Articles by: Domenico logozzo *

  • Fatti e Storie

    Non dimenticare Marcinelle


     
    GIOIOSA JONICA (Reggio Calabria) - “La sicurezza sul lavoro è una battaglia di civiltà a cui tutti dobbiamo contribuire per consolidare sempre più la dignità della persona umana”. Di grande attualità le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a 60 anni dalla sciagura mineraria di Marcinelle, dove l’8 agosto del 1956 morirono 262 minatori, 136 dei quali italiani. L’Abruzzo, la regione che pagò il tributo più alto con 60 vittime. “L’immane sacrificio di coloro che sono partiti con la speranza di migliorare le condizioni di vita dei propri figli – ha recentemente ricordato il Capo dello Stato, incontrando al Quirinale una delegazione abruzzese guidata dal governatore D’Alfonso – ha contribuito a costruire il presente del nostro Paese”.



    Dal 2001 per iniziativa del presidente Carlo Azeglio Ciampi, l’8 agosto si celebra la “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”. Quattro anni dopo lo stesso Ciampi, in occasione del 2 giugno, Festa della Repubblica, conferì la medaglia d'oro al Merito Civile ai 136 minatori italiani morti a Marcinelle “per avere sacrificato la vita ai più nobili ideali di riscatto sociale. Luminosa testimonianza del lavoro e del sacrificio degli italiani all'estero, meritevole del ricordo e dell'unanime riconoscenza della Nazione tutta”.



    Anche questo 8 agosto deve rappresentare un nuovo momento di profonda e convinta riflessione. Alcuni giorni fa, inaugurando in Abruzzo un monumento al minatore donato dall'associazione 'Minatori - Vittime del Bois du Cazier”, la presidente della Camera Laura Boldrini ha auspicato "meno precarietà, più controlli e anche più importanza al lavoro come aspetto della dignità dell'individuo", sottolineando che "purtroppo sul lavoro e di lavoro si continua a morire” e che “le perdite non possono essere effetti collaterali, non possiamo convivere con la morte sul lavoro". Ancora oggi tante le emergenze. Tanti i problemi irrisolti. Dalla sicurezza sui luoghi di lavoro alla precarietà occupazionale; dalla nuova emigrazione all’accoglienza degli immigrati. No agli schiavi del lavoro. “Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana - ha più volte ricordato papa Francesco -, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali. Da qui deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità”.



    Non solo in Abruzzo, ma anche nelle regioni italiane che hanno vissuto e vivono il dramma dell’emigrazione, per l’8 agosto sono state programmate iniziative di studio. In Calabria, l’Associazione Museo della Scuola "I Care" di Siderno, presieduta dal dirigente scolastico prof. Vito Pirruccio, con il comune di Mammola e con il Centro Studi Nicodemei ha organizzato un pomeriggio di riflessioni su "MARCINELLE, LA TRAGEDIA DELL'EMIGRAZIONE”. Coordinerà i lavori il dirigente scolastico Giovanni Pittari, con interventi del sindaco Stefano Raschellà, del prof.Vito Pirruccio, del presidente del “Centro Studi Nicodemei” Giuseppe Agostino, dello studioso Franco Blefari e di familiari delle vittime di Marcinelle. Verranno tra l’altro proiettati servizi della Rai dell’Abruzzo con immagini d’epoca.



