Articles by: Alessandra Grandi

  • Carmen Consoli. Storie per chitarra e voce

    Varick Street - New York, 8 gennaio 2010. City Winery ospita il concerto, sold out , di Carmen Consoli. Qualche giorno prima di assistervi avevo visitato il bellissimo sito Internet di Carmen per farmi un’idea del nuovo album e cercare di calarmi nell’atmosfera del suo attuale percorso e della sua poetica. Una citazione in particolare mi ha colpito e ve la ripropongo, perché credo sia una chiave d’accesso al suo mondo artistico. Oscar Wilde diceva “è sufficiente dare una maschera ad un uomo affinché dica la verità.”
     

    Carmen Consoli attraverso i miti, attraverso figure immaginarie o caratteri reali, attraverso le maschere degli altri, ci racconta la storia dell’amore e quella delle donne. E forse un po’ anche la sua.
     
    In attesa che il concerto abbia inizio, mentre l’organizzazione cerca di trovare un posto a sedere per tutti i numerosi spettatori, io, in onore dell’artista, bevo un bicchiere di Donnafugata di Sicilia del 2008.
     
    La City Winery è un bellissimo ristorante che apre le sue porte alla musica e al gusto variegato per la buona vita. L’atmosfera è calda e le aspettative di tutti sembrano essere alte. Si confonde, sotto la luce fioca del locale e nel tintinnio di piatti e bicchieri, il vociare italiano e inglese. Il pubblico infatti non è costituito solo da nostalgici italiani e fan di vecchia data, ma anche d nuovi curiosi americani. Vuol dire che il lavoro di Carmen Consoli di portare la sua musica oltre i confini italici sta funzionando.
     

    Si apre il sipario ed arriva lei, la 'cantantessa' di Catania con le sue chitarra. Non ci sono musicisti ad accompagnarla, nessun altro strumento ad ammorbidire o sedurre, nessun effetto speciale. La sua voce unica e la cassa di risonanza della chitarra. In tutti gli intermezzi Carmen parla in inglese e racconta con ironia e una nota di timidezza, per chi non può comprenderle, le storie custodite nelle sue canzoni.
     
    La scaletta spazia dai vecchi successi – Parole di burro, L’ultimo bacio, Fiori d’arancio, Contessa miseria – ai nuovi brani dell’ultimo album “Elettra” – Mandaci una cartolina, ‘A finestra, Mio zio, Perturbazione atlantica, Elettra. Ma Carmen non dimentica mai di portare con sé, ovunque vada, la sua casa. E allora ecco una parentesi tutta dedicata alla tradizione popolare siciliana. Il tamburo batte questa volta il ritmo di una musica diversa, fatta di stagioni, di terra, di mare, di vita antica e nuda.
     
    E questo suo modo di andare in giro per il mondo portandosi dietro le sue radici e la sua forte identità mi colpisce e affascina.

    Carmen Consoli è un’artista che non sembra concedere nulla di sé che non sia da lei profondamente sentito e sviscerato. Affonda le mani nelle emozioni e con quello che raccoglie ne scrive una canzone. Scende nelle vite degli altri, forse anche per conoscere meglio se stessa, e poi racconta le loro storie in prima persona. Come se dietro una maschera, dietro un volto, ci sia la storia di tutti. Questo porta spesso ad equivoci, la gente crede che quelle storie cantate in prima voce siano personali, private e condivise. Per questo non fa che ripetere con un sorriso malizioso, quando presenta i brani, “questa canzone non è autobiografica …. forse solo un po’. “
     

    Carmen Consoli è una donna che ama le donne e le sa raccontare. Ma soprattutto sa raccontare le fragilità e le forze dell’amore. Ogni tipo di amore. Quello filiale, quello di una prostituta per il suo cliente, quello della sposa abbandonata. L’amore che non è mai banale, ma pulsa, spesso soffrendo.
     
    In Mio zio canta una storia di silenzio e violenza, ambientata nel funerale dello zio carnefice. La nipote si presenta con il rossetto rosso in segno di lutto e un soprabito nero “e sotto niente, in onore del mio aguzzino”. Una canzone che si arrabbia, che sale s’infiamma nell’indignazione per un mondo sordo. 
     
    Mandaci una cartolina è dedicata al padre recentemente scomparso, ed è il ritratto dolce di un uomo che nei piccoli gesti ha costruito e protetto l’universo intimo della figlia.
     
    Elettra chiude il concerto di un’ora e mezzo, ed è l’inizio del suo nuovo viaggio. Questa volta il mito della donna che ama suo padre, che uccide la madre e che rappresenta un trauma della psicanalisi, è dipinto con i colori di una prostituta che si innamora segretamente del suo cliente. Una canzone romantica graffiata dal conflitto.
     
