Randall Scott Gallery. Un anno di arte indipendente a Brooklyn
Natura e cemento, ardire omosessuale e valori della famiglia, grigiore delle fabbriche e paesaggi incontaminati: il contrasto inteso come ombra ma anche come ponte tra finzione e realtà.
Siamo a Brooklyn, il quartiere di New York dal fascino retrò e sperimentale allo stesso tempo, dove vecchi magazzini dismessi si trasformano in spazi creativi per giovani artisti.
Era l’anniversario della Randall Scott Gallery, un appuntamento imperdibile per appassionati d’arte e di fotografia. Per celebrare l’evento, al numero 111 di Front Street saranno ospitate per una settimana le opere di una variegata gamma di artisti indipendenti.Mentre qualcuno si affrettava ad entrare, incuriosito dalla folla che si accalcava all’esterno, critici d’arte e studenti squattrinati, nuovi dandy e matrone radical-chic sorseggiavano sulla soglia il vino offerto dagli organizzatori. Per loro questa serata rappresentava soprattutto un momento di ritrovo e un’occasione per sfoggiare gli abiti più in voga.
La mostra, inaugurata in un clima bohemienne e volutamente estroso, era rivolta a diverse fasce d’età e categorie d’intellettuali, prefiggendosi di mettere in luce temi all’apparenza non facili d’affrontare, ma riguardanti la quotidianità di ogni individuo, le sue introspezioni e le sue paure.
Rafael Sodi, Paolo Morales, Elle Perez, Carlton Scott Sturgill e Paula Mccartney e gli italiani Robert D'agostino e Marco Delogu sono solo alcuni dei nomi più noti del panorama artistico internazionale, presenti nei vari padiglioni della galleria. Lo spazio espositivo è diviso per genere anziché per artista; una scelta motivata dalla necessità di distinguere ed evidenziare al tempo stesso le tematiche trattate.
Le voci risuonavano negli ambienti ampi dell’edificio, quasi a creare un sottofondo sonoro inscindibile dal contesto. I quadri e le fotografie sull’intonaco bianco risaltavano immediatamente agli occhi dei visitatori, come macchie di colore su una tela illibata. Le opere in esposizione erano incentrate prevalentemente sui simboli della modernità e della postmodernità.
Famiglia, società e stereotipi appaiono come espressione di una cultura di massa standardizzata e vengono appositamente messi in contrasto con l’idea di diversità, intesa come “altro da sé ”. Emerge vivida attraverso le opere la voglia di denudare un altro tipo di realtà, l’esistenza di orientamenti sessuali differenti e tutta la complessità che ne deriva, sia nelle sue manifestazioni domestiche, sia pubbliche.
Il background metropolitano è un leit motiv, il filo conduttore che accompagna le rappresentazioni. Lo ha dimostrato Sturgill, utilizzando materiali presi direttamente dal paesaggio urbano newyorkese per dare vita a graffianti mosaici e sculture che criticano l’accomodante versione dell’American Dream.
L’artista, le cui opere sono state esposte in tutto il Nord America e in Europa, esplora gli aspetti più reconditi dell’esistenza, il mondo della sessualità e quello della morte.
Per l'italiano Marco Delogu non è stata la prima volta alla Randall Scott Gallery. Già il mese scorso infatti, Delogu, il cui nome è legato al Festival Internazionale di Fotografia di Roma di cui ne è ideatore e curatore, aveva esposto la collezione “Cardinals and Criminals”. Con i quadri “David con Figli” e “Senada” in esposizione, si è proposto di immortalare persone con esperienze comuni, ispirandosi anche a episodi vissuti in prima persona. La sua attenzione si focalizza soprattutto sul ritratto, quale immagine in grado di documentare l’appartenenza ad un gruppo. Una sorta di reportage sociale a testimonianza di ciò che si è visto ed incontrato nella vita, per combattere l’oblio del tempo.
Tracce di cultura asiatica sono rintracciabili invece, nella collezione “Eros” di Fernand D’Onofrio.
La mostra ha segnato un importante ritorno per il pittore francese, che sei mesi fa, in seguito a seri problemi di salute, aveva deciso di abbandonare il proprio arsenale artistico e distruggere i suoi quadri. Dalle immagini ritratte nei dipinti, oltre ad una penetrante drammaticità, si evince il desiderio di varcare il confine tra naturale e sovrannaturale. Le forme liquide che animano i suoi dipinti sembrano sospese a mezz’aria, tra il pennello e la tela.
Una chiara passione per la natura si riconosce nella Klompching Gallery di Paula McCartney.
L’artista americana ci conduce attraverso la sua fantasia, sondando territori sconosciuti e trasmettendo allo spettatore la sensazione che la fotografia può anche diventare finzione. I suoi lavori, apparentemente comuni istantanee di volatili, perlustrano l’intrinseco legame istauratosi tra elementi naturali e artificiali creati dall’uomo. Allo stesso modo Joanne Mac Farland, dipingendo frutti sensuali ed ortaggi colorati, associa alla natura l’idea di aggressione, rievocando le crescenti tensioni globali, le discriminazioni razziali e di genere.
Alle 21, spenti i riflettori, nelle sale vuote restava un mondo in cui carciofi e barbabietola potevano esprimere la difficile convivenza tra uomo e natura, denunciando gli antagonismi e le contraddizioni della nostra società.
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