    Testimonianze toccanti. Maria Martinelli, la bimba di 6 anni che nel 1956 commosse il mondo. Il suo pianto disperato durante i funerali divenne l’immagine-simbolo del dolore collettivo. Maria Di Valerio, la vedova-bambina: aveva una figlia di 14 mesi e aspettava la nascita della seconda. Il minatore-eroe Silvio Di Luzio: aveva coraggiosamente cercato di salvare i compagni, scendendo nella miniera e rischiando la morte”. Eroe nazionale in Belgio, dove era stato insignito dell'ordine del merito di Leopoldo II dal Re Baldovino nel 1957, Di Luzio nel 2002 aveva avuto dal presidente Ciampi l'onorificenza di commendatore della Repubblica Italiana. Enzo Biagi nel libro “Consigli per un Paese normale”, gli dedicò un capitolo dal titolo “In un Paese normale gli eroi sono gente come noi”. Silvio Di Luzio, che è morto in Belgio a 79 anni, raccontò a Biagi: “Quando arrivammo alla miniera vedevamo solo fumo, era tutto buio, ma sapevamo che lì sotto, a mille metri di profondità, c’erano 275 nostri colleghi. Io avevo già partecipato ai soccorsi per altre sciagure, ero allenato. Ma quando siamo arrivati lì sotto, abbiamo trovato l’inferno. Non so come noi stessi siamo riusciti a salvarci”.



    Non dimenticare. “Oggi, più che mai, è importante ricordare. Oggi che l’Italia è tornata ad essere terra di emigrazione per tanti giovani in cerca di una vita dignitosa e, allo stesso tempo, si trova ad essere meta o luogo di passaggio per tanti, tantissimi migranti disperati, in fuga dai paesi colpiti da fame e da guerre”. A scriverlo nel libro “La nostra Marcinelle. Voci al femminile”, appena pubblicato da Edizioni Menabò-Fondazione Pescarabruzzo di Pescara, è Martina Buccione, nipote di una delle vittime della miniera belga. Un libro scritto “per non far morire la memoria della miniera” e per ricordare che “la tragedia di Marcinelle impose alla Storia un nuovo corso, fece sì che si riflettesse in modo diverso su questioni cruciali come il lavoro, la sicurezza, l’emigrazione, su scala europea”. Riflettere ancora sulle questioni cruciali. Così attuali, 60 anni dopo. Questo si propone innanzitutto l’Associazione Museo della Scuola "I Care” con l’iniziativa programmata a Mammola. Il presidente prof. Vito Pirruccio conosce bene il mondo dell’emigrazione. Attento studioso, viene da una famiglia di emigranti: nonno, padre e zii. L’anno scorso ha pubblicato il libro “L’emigrazione vista da vicino. Storia di ordinaria emigrazione di una famiglia calabrese tra racconto e intervista” (Calabria Letteraria-Rubbettino Editore). Scritto con il cuore. Le difficoltà, i sacrifici e il coraggio degli emigranti.



    “Abbiamo scelto Mammola – ci dice il prof.Pirruccio – perché è uno dei paesi della Locride da cui partirono, nella prima e nella seconda ondata emigratoria del ‘900, lavoratori destinati alle miniere d’Europa e delle Americhe. Ma altri “distretti minerari” calabresi si caratterizzarono negli anni per l’offerta di manodopera nelle principali miniere del Belgio e non solo. Sono stati quattro i calabresi che hanno perso la vita nello scoppio della miniera Bois du Cazier: Antonio Danisi di 34 anni, nativo di Reggio Calabria, sposato con 4 figli; Pasquale Papa, di 31 anni, anch’egli di Reggio Calabria, sposato con 4 figli; Pietro Pologruto, di 29 anni, di Petrizzi (CZ), coniugato senza figli e Vincenzo Sicari, di 29 anni, di Rosarno. La loro storia è simile ai tanti italiani, del Nord e del Sud, che risposero all’appello del governo italiano, nell’ambito dell’accordo uomo-carbone tra il Belgio e l’Italia, per reclutare giovani sotto i 35 anni da destinare ai distretti minerari del Belgio in cambio della fornitura di carbon fossile alla disastrata economia italiana del dopoguerra”.