    È una giostra questo album, di quelle giostre antiche con i cavalli e le carrozze e le luci gialle, che quando ci sali ti ricordi dei tuoi sogni e ti ricordi che a qualunque età, essere donna è un viaggio colorato che viene da lontano e procede senza meta.
     

     

  • Biography. Dagli anni '30 ad oggi. Una ribelle newyorkese a teatro

    Biography è forse l’opera teatrale, stando a quello che molti dicono, più riuscita di S.N. Behrman. Negli anni 30 e 40 Behrman era considerato uno dei maggiori autori di commedie sofisticate di Broadway. Solo per citarne alcuni, i suoi grandi successi teatrali furono, oltre ovviamente Biography (1932), The Second Man (1928), End of Summer (1936) e No Time for Comedy ( 1939).
     

    Fu autore anche del New Yorker e del New York Times, e sceneggiatore di successo -  ricordiamo Queen Christina con Greta Garbo.

    Mare Nostrum è una compagnia che dal 2001 lavora con lo scopo di produrre spettacoli di teatro, danza e teatro sperimentale, per esprimere e dare forma all’incontro fra la cultura mediterranea e le tendenze del mondo, come nel caso del già presentato Mediterranean Voices. Il fruttuoso incontro con Theatre 808 e the Schoolhouse Theatre ha poi aperto la strada per nuove idee e produzioni, fino a quella che ci ha permesso di vedere oggi realizzata Biography.  
     

    Dunque si tratta di una commedia leggera ed elegante che ruota attorno all’affascinante figura di Marian Froude. Un raro esempio, per i primi decenni di inizio secolo, di donna indipendente e sfrontatamente passionale. Una femminista, un’artista, che non cede alle regole o alle aspettative sociali, ma che sceglie invece di sottostare al suo desiderio di vita, viaggiando in giro per il mondo e innamorandosi degli uomini, pur senza mai sposarne nessuno.
     

    La commedia si svolge nel 1932, nel
    salotto del suo appartamento newyorchese, nel quale transitano i personaggi che definiscono la vita ed il carattere della protagonista. Quando arriva alla porta di Marion un giovane editore che la invita a scrivere la sua autobiografia, interessato a pubblicarla, ecco che si scatenano le dinamiche che mettono in moto la storia. Vecchi amori che rischiano di riaccendersi, nuove relazioni cariche di energie e tremori, gelosie, verità inopportune ed infine la rassegnazione di una donna che sa, essere destinata a pagare con la solitudine il caro prezzo della libertà.  
     

    L’eccezionale performance di Tracy Shayne nel ruolo di Marion (forse nel primo atto un po’ troppo sopra le righe, ma poi molto più equilibrata e sincera), mantiene viva l’attenzione del pubblico e rende palpabile la vitalità e l’amarezza di un personaggio meravigliosamente scritto. Sottile nel passaggio fra l’entusiasmo e la disillusione. Impeccabile figura di una società estinta, eppure facilmente riconoscibile.
     

    Alcune parole vanno necessariamente spese anche per la regia, curata con scrupolo e talento, dalla regista Pamela Moller Kareman. Anche le scene sono state curate nei minimi dettagli con meticolosa ricerca. Sembrava davvero di entrare in punta di piedi nell’ appartamento privato di una pittrice innamorata di New York. Una New York che non esiste più al di fuori del mito. 

    La platea era al completo, ed il pubblico che la popolava decisamente vario e divertito.
     

    Riconosciamo un’unica pecca, probabilmente imputabile al testo originale, ma che forse poteva essere corretta. La lunghezza eccessiva della messa in scena. Tre atti e quasi tre ore di spettacolo sono forse troppi, e ne ha risentito la fluidità del secondo atto. Ma questo non toglie nulla alla qualità del lavoro, che, non ci dimentichiamo di dire, si è tenuto fino al 19 Dicembre scorso Off Broadway, al Mint Theater di New York, per la produzione di Mare Nostrum  Elements e Theater 808.

    Ci auguriamo che questo gruppo di talentuosi attori, produttori e devoti artisti del teatro puro ci riproponga presto un nuova esperienza sulla scena di Broadway.

  • Un tuffo nel Mediterraneo a Manhattan

    New York, 16 dicembre. Prendete uno dei musicisti più apprezzati e amati  italiani, affiancategli un chitarrista napoletano di grande talento trapiantato a New York e non dimenticate di coinvolgere la sinuosa musicalità delle percussioni e del contrabasso. Riuniteli in una sala dell’Istituto Italiano di Cultura di New York a Park Avenue e aspetatte che la musica cominci e vi travolga.  

