Corpo di Stato. Il rapimento di Moro, per Marco Baliani e gli italiani
Dove eravate la mattina del 16 marzo 1978? E’ una domanda cruciale per gli italiani. Un giorno importante, drammatico, come l’11 settembre per gli Americani
Ancora di più per Marco Baliani, autore-attore del monologo teatrale “Corpo di Stato”.
Quel giorno, ventottenne e padre da solo un anno, era al mercato del quartiere Testaccio a Roma. Per l’esattezza stava scendendo dalla macchina, quando sentì la notizia alla radio. Restò attonito senza neanche chiudere la portiera. Un evento prendeva il sopravvento sulla sua vita di tutti giorni.
Il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, quella stessa mattina, era uscito dalla sua abitazione per recarsi in Parlamento, dove avrebbe dovuto aver luogo la votazione di fiducia al Governo Andreotti. Frutto di un lavoro politico paziente ed abile, questa avrebbe dovuto portare proprio quel 16 marzo, alla nascita di un Governo Andreotti monocolore democristiano, appoggiato da buona parte del parlamento, e soprattutto dai comunisti.
Ma quel giorno di primavera del 1978 Moro venne rapito. Cinque uomini della scorta che l’accompagnavano dal suo appartamento al parlamento furono uccisi.
Il leader democristiano venne a sua volta assassinato quasi due mesi dopo dai rapitori, dopo un lungo e controverso rapimento.
Il suo progetto, chiamato “compromesso storico”, fallì scaturendo proponde conseguenze sul successivo corso della storia politica italiana, fatti di cui viviamo ancora le conseguenze.
Ma torniamo a quel giorno di marzo. Al giorno del nostro autore-attore. A quella notizia trasmessa dalla radio della sua macchina. Intorno al Baliani di venti anni fa i commenti della gente…”Andreotti dovevano prendere…..Ma perché?” E anche lui si chiede “perché Moro?”
Anche noi siamo tornati indietro di venti anni, insieme a Marco Baliani ed il pubblico della Casa italiana Zerilli-Marimò della NYU. Qui il suo lavoro “Corpo di Stato” è stato rappresentato nell’ambito di un tour legato alla ricerca sul teatro di denuncia.
Così l’artista ha raccontato in prima persona quegli anni. Lui che li ha vissuti partecipando anche alle contestazioni dei gruppi extraparlamentari.
Ed il suo spettacolo comincia proprio con quel “Dove eravate la mattina del 16 marzo 1978?” . In pieno stile del teatro di narrazione, sul palco solo lui e una sedia sulla quale a tratti si siede. Sullo sfondo, la proiezione dei sottotitoli in inglese.
Il pubblico, numeroso, rimane immerso nei suoi racconti-resoconti e negli spezzoni video dell’epoca che si alternavano alla narrazione, rafforzandone la testimonianza.
Marco ricorda un altro avvenimento accaduto nella stessa giornata del rapimento di Aldo Moro: Giuseppe Impastato, conduttore radiofonico anti-fascista , venne ammazzato barbaramente per aver detto "no" alla mafia. Nel suo ricordo un invito a riflettere. Il suo assassinio passò in secondo piano, coperto dallo scalpore suscitato prima dal rapimento, e poi dall’assassinio, del politico democristiano. Ma va ricordato che a Cinisi veniva ucciso dal Clan Badalamenti un simbolo per chi lottava senza usare quelle armi che venivano usate con Moro.
Lo spettacolo va avanti suscitando in tutti emozioni intense. Il pubblico ride quando l’attore racconta della sua vecchia auto gialla con la portiera che si apre in curva, per poi farsi incredibilmente serio quando subito dopo quella stessa auto con lui, sua moglie e il piccolo figlio di un anno, viene fermata in un posto di blocco dei Carabinieri.
I militari la perquisiscono palmo a palmo, il biberon del neonato rotola a terra quando svuotano la borsa della donna, il bambino piange, Marco si rende conto di essere rigido dalla paura.
Marco ricostruisce i fatti che portarono a quell’escalation di violenza, e si dice fortunato ad essere uscito dal Movimento in tempo.
Ma ricorda anche gli amici meno fortunati di lui, come Giorgio, ucciso nel corso di una rapina per sostenere economicamente la loro lotta.
O Armando, condannato a tre anni di carcere perché un suo carissimo amico gli aveva chiesto di tenergli un oggetto, poi rivelatosi un’arma, in cantina per una notte.
E si chiede anche cosa avrebbe fatto se uno dei suoi vecchi compagni gli avesse chiesto aiuto….sa che non avrebbe saputo che fare…e ricorda uno slogan di lotta Continua “ Né con le Brigate Rosse, né con lo Stato.”
Arriva il comunicato dei terroristi che dice dove si trova il corpo di Aldo Moro: in una Renault 4, una macchina economica ma faticosa da guidare, “proletaria”… la parte più violenta ha profanato anche questo simbolo dopo aver ridotto i meno drastici al silenzio.
Lo spettacolo termina. Il pubblico applaude. E’ visibilmente scosso. Anche dopo tanti anni. Molti si alzano in piedi per onorare l’attore ed Aldo Moro.
Una recitazione superba. Una prosa diretta, implacabile, diretta allo scopo. Solo un autore che diventa attore. E racconta. Un monologo pieno di passione ma anche consapevolmente
distaccato. “Corpo di Stato-Il delitto Moro” rende visibili i dubbi di chi, impegnato politicamente, riflette ricordando quei quasi due mesi che hanno diviso il mondo politico ed una generazione in Italia.
"Eravamo tutti dentro, in quei giorni non c'erano innocenti" dice Baliani. “Corpo di stato”, lo vediamo come uno dei rari tentativi di fare i conti col passato. Anche perché si tratta della testimonianza diretta di chi partecipato alle assemblee, alle manifestazioni ed anche quella violenza che vedeva le armi come strumenti di lotta.
Subito dopo il presente e la consapevolezza che il rapimento di Moro abbia avviato quel processo che ha portato all’estraneità dalla politica di oggi.
Si apre il dibattito alla fine dello spettacolo. Il direttore della Casa Italiana, Stefano Albertini, coordina. Gli spettatori pongono diverse domande. Con Baliani si parla anche dell’Italia di oggi. L’autore risponde spiegando che quando un Paese non affronta la propria storia, dilaga la “peste sociale”. Citando Edipo, dice che solo trovando ed eliminando le cause del malessere si può riempire un vuoto che si è creato, in seguito alla crisi dei valori.
Importante ricordare anche le domande su come è nato questo tipo di teatro di cui Baliani può essere considerato un padre. Grande interesse del pubblico infatti anche intorno a questo genere di teatro. L’attore racconta che tutto viene dalla constatazione che nella società contemporanea ha sempre più importanza il vedere rispetto al sentire.
Lo scopo è portare “l’occhio alle orecchie”, costringere lo spettatore a ricostruire le immagini solo suggerite dall’attore, favorendo così anche la riflessione.
Perché il teatro, secondo Baliani, deve turbare il pubblico, indurlo a riflettere, provocando anche reazioni forti e critiche. Ed il suo teatro, non abbiamo dubbi, riesce a farlo. E va anche molto più in là. Con “Corpo di Stato” ci ha fatto tornare su molte domande rimaste ancora senza risposta.
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