    Un accordo scellerato. Un sacco di carbone valeva più della vita di un uomo! I rischi erano moltissimi e non c’era nessuna tutela. Vigliacchi speculatori! Tanta fame. Tanta disperazione. Tanta disoccupazione. Fuga obbligata. Ci fu una massiccia e ingannevole campagna di “reclutamento”. Ricorda il prof. Pirruccio: “Agli appelli apparsi sui famosi “manifesti rosa” affissi nei paesi del Sud, risposero tantissimi giovani (saranno 156.000 gli italiani che raggiungeranno il Belgio nell’arco di un decennio) che, prima di varcare la frontiera italiana, dovevano sottoporsi alle visite mediche nella stazione di Milano e successivamente, con un biglietto pagato dall’Italia e dal Belgio, varcare il confine con destinazione i distretti minerari più produttivi d’Europa. Molti di questi giovani, dopo poco tempo, verranno raggiunti dalle giovani spose e il Belgio ospiterà una delle più numerose comunità di italiani in Europa”.



    Vita dura quella dei nostri emigranti. Sfruttati e in condizioni di lavoro disumane. Simonetta Fiori, recensendo su Repubblica del 3 luglio scorso il libro di Toni RicciardiMarcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone”, edito da Donzelli, ha scritto: “Alcune pagine sembrano ricalcare l'attualità, soprattutto là dove viene ricostruita la rete dei trafficanti, «individui privi di scrupoli, cooperative, società di spregiudicati che illegalmente reclutavano nelle campagne braccia e famiglie da destinare al fruttuoso business dell'immigrazione». Regolari o irregolari, l'importante era «che fossero in tanti ad andare a scavare il carbone nelle viscere della terra». Si trattò di una "emigrazione di Stato", «uno dei più imponenti sistemi di esportazione di manodopera che la recente storia occidentale ricordi».



    Cercavano una vita migliore. Molti hanno trovato la morte. Dal 1946 al 1963 gli italiani che hanno perso la vita nelle miniere sono stati 867. La Calabria ha pagato un pesante tributo, non solo in Belgio ma in tante altre parti del mondo. Ricordiamo i sette operai di San Giovanni in Fiore morti in Svizzera il 30 agosto 1965, nella disgrazia di Mattmark. Una valanga di quasi due milioni di metri cubi si staccò da un ghiacciaio e in pochi secondi travolse le baracche e gli operai impegnati nella costruzione di una diga. I lavoratori avevano denunciato i pericoli. Inascoltati. Assurdamente ignorati. Zero umanità, turni anche fino a 16 ore al giorno! Fu un nuovo grave lutto per San Giovanni in Fiore, dopo che il 6 dicembre 1907, nell’esplosione della miniera di Monongah, negli Stati Uniti, persero la vita decine di minatori emigrati dal comune cosentino. Una ecatombe a lungo dimenticata. Si parlò di 362 morti. Ma sarebbero stati molti di più. 171 le vittime “ufficiali” italiane, soprattutto provenienti dal Molise. Il numero preciso e l’identità dei minatori scomparsi non si sono mai saputi con certezza. Molti non erano stati registrati all'ingresso in miniera. E questo perché “c’era il buddy system, o pal system, il sistema dell'amico, prassi secondo la quale i minatori potevano avvalersi, senza essere obbligati a darne comunicazione al datore di lavoro, dell'aiuto di parenti (anche bambini!) e amici con i quali poi dividevano la paga”. Più carbone consegnavano e più guadagnavano. Senza orari e senza alcuna tutela. Lavoratori-schiavi!



    Ma ritorniamo al disastro del 1965 in Svizzera. 88 vittime, 56 italiani, 7 di San Giovanni in Fiore. Poco meno di un anno dopo, il 21 aprile 1966, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, durante la visita ufficiale in Calabria, si recò a San Giovanni in Fiore per incontrare le mogli ed i figli degli operai morti in Svizzera. Prima era stato a Motta San Giovanni per rendere omaggio al sacrificio dei minatori del comune reggino e presenziare all’inaugurazione del “Monumento al Minatore”. A San Giovanni in Fiore Saragat era stato accompagnato dal presidente della Camera, Sandro Pertini, dal presidente del Senato Zelioli Lanzini e in rappresentanza del governo dal ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini. Presenti anche i sottosegretari Antoniozzi e Principe, l’on. Misasi e i maggiori esponenti politici e amministrativi del cosentino.