     

    Il violino e la voce di Mauro Pagani, la chitarra di Marco Cappelli, il  contrabasso di Josh Myers e le percussioni di John Hadfield, ci hanno trasportato in un mondo che nel mondo non c’è.  Suoni, melodie e tradizioni folk mediterranee, dalla Grecia ai Balcani, da De André a Napoli, dai paesi baschi al nord Africa, sono arrivate a New York per incontrarsi in una terra di mezzo in cui sperimentare la passione per la musica e la voglia di trasmettere suggestioni lontane in una chiave inedita e affascinante.

    Improvvisazione e ricerca sono state le linee che hanno permesso, a Pagani e
    Cappelli, di tracciare una mappa del Sud da seguire seduti sulle nostre sedie.  
    La storia personale di Mauro Pagani lo vede protagonista della scena musicale italiana come produttore, musicista –  lo ricordiamo negli anni 70 componente della celebre Premiata Forneria Marconi – e collaboratore di importanti artisti, primo fra tutti Fabrizio De André, ma anche Ornella Vanoni, Roberto Vecchioni, Gianna Nannini, Ligabue, Morgan e molti altri. Da qualche mese è una familiare presenza anche nella scena newyorchese.  Nella musica e nella chitarra di Marco Cappelli trova un ideale connubio di esperienza e sperimentazione. 
    Il concerto ha dato spazio ad un tributo speciale a De André, cantato con inevitabile trasporto in genovese.  Insieme a lui Pagani due composenel 1984 l’acclamato  Creuza de mä.

     

    Altri brani tracciano invece un percorso inedito della narrativa musicale, attraverso un arrangiamento blues della tradizione mediterranea.
    Ruolo importante in questa prospettiva lo assumono le percussioni e il contrabasso, che riescono ad aggiungere allo stesso tempo la ritmica etnica e la morbidezza del blues. 

    Mauro Pagani ci ha aiutato, con brevi interludi, ad entrare nella poetica e nella

    storia delle canzoni che lui e Marco Cappelli hanno scelto di proporre. Soprattutto per quanto riguarda le storie nascoste nel dialetto di De André, sempre così intense e cariche di passione cruda. Storie di marinai, di donne e di fame di vita.  
    Ascoltando la musica sembrava di vedere i brani nascere lentamente, accendersi nel loro crescere, come se danzassero a piedi nudi sulla sabbia, e con dolcezza terminare, restituiti all’acqua dalle note quieti della notte.

    Questo a Manhattan, nella magia di una musica speciale, in un locale pieno di ospiti che ha lasciato in piedi anche diverse persone.

  • Art & Culture

    Variations on a Theme: Watching and Photographing the World from New Points of View

    At the Leica Gallery, the space that houses the history and legend of Leica, the camera that portrayed humanity in a new way, there is currently an exhibition of powerful work by Renato D’Agostin and Alessandro Zuek Simonetti. On Thursday, December 10 the Leica Gallery held the opening reception for Variatio, a new bimonthly magazine dedicated to photographic art. We want to emphasize that this is an artistic undertaking in the most honest and complex sense of the word.  

    This is not the usual photography magazine to which the public is accustomed –those with large print-runs and few ideas. Variatio has a mission: to document and describe the evolution, or revolution, of art photography in the world. Publishing six issues each year and attracting fans through the unstable dynamics of inspiration, from the research to the creation of images. It is, perhaps, surprising to discover that different artists, on opposite sides of the world, live within the same poetics and this poetic is not random but rather it is the energy of art. 

    Professor Renato Miracco, editor-in-chief of Variatio, explains why he wanted to open the first issue with a quote from Robert Frank, an artist whose work is currently on display at the Met. The reason is twofold: in addition to paying homage to a great photographer, Miracco recognizes the synthesis between the revolution wrought by Frank in the ‘50s and ‘60s and the one which Variatio and its artists hope to inspire by breaking the accepted rules and capturing reality in new ways. Frank reflected America’s true face back to itself. Without smoke and mirrors, he chose to get closer – we could say with the eye of a neo-realist – to the defects, the cracks in an imperfect dream. Positioning Variatio in Robert Frank’s footsteps signifies to the world that it is still possible to experiment with innovation. It is an incentive to embark on a new path, and the challenge, or privilege, for Miracco and his team is to find those who can do it in an exceptional way. 

    Variatio seeks to create a space for the artistic community to meet and exchange ideas that give way to a discussion about photography. 

    Sacha Majidian is the creative director and project manager of the publication. He tells us how such a difficult and involved project came about. It was born from the end result.

    Knowing in advance where the magazine wants to go, who will read it, and who will collect it is the only way to deal responsibly and professionally with a competitive niche. It was clear from the outset that this would be a cult object dedicated to those who truly love and want to understand photography. 

    The only way to stand out from the many photography magazines that crowd the newsstands is to focus on quality and exceptional work. Five thousand numbered copies will be printed every two months and distributed to galleries and bookstores worldwide, including the U.S., France, Belgium, Italy, and Japan. Each featured artist will be supported and guaranteed by the gallery that represents him or her and whose name and address will be included next to the work. This choice should not be considered a limitation but rather proof of the publication’s seriousness and professionalism. 

