazio l'evidenza della morte che si cerca invece di nascondere, di ignorare, benché essa aggredisca il quotidiano con maggiore ferocia. In realtà la finzione dura poco, fino a quando l'illusione di essere risparmiati dalle domande di senso non lascia spazio all'irruzione del dolore che, inevitabile come la morte, prima o poi arriva.

 

E allora le domande evitate fino a un istante prima, cercano aria per dare senso al senso che manca, al tempo perso a imbellettare una realtà camuffata e lontana dall'umano. Perché tanto dolore nel mondo? Perché la morte? Perché la sofferenza dell'innocente? Colpa di Dio? E se Dio non esistesse? Distratto dalla crisi dei mercati e dal valore della sola economia, l'uomo contemporaneo ha cercato in tutti modi di nascondere a se stesso la verità della vita. Parlare di sofferenza e di morte è immaginare dialoghi impossibili con chi fugge la morte e con chi con ogni mezzo in suo potere cerca di tenerla nascosta. Intanto sulle nostre sponde il grido di dolore di un'umanità in cerca d'aria provoca pensieri. Il mondo con le sue tragedie e il rumore delle guerre, dei morti per fame, seviziati dall'orrore di brutali carnefici, è avvertito sempre più vicino e investe il quotidiano. E poi la morte che spoglia gli affetti, denuda sostanza d'incontri. Come nascondersi, come evitarne la presa? L'uomo è uomo quando percorre la strada esaltante e dolorosa della conoscenza della verità, perché è nella verità che si diventa liberi.

 

Nascondere il vero è tradire la libertà. Il morire è percorso legato alla stessa vita, è esperienza che lascia tracce di memorie e consegne di senso. Pensare la morte è esprimere un giudizio, darle significato, è affrontare consapevolmente la via naturale delle cose. Si potrebbe dire: «Dimmi cosa pensi della morte e ti dirò chi sei, in cosa credi». Il pensare la morte, renderla comprensibile alla struttura dell'essere, fa l'uomo libero. Ignorarla, nasconderla è imbastardire la vita, tanto più che la morte è l'unica esperienza che ci chiama ad essere soli di fronte al mistero. L'affronteremo soli, senza poter delegare nessuno. Il nascere è compagnia che si libera, la morte è compimento di identità. Heidegger affermava che nella morte il soggetto non può essere sostituito. La morte è l'unica situazione in cui l'uomo è protagonista assoluto. Pertanto, tradire la morte può diventare tradimento di umanità, impedendo all'essere umano di essere capace di essere.

 

L'uomo contemporaneo nella perdita di senso, nell'orientamento mancato e nella ricerca affannosa di armonia, dimentica il dialogo con l'ultimo momento, impoverendosi di verità. Il giorno della commemorazione dei defunti è il giorno in cui il pensiero va ai propri cari che non sono più fisicamente con noi, ma è anche il giorno in cui siamo chiamati a riflettere sulla nostra stessa esistenza. Esorcizzando la morte si rincorrono futili cose, si finisce con lo scontrarsi impreparati con la verità della vita. Di fronte all'inesorabile baratro del nulla, nulla può esserci di conforto, nessuno può aggiungere una sola ora alla nostra esistenza, nessuno può restituirci gli affetti perduti, ma i nostri vecchi avevano ragione: puoi essere credente o meno, dialogare con la morte rende meno dura la vita.


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