    “Una giornata indimenticabile, di grande commozione e dolore”, ci dice la prof.ssa Damiana Guarascio, allora giovanissima docente a San Giovanni in Fiore, oggi preside in pensione a Pescara, dopo avere per anni diretto la Scuola Media Villa Verrocchio di Montesilvano. “Una toccante cerimonia”, ripete più volte. Ha gelosamente conservato le foto di 60 anni. Ce le mostra. Ci fa fare una copia. Si commuove, ripensando a quel giorno che l’inviato Lamberto Furno, ha così raccontato sulla prima pagina del Corriere della Sera. “Sul piazzale delle scuole elementari, l'unica piazza esistente, sono cessate di colpo le acclamazioni mentre il Capo dello Stato scopriva una lapide a memoria di questi e di altri caduti sul lavoro. Saragat ha sostato qualche istante, poi si è avvicinato al mesto gruppo dei congiunti: erano tutti vestiti di nero, anche i bambini. Le donne piangevano compostamente sotto i veli calati sui volti. Sino ad oggi non erano mai uscite di casa dal 30 agosto 1965, quando accadde la sciagura. Portavano sul petto la Croce al merito del lavoro assegnata ai loro cari.



    Teresa Guarasci, perse a Mattmark il marito di vent'anni, il figlio ne aveva due. C'era anche la «vedova bambina», Serafina Cappelletti, 18 anni, che visse con il marito appena otto mesi. Il Presidente ha baciato la mano a ciascuna vedova, ha carezzato gli orfani. Le donne si chinavano per baciare la mano di Saragat, secondo il costume locale, ma egli le tratteneva. Ripeteva: «Coraggio». La lapide reca questa scritta: «Alle vittime di Mattmark, agli emigrati caduti sul lavoro che per sé, la famiglia e la terra natia rifiutando miseria e arretratezza affrontarono sacrifici, sofferenze e morte lasciando alle nuove generazioni esempio luminoso di dignità umana e appello sublime alla lotta per il riscatto e l'avvenire di Calabria». E' un'epigrafe che rispecchia la condizione della Calabria che ha centinaia di paesi come San Giovanni in Fiore dove l'unica alternativa all'emigrazione è la miseria. Su 20 mila abitanti, 7 mila sono lontani, il reddito pro capite non arriva a 100 mila lire l'anno, l'ospedale più vicino è a 72 chilometri e non pochi malati sono morti per via. Il presidente Saragat, dopo l'incontro con i congiunti dei caduti, ha dedicato un commosso ricordo alla tragedia di Mattmark, augurando che l'auspicata unificazione economica e sociale delle due Italie si realizzi”.



    L’auspicio del presidente Saragat purtroppo non si è concretizzato, mentre il prof. Pirruccio sottolinea l’obbligo soprattutto della gente del Sud di ricordare “coloro i quali hanno rappresentato il più alto contributo dato all’Italia come nazione moderna. Questi uomini sono il nostro orgoglio che nessuna antistorica politica leghista può mai mettere all’angolo. Purtroppo siamo spesso anche noi meridionali, noi calabresi, a relegare nel dimenticatoio le risorse umane che hanno elevato l’Italia come Nazione e il Sud come portatore di cultura del lavoro nel Mondo”. Il prof. Nicola Mattoscio, che è stato presidente della Fondazione Pescarabruzzo e che ha scritto la presentazione del libro di Martina Buccione, partecipando all’incontro della delegazione abruzzese con il presidente Mattarella, ha evidenziato il dramma sociale dell’emigrazione del Novecento con 300mila abruzzesi emigrati in tutto il mondo. Un dramma da non dimenticare che deve essere posto “a fondamento del patrimonio umano e culturale della regione”.