    Speaking of artists, here is the first group of artists who have the honor of inaugurating this trip: Joel-Peter Witkin, Shirin Neshat, Olga Sviblova, Don Freeman, Paulo Ventura, Daniel Power, Renato D'Agostin, Fifty One Fine Art Photography, Photo4, Verve Gallery of Photography, Galerie Analix Forever, M97 Gallery, Jarach Gallery, Power House Arena, and many more. Each issue will feature and in-depth interview with an important photographer in his native language along with an English translation. 

    Variety, already indicated by its name, is the key to understanding the magazine. Artists with different backgrounds, cultures, and traditions enrich the experience of each issue.

    Browsing the magazine will be like traveling, moving from one microcosm to another through the emotion contained within the images, following the art through the changing landscape according to the earth’s motion...and in some cases in contrast to it. And as we said earlier, this will help us find the aesthetic currents and lines of imagination that move together without ever intersecting. Nothing is created and everything is destroyed, but, we might add, everything can be told in new ways through variations on a theme.

  • Life & People

    Is Italian Cuisine a Victim of its Own Success?

    The event was promising and gluttonous. Our taste buds were satisfied by the delicacies offered by DS26 and Il Gattopardo, two top restaurants in New York. But we will have to wait for the rest of the season for the promises to be fulfilled as this was only a preview.

    What are we talking about? Genuinely Italian, the long-awaited marriage between Casa Italiana Zerilli-Marimò and Gruppo Ristoratori Italiani (GRI). So we can therefore say that we attended a wedding feast dedicated to Italian flavor. It was inevitable that this meeting with prominent promoters of Italian culture in America would happen sooner or later, and indeed we wonder why it took so long! 

    GRI was founded three decades ago with the mission to promote Italian gastronomic culture in New York and the rest of the United States through the joint effort of Italian restaurateurs to overcome competitiveness and to contribute to a common cause: to initiate a dialogue with American consumers and teach them to appreciate authentic, traditional Italian cuisine. It was as necessary then as it is now to draw an audience, knowing that if clients were satisfied with their experiences at an Italian restaurant, they would probably decide to try another, helping to foster interest in Italian cuisine and to expand the market for everyone. Today there are as many as 800 members of the Gruppo Ristoratori Italiani, mostly located in New York. 

    What really is Italian food? What are the magical ingredients, the techniques, and the secrets that make it so special? These are the questions that have always stimulated the “gastronomic imagination” of Americans and which Casa Italiana and GRI want to answer. And the most common and decisive response is that “the secret is in the raw materials.” Tony May, owner of San Domenico and DS26 restaurants, and founder of the GRI, along with Gianfranco Sorrentino, president of GRI and owner of the restaurant, Il Gattopardo, cannot help but repeat it over the course of the presentation. 

    The quality of ingredients makes a difference, and it is true that raw materials outside of Italy are expensive because labor costs and quality are valuable. But it is equally true that they are essential elements on which the success of a recipe depends.  

    In a friendly and warm atmosphere away from a cold New York December, the evening’s guests, members, and supporters of both associations along with journalists were able to discover through a glass of wine and a sampling of excellent food the qualities that connect the events’ participants: a commitment to promote and preserve the distinctive character of Italy. 

    How? Through education. The primary mission of GRI is to invest in the education of the public and stakeholders. “We must teach young people in the field the importance of products, to make them understand the difference between each product and between originals and imitations.” Tony May added that it was this education that comes from the attention to detail and the development of culinary arts. 

    The preparation of young professionals in the field, Gianfranco Sorrentino tells us, also involves a trip offered each year to seven young students from culinary institutes, which enables them to enjoy full immersion in the food and wine of an Italian region. This is because young people today are not only the chefs of tomorrow, but also future journalists, writers, and consumers. 
     

    GRI works to promote its activities through many members and associates and through many events taking place in the United States during the year. The most important is indisputably Vino e Cucina, an event which brings together 600 participants, including restaurateurs and corporate caterers who sample typical products which are then awarded prizes of excellence.   

    What about the project that connects GRI and Casa Italiana Zerilli-Marimò?
    Casa Italiana’s director, Stefano Albertini, tells us more about it. Even the name of this project is an entire program in itself: “Italian Cuisine: A Victim of its Own Success?” 

    The project will consist of a series of events, lectures, presentations, and a final seminar devoted to the debate on the culture of Italian food and wine which will bring participants into the real world of cooking in the bel Paese in America today. 

    Specifically, the theme of interpreting Italian cooking in America that prompted the most questions from audience members in this auditorium. How and why does Italian-American cuisine deviate from the original? The answer comes from the past. The first Italians who arrived in the New World did not have access to the essential raw materials to continue their food traditions. Only today, thanks to a widespread and extensive distribution network, can we afford to be loyal and more uncompromising. 