    Sostenere le azioni positive di chi si impegna per onorare la memoria delle vittime del lavoro. “Tanti italiani erano partiti alla volta del Belgio per inseguire il sogno di una vita migliore, non solo per loro, ma anche per le loro famiglie. Sopportavano la lontananza dal loro Paese e le privazioni del durissimo lavoro in miniera, per raggiungere gli standard di una vita accettabile, normale, per concedere a sé, alle mogli e ai propri figli un paio di scarpe nuove, un’uscita al cinema o un concerto. Ciò che desideravano era rendere meno duro il futuro dei loro familiari. Sono andati in Belgio per trovare più vita, ma hanno trovato la morte”. A scriverlo è ancora Martina Buccione, nel libro “La nostra Marcinelle. Voci al femminile” che ha dedicato “alle donne, che danno vita alla vita”, sottolineando che “è un omaggio alle donne di Marcinelle, vedove ed orfane, che hanno coraggiosamente rotto il silenzio, consentendo di raccontare quel mondo di una volta che intorno alla miniera si era creato, denso di valori semplici ma essenziali, quali la condivisione, la solidarietà, l’autenticità, l’accoglienza”. Perché è importante “trasmettere la memoria alle nuove generazioni e mantenere vivo il ricordo di ciò che è stata l’emigrazione italiana”.



    La memoria da coltivare. I buoni esempi da seguire. “L’Abruzzo - rileva a questo proposito il prof. Pirruccio -, ha l’orgoglio della Memoria e constato che sia le istituzioni politiche che culturali sono particolarmente sensibili a lasciare tracce del passato e a trasmetterle alle nuove generazioni. Penso alla Fondazione Pescarabruzzo che ha curato una mostra sulla tragedia di Marcinelle e ha finanziato il lavoro di Martina Buccione. Purtroppo, la nostra Calabria arranca, anche quando avrebbe facile motivo di alzare la testa. Trasmettere memoria è la più grande opera enciclopedica dell’uomo e senza memoria non ci si può orientare, specie nel mondo “liquido” di oggi. Per noi Sud, per noi Calabria, se vogliamo capirlo, coltivare la memoria significa alimentare il nostro possibile riscatto anche rispetto ad una subalternità culturale in cui siamo stati relegati dalle centrali politiche e mediatiche del Paese”. Il prof. Pirruccio, preoccupato, evidenzia che “c’è un altro tema impellente da affrontare e che la dice lunga sulla nostra proverbiale “distrazione”: la fuga dalla nostra terra degli emigranti di oggi, emigranti del “non ritorno”, giovani con un robusto bagaglio culturale e professionale costretti a lasciare il Sud con destinazione non solo il Nord ma i Paesi europei che li hanno ospitati, in molti casi, come studenti Erasmus. Giovani energie che vanno ad arricchire le terre di destinazione con il conseguente impoverimento umano ed economico del martoriato Mezzogiorno”. Proprio così. Purtroppo.



    Iniziative come quella calabrese di Mammola vanno sicuramente nella giusta direzione, rendendo omaggio al sacrificio dei nostri emigranti e facendo conoscere le grandi lezioni che ci hanno lasciato come preziosa eredità. Da non disperdere. “Quella tragedia – ripeteva con commozione ed orgoglio il minatore eroe Silvio Di Luzio -, ha fatto sì che cambiasse l’atteggiamento dei belgi nei nostri confronti. Noi italiani venivamo finalmente rispettati. Fino ad allora eravamo trattati come schiavi”. Ed è opportuno riportare anche le parole del presidente Ciampi, che nel corso della visita di Stato in Belgio, il 17 ottobre 2002, incontrò le vedove e gli orfani delle vittime di Marcinelle. “Le terre che essi abbandonarono hanno da allora conosciuto la fioritura di un nuovo benessere, grazie anche a quelle che si chiamavano "le rimesse degli emigranti", e grazie all'operosità dei loro fratelli”. E citò in particolare l'Abruzzo “che è oggi una regione che avanza sicura sulla via del progresso civile ed economico”. La Calabria continua invece ad essere ultima. Purtroppo. Ma non può essere ancora così. Cinquanta anni fa a San Giovanni in Fiore il presidente Saragat auspicava “l’unificazione economica e sociale delle due Italie”. Speriamo che ci sia finalmente una forte presa di coscienza da parte del governo centrale e di quello regionale, affinché finalmente si arrivi alla concretizzazione di un progetto comune di sviluppo. E’ un dovere al quale non ci si può più sottrarre, per onorare la memoria di quanti hanno perso la vita lavorando all’estero, per garantire un futuro migliore alle loro famiglie ed all’Italia, tutta intera!



    *già Caporedattore Tgr Rai





  • L'altra Italia

    La storia. Parte obiettore di coscienza, torna per entrare in seminario


    PESCARA - “Mons. Edoardo Menichelli  è un grande arcivescovo, un vero pastore, e lo sarà anche come cardinale”. Don Vincenzo Tassitani esprime ammirazione per la scelta di Papa Francesco.


    Per anni in Abruzzo è stato molto vicino all’attuale arcivescovo di Ancona. Obiettore di coscienza, partito a 20 anni da Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, per prestare il servizio militare a Chieti, è ritornato dopo qualche tempo in Calabria per ultimare gli studi nel seminario di Catanzaro. Dal volontariato all’altare, sempre dalla parte degli ultimi. Una scelta maturata nella città di San Giustino. Nel 1998 l’incontro con l’arcivescovo Menichelli, allora alla guida della diocesi di Chieti. A fissare l’appuntamento era stato don Giuseppe Di Virgilio, che si occupava “della pastorale vocazionale e accompagnava i giovani che iniziavano il cammino di formazione alla vita consacrata”. Ricorda Don Vincenzo: “L’arcivescovo mi fece una domanda a bruciapelo: “Vince', ma davvero ti vuoi fare prete?” Dissi: “Sì,io lo desidero”. Raccontai tutto di me, i segni della chiamata di Dio, il giorno che mi fermai a pregare a San Giustino. Ero solo, nella grande cattedrale mi sentii piccolo, ma immensamente amato da Dio. In quel momento intimo con Dio, dall’iniziale smarrimento trovai luce nel mio animo. Pensai: “Sì, Signore, sia fatta la tua volontà”.

       
    La svolta. Una scelta di vita. Le riflessioni, i consigli e i buoni auspici di Menichelli. “L’arcivescovo mi disse che la vita del prete non è vita facile. Ma nello stesso tempo si è felici ugualmente, felici perché si porta Dio ai fratelli, quindi la via, la verità e la vita. Passammo un'ora insieme e alla fine mi diede la sua benedizione, dicendomi: “Se son rose fioriranno”. Ottenni il parere favorevole ad iniziare l'anno propedeutico sotto la guida di don Giuseppe Di Virgilio. Poi iniziai il cammino di discernimento e formazione”. Menichelli lo seguiva con grande attenzione. “Periodicamente lo incontravo. Ogni colloquio  era un arricchirsi interiormente. Con lui avevo finalmente chiaro il progetto di Dio su di me. Mi ha fatto crescere passo dopo passo. Ha sostenuto ed incoraggiato con amore di padre il mio "SI" iniziale. E’ stato il mio modello di prete. Un prete e vescovo che cammina portando la Verità, Cristo. Lui non cercava di piacere, farsi amici, come purtroppo tante volte succede nel nostro mondo ecclesiale. Mi ricordo gli anni di lotta col sindaco di Chieti, Nicola Cucullo. L’ex sindaco che l'attaccava. E lui sempre con carità gli rispondeva, invitandolo alla comunione e alla pace. Il  suo unico scopo era quello di portare Cristo agli uomini. Negli anni di formazione mi ha forgiato come uomo e come prete. Ho sempre desiderato di essere prete come lui e purtroppo anch'io come lui ho tanti nemici nella comunità. Sa, oggi molti hanno paura della Verità. La Verità ci scomoda, ci richiama ad una più coerente vita cristiana”.
     