    But even in Italy today cuisine has changed. To begin with, cooking is no longer done with animal fats but rather with vegetable oils. The cooking time of food has been significantly reduced and there is more of a demand for a light and healthy diet. 

    At the same time, Americans have started to buy and acquire typical Italian products and learn to prepare them, even though this is still an ongoing process that is slow and involved.  

    On one final note, there was a bit of controversy to conclude the debate on innovation. In ranking the best Italian restaurants in America, there are very few authentic Italian restaurants on the list. According to Tony May, this is perhaps due to geographical distance and so American chefs have a lot more freedom to experiment than their colleagues abroad. Americans chefs study and work for longer periods of time in Italy and once they return home they apply the knowledge gained without fear of innovation.  

    In short, we need to follow the next season of events to see if the marriage works out and whether we can truly say...and they lived happily ever after.

    Translation by Giulia Prestia

     

  • È la cucina italiana vittima del suo stesso successo?

    L’appuntamento era di quelli golosi e promettenti. La gola è stata soddisfatta con le prelibatezze offerte dal DS26 e da Il Gattopardo, ristoranti top di New York.

    Per le promesse dobbiamo aspettare il resto della stagione, questa è stata solo l’anteprima. Di cosa stiamo parlando? Di Genuinely Italian, il matrimonio, a lungo atteso, tra Casa Italiana Zerilli-Marimò e Gruppo Ristoratori Italiani (GRI). Possiamo quindi dire di aver partecipato ad un banchetto di nozze all’insegna del sapore italiano. Era inevitabile che quest’incontro, tra illustri promotori della cultura italiana in America, prima o poi accadesse, ed anzi ci chiediamo come mai solo ora! 

    GRI è stato fondato trent’anni fa con la missione di promuovere a New York e nel resto degli Stati Uniti, la cultura gastronomica italiana, con lo sforzo comune dei ristoratori italiani di superare la competitività per contribuire ad una causa comune: aprire un dialogo con i consumatori americani ed insegnare loro ad apprezzare la vera cucina tradizionale italica. Si rendeva necessario, allora come oggi, conquistare il pubblico, nella consapevolezza che se un cliente fosse uscito soddisfatto da un ristorante italiano, allora probabilmente avrebbe deciso di provarne un’altro, contribuendo a promuovere l’interesse per questa cucina e quindi ad allargare il mercato di tutti. Oggi sono ben 800 i ristoranti membri del Gruppo Ristoratori Italiani, per lo più locati a New York. 
    Cos’è veramente la cucina italiana? Quali sono gli ingredienti magici, i gesti e i segreti che la rendono così speciale? Queste sono le domande che hanno sempre stimolato l’immaginario gastronomica degli americani e a cui Casa Italiana della Cultura e GRI vogliono rispondere. E la risposta più comune e decisa è che “il segreto sono le materie prime”. Non fanno che ripetercelo nel corso della presentazione, Tony May - proprietario del ristorante San Domenico e del DS26, nonché fondatore del GRI - e Gianfranco Sorrentino - presidente del GRI e proprietario del ristorante Il Gattopardo.
    La qualità  degli ingredienti fa la differenza, ed è vero che le materie prime lontano dall’Italia sono care, perché la mano d’opera costa e la qualità è un valore. Ma è altrettanto vero che sono elementi imprescindibili dal buon esito di una ricetta.  
    In un’atmosfera cordiale e calda, al riparo dal freddo dicembre newyorchese, gli ospiti della serata, soci e sostenitori di entrambe le associazioni e giornalisti, hanno potuto scoprire, tra un bicchiere di vino e un assaggio di ottima cucina, le affinità che legano i partner di quest’evento: l’impegno a promuovere e preservare il carattere distintivo dell’Italia.
    Come? Attraverso l’istruzione. Missione prioritaria di GRI è investire nell’educazione del pubblico e degli operatori del settore. “Bisogna insegnare ai giovani l’importanza dei prodotti, far comprendere loro, sul campo, la differenza fra ciascun prodotto e tra gli originali e le imitazioni”. Tony May ha aggiunto che è da questa educazione che nasce la cura dei dettagli e lo sviluppo dell’arte culinaria.
    La preparazione dei giovani professionisti del settore, ci racconta Gianfranco Sorrentino, passa anche attraverso un viaggio offerto ogni anno a sette giovani studenti di istituti culinari, che permette loro di vivere un periodo di full immersion eno-gastronomica in una regione Italiana. Perché i giovani di oggi saranno non solo i cuochi di domani, ma anche i giornalisti, gli scrittori e i consumatori del futuro.
    Operativamente GRI opera la promozione delle sue attività tramite i numerosi soci membri e attraverso i tanti eventi che si svolgono negli Stati Uniti nel corso dell’anno. Il più importante è senz’altro Vino e Cucina, una manifestazione che raduna 600 ospiti tra ristoratori e corporate, nel corso della quale si degustano prodotti tipici e vengono assegnati premi d’eccellenza.  
    Ma qual’ è il progetto che legherà GRI e Casa Italiana Zerilli – Marimò? Ce lo ha raccontato il direttore, Stefano Albertini. Già il nome di questo progetto è di per se tutto un programma “Italian Cuisine: A Victim of Its Own Success?".
    Il piano consisterà in una serie di incontri, letture,  presentazioni, e un seminario finale, dedicati al dibattito sulla cultura eno-gastronomica italiana, che porterà i partecipanti dentro il vivo e acceso mondo della cucina del bel Paese nell’America di oggi.  

    E proprio il tema dell’interpretazione della cucina italiana in America hastimolato le domande del pubblico presente nell’Auditorium. Come e perché la cucina italo-americana si allontana dall’originale? La risposta viene dal passato. I primi italiani arrivati nel Nuovo Mondo non avevano a disposizione le materie prime essenziali a soddisfare la loro tradizione. Solo oggi, grazie alla capillare ed estesa rete di distribuzione, ci si può permettere di essere fedeli e più intransigenti.
    Ma anche in Italia oggi la cucina è cambiata. Tanto per cominciare non si cucina quasi più con i grassi animali, ma con quelli vegetali. I tempi di cottura dei cibi si sono ridotti sensibilmente e c’è più richiesta di una alimentazione leggera e sana.
    Allo stesso tempo gli americani cominciano ad acquistare i prodotti tipici italiani ed imparano a prepararli, nonostante questo sia ancora un processo di assimilazione in fieri, lento e lungo.  
    Un’ultima nota, un po’ polemica, ha concluso il dibattito sul tema dell’innovazione.
    Nella classifica dei migliori ristoranti italiani in America sono ben pochi i veri italiani a figurare. Questo perché, secondo Tony May, gli americani, forse per un naturale distacco, si prendono molta più libertà di sperimentare di quanto facciano i loro colleghi d’oltre oceano. Gli chef americani studiano e operano per lunghi periodi in Italia e al loro rientro in patria applicano la conoscenza acquisita senza timore di elaborare novità.  
     
    Insomma non ci resta che seguire con attenzione la prossima stagione di incontri e vedere se il matrimonio funziona e se si potrà davvero scrivere … e vissero tutti felici e contenti.

  • Quella lingua di plastica tutta italiana

    Due amici, dopo mesi che non si vedono, si incontrano per caso:

    - Allora?
    - Tutto a posto. E tu?
    - Non c’è problema.

    Cosa si sono detti? Assolutamente nulla. Cosa hanno comunicato? Forse noia e bisogno di controllare gli eventi. Questa è l’essenza della lingua di plastica, che omette le parole e ha smesso di raccontare, e di questo si è parlato martedì 01 dicembre presso la Casa Italiana Zerilli–Marimò insieme a Filippo La Porta, scrittore e critico letterario. Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana  ed Antonio Monda, professore alla NYU, hanno gestito il dibattito con grande abilità. Ad assistere un pubblico variegato di studenti e semplici curiosi, desiderosi di indagare le dinamiche di una lingua lontana e cara.

    Filippo La Porta ha presentato il suo ultimo libro “E' un problema tuo”, Gaffi Editore, nel quale analizza in modo ironico, e apparentemente leggero, i modi di dire e tic verbali degli italiani di oggi.
     

    Non solo il linguaggio dei giovani, che come in ogni epoca si distacca per anomalie ed eccentricità da quello “dei grandi”, ma quel parlato comune, adottato con superficialità e noncuranza da tutti noi, e come da sua stessa ammissione, anche da Filippo La Porta.
    Questo viaggio lo ha fatto per tappe, fermandosi e analizzando 15 modi di dire. Parole che assumiamo facilmente, ma che viste da vicino rivelano tutta la loro pericolosità. Perché se usiamo la critica letteraria come lente per capire la società e la cultura in cui abitiamo, allora inevitabilmente ci dobbiamo domandare dove stia andando la nostra società e di che materia sia fatta la nostra cultura.
     
    Ripetere sempre frasi fatte senza senso, ascoltare il vociare continuo e vacuo rimanendone ipnotizzati, ci condurrà all’impoverimento della parola? Alla volgarizzazione del linguaggio? E allora che luogo confortante e accogliente troveranno i contenuti?
    Sono queste le domande che hanno spinto Filippo La Porta a rilevare l’andamento della realtà italiana attraverso un reportage linguistico e la materia grezza delle conversazioni.
     
    Se ogni periodo storico ha il suo gergo, capace di rivelare l’ideologia della realtà dominante, oggi assistiamo ad un parlare che è riflesso di un’ideologia inafferrabile, evanescente, inconsistente.
    Ma il linguaggio non è solamente specchio del suo mondo, è anche principio attivo, poiché condiziona le nostre categorie di pensiero.
     
    La lingua è un organismo vivo, impuro, in costante evoluzione, il che rende inutile e inopportuno pretendere da essa staticità e perfezione. Il problema pertanto non è utilizzare i modismi, ma annullarsi in essi. Assistere alla ripetitività senza interrogarsi o partecipare.
    Guardando alle tappe del viaggio di La Porta, emerge ad esempio che dietro il classico “Allora?” che ci si dice quando si incontra qualcuno, si nasconde la noia. Abbiamo bisogno di notizie eccitanti, perché dobbiamo attraversare lo stato melmoso della monotonia.
     
    Mentre rispondere “tutto a posto” rivela l’incosciente necessità di controllo. Non vogliamo essere sconvolti da eventi incontrollabili, o esserne coinvolti. La realtà deve poter essere verificabile, a portata di mano, sicura e in ordine. Dicendo tutto a posto si sotto intende il bisogno di possedere il controllo o solo di possedere. Non possiamo però possedere tutto, non la vita, e allora ecco come diventa facile cadere nell’irrealtà.
     
    “Come dire” è invece il modismo degli intellettuali. Ovvero di coloro che si ritengono in grado di ricorrere ad un’ampia gamma di parole e pensieri. Vogliono dimostrare la loro attività mentale, l’abilità nella ricerca, o forse solo trasferire il loro narcisismo.
     
    Andando avanti ecco che arriva l’immancabile “tipo che”. Cosa significa? Vuole dire che ogni esperienza della vita, se non l’intera esistenza, possiamo collocarla in una categoria, dentro una tipologia leggera, che minimizza e sminuisce il senso degli avvenimenti. L’aspirazione alla leggerezza della nostra società comunica che tutto è reversibile, niente è in grado di trasformarci davvero, la leggerezza è la maschera che ci allontana dall’esperienza. Spesso si utilizza l’ironia allo stesso scopo. Spogliata del suo vero potere, l’ironia diventa un alibi, uno strumento maligno per dire le cose peggiori impunemente.
     
    Dietro il principio di leggerezza e inafferrabilità prende posto anche il “ci può stare”, la formula dell’autoassoluzione. Un modo, prepotente, per dire che tutto quello che facciamo è giustificabile.
    Sullo stesso tracciato si colloca il “in qualche modo” o “ma anche”, forme di manipolazione dei fatti, giustificativi e malleabili.
     
    Il dibattito con il pubblico ha orientato l’analisi delle parole sul terreno accidentato del carattere dell’italiano medio. Accidentato perché generalizzare è sempre difficile, e perché spesso in un popolo i pregi finiscono per assomigliare molto ai difetti.
     
    Secondo quanto detto, l’italiano tende a nascondersi dietro le parole, anziché rivelarsi attraverso di esse. Si dialoga per occultarsi, non per confrontarsi o conoscersi. È infatti generalmente poco diffusa l’autoanalisi, la ricerca del significato nascosto.
    Rispetto agli anglosassoni, ad esempio, pochi italiani tengono quotidianamente un diario. Le parole sono vissute come una minaccia, pertanto si preferisce adagiarsi su parole facili, che scorrono in superficie e non rischiano di portare i propri interlocutori in zone poco battute e vulnerabili.
     
    Secondo l’esperienza di chi vive negli Stati Uniti da molti anni, gli americani al contrario sono più predisposti alla comunicazione, meno spaventati dalla fragilità dei propri significati.
     
    In conclusione possiamo aggiungere che la lingua di plastica non è semplicemente banale o povera, la lingua dei tic è un miscuglio di banalità e ricercatezze. È l’espressione di una classe media scolarizzata, in grado di maneggiare citazioni e parole ormai in disuso, pretendendo di dare così un tono sofisticato alla conversazione. Intrecciare modismi svuotati di significato ad un linguaggio inusuale, genera lo “snobismo di massa”. Il bisogno di distinguersi attraverso parole insolite (spesso usate impropriamente) induce le persone a trasformare anche la lingua in uno status symbol. La lingua, come la letteratura, diventa un accessorio decorativo, perde il suo valore comunicativo, il suo originario istinto di condivisione.
    Filippo La Porta ci suggerisce che la difficoltà nasce un passo indietro, nell’elaborazione del pensiero.
     
    Perché la parola ha il dovere di soccorrere il pensiero nel suo viaggio verso l’altro.  
    E come disse Nanni Moretti in Palombella Rossa (citazione che apre “E' un problema tuo”): “chi parla male pensa male e vive male. Le parole sono importanti”.
     
     
     

  • Variatio sul tema, guardare e fotografare il mondo da nuovi punti di vista

    Nella Leica Gallery, lo spazio che ospita la storia, e la leggenda, della Leica - la macchina fotografica che ha raccontato l’umanità in modo unico – e che espone in questi giorni le opere intense di Renato D’Agostin e di Alessandro Zuek Simonetti, si è tenuta giovedi 10 dicembre la presentazione di Variatio, un nuovo bimensile d’arte fotografica. E ci teniamo a sottolineare che si tratta di un progetto artistico nel senso piu onesto e complesso del termine.

    Non è  il magazine fotografico a cui il grande pubblico è abituato, dalla grande tiratura e poche idee. Variatio ha una missione: documentare e raccontare l’evoluzione, o la rivoluzione, dell’arte fotografica nel mondo. Dare vita a sei numeri ogni anno che coinvolgano gli appassionati nelle dinamiche instabili dell’ispirazione, della ricerca e della creazione delle immagini. E magari sorprendersi a scoprire che artisti diversi, in parti opposte del mondo, vivono della stessa poetica, e che questa poetica non è casuale, è l’energia dell’arte. 

    Editor in chief di Variatio è il prof. Renato Miracco, che ci spiega perchè ha voluto aprire il primo editoriale citando Robert Frank, artista a cui è attualmente dedicata una mostra al MET. Il motivo è duplice, oltre infatti a voler omaggiare un grande fotografo, Renato Miracco riconosce una sintonia fra la rivoluzione operata da Frank negli anni 50 e 60, con quella che si auspica Variatio ed i suoi artisti attuino attraverso questo progetto. Rompere con le regole riconosciute, catturare la realtà in modo nuovo. Frank ha raccontato all’America il vero volto dell’America. Senza pose e senza lustrini, ha scelto di avvicinarsi, potremmo dire con gli occhi dei neorealisti, ai volti, ai difetti, alle crepe di un sogno imperfetto. Appoggiare Variatio sulle orme di Frank significa dimostrare a tutti che è ancora possibile sperimentare l’innovazione, è un’incitazione ad osare percorsi nuovi, e la sfida, o il privilegio, per Miracco ed il suo team è trovare chi sa farlo in modo eccezionale.  

    Variatio vuole essere, per la comunità artistica, un territorio d’incontro e di scambio che dia modo di parlare di fotografia.

    Direttore creativo e project manager della pubblicazione è Sacha Majidian. È lui che ci racconta come nasce un lavoro cosi impegnativo e coinvolgente. Nasce dalla fine.

    Sapere in anticipo dove il magazine vuole andare, chi lo leggerà e chi lo collezionerà, è l’unico modo per affrontare responsabilmente e professionalmente una realtà competitiva e di nicchia. Perchè è stato chiaro fin dall’inizio che questo sarebbe stato un oggetto di culto, dedicato a chi davvero ama la fotografia e desidera conoscerla.

    L’unico modo per distinguersi dalle tante riviste fotografiche che affollano le librerie, era  quindi puntare sulla qualità e sull’eccezionalità. 5.000 copie numerate verranno stampate ogni due mesi e distribuite nelle gallerie e librerie specializzate in diversi paesi del mondo (tra cui USA, Francia, Belgio, Italia, Giappone). Ogni artista “esposto” sarà sostenuto e garantito dalla galleria che lo rappresenta, il cui nome e indirizzo verrà trascritto accanto alle opere. Questa scelta non vuole essere un limite, ma una prova di serietà e professionalità. 

    E parlando di artisti ecco i primi nomi che hanno l’onore di inaugurare questo viaggio: Joel-Peter Witkin, Shrin Neshat, Olga Sviblova, Don Freeman, Paolo Ventura, Daniel Power, Renato D’Agostin, Fifty One Fine Art Photography, Photo4, Verve Gallery of Photography, Galerie Analix Forever, M97 Gallery, Jarach Gallery, Power House Arena, e molti ancora. Ogni numero dedicherà un’intervista approfondita ad un importante fotografo, sia nella sua lingua madre, che nella traduzione inglese. 

    Varietà  è dunque, già dal nome, la chiave di lettura per avvicinarsi alla rivista. Artisti di origine, cultura e tradizione diversa arricchiranno ogni numero di esperienza.

    Sfogliare la rivista sarà come viaggiare, passare da un microcosmo all’altro attraverso l’emozione delle immagini, cambiare paesaggio seguendo l’arte che asseconda il moto terrestre...e in qualche caso che lo contrasta. E come dicevamo prima, ci aiuterà a scovare correnti estetiche e linee di immaginazione che si muovono insieme senza incrociarsi mai. Perchè nulla si crea e tutto si distrugge, ma, ci permettiamo di aggiungere, tutto si può raccontare, sempre in modo nuovo, variando sul tema.

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