    Don Vincenzo da nove anni svolge la sua missione pastorale nella diocesi di Locri-Gerace, dopo essere stato per un anno a Nova Siri, in provincia di Matera, nella diocesi di Tursi-Lagonegro. “Fu mons. Bregantini a farmi venire nella Locride, dopo un incontro con un missionario, avvenuto nel seminario di Catanzaro. Bregantini era molto amato qui in Calabria”. Guida le parrocchie di San Giovanni di Gerace e recentemente anche di Moschetta, due piccoli borghi, in una realtà economica, sociale e occupazionale molto problematica. Le tante criticità vengono affrontate con grande impegno dal parroco che ancora oggi considera decisivi per la sua formazione gli anni trascorsi in Abruzzo, impegnato in alcune cooperative di assistenza agli anziani e degli ammalati. “Ho toccato con mano la sofferenza dell'uomo. Li aiutavo a vivere quel momento difficile della loro vita con fede. Sa, ne ho accompagnati tanti all'incontro con nostro Signore. Il lavoro l’avevo ottenuto tramite don Luigi Cremasco, sacerdote dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, morto due anni fa, che avevo conosciuto durante il periodo del servizio militare come obiettore di coscienza. Anni belli per me. Ho avuto dei grandi maestri, i camilliani di Bucchianico. Guardando loro, ho pensato al sacerdozio. Iniziai a conoscerli nelle strutture sanitarie, in particolare alla clinica Spatocco. Poi andavo spesso a Bucchianico. Lì ho conosciuto la vita di San Camillo de Lellis e la sua patria”.
     
    Si è trovato bene in Abruzzo, del quale serba un buon ricordo. Poi spiega così la decisione di tornare in Calabria: “Quando rientravo a Corigliano nelle vacanze il mio parroco e gli altri sacerdoti mi chiedevano come mai stavo a Chieti e non nella mia diocesi di Rossano-Cariati, lontano da casa. Mi fecero scoprire i legami con la mia terra e la mia diocesi. Parlai col mio padre spirituale, Mons. Cipollone, l'attuale vescovo di Lanciano. Parlammo molto, e in più occasioni espressi il desiderio di rientrare a Rossano, ma non volevo lasciare il Seminario chietino e non potevo continuare a farmi mantenere da Chieti visto che  sarei andato via alla fine degli studi. Chiesi al mio vescovo di sostenermi a Chieti, ma lui mi disse che poteva aiutarmi solo nel seminario di Catanzaro. Dovetti perciò rientrare in Calabria. Scrissi una bella lettera di ringraziamento a mons. Menichelli, chiedendo scusa anche del fatto che non mi sentivo figlio di quella diocesi e quindi desideravo tornare in Calabria. Ancora ne conservo una copia. Lui capì  e accolse positivamente questa nuova scelta”.
     
    Don Vincenzo, per concludere, quale è stato il suo primo pensiero quando ha saputo della nomina a cardinale di mons. Menichelli?
     
    “Sicuramente un pensiero di gratitudine verso Dio e la certezza che lo Spirito Santo sa quello che fa e sa chi scegliere”.
     
    *già Caporedattore del TGR Rai 
     
     
     
     
     


  • Fatti e Storie

    Santa Severina in Calabria. Creare lavoro con la cultura


     
    Santa Severina e la cultura che produce ricchezza. Il Sud che propone e fa. Che non sta fermo ad aspettare la “manna dal cielo” e che rifiuta la paralizzante “prassi” che altri ed altrove decidano le sorti di una comunità che ha idee e progetti fattibili. L’estremo Sud che si muove. E ottiene risultati importanti per l’economia, il turismo e l’occupazione. Da un comune calabrese un esempio di come si possono e si debbono sfruttare le straordinarie risorse del passato, per uscire dalla crisi e per costruire un futuro migliore. Conoscere e  valorizzare. “Con le giornate FAI abbiamo aperto la cattedrale bizantina chiusa da 50 anni, nella quale almeno la metà della popolazione non era mai entrata. Non conoscevano pienamente l'importanza del bene. Anche la Curia si è mobilitata. Un altro segnale importante, un’altra risposta positiva al coinvolgente progetto di sviluppo possibile attraverso la piena utilizzazione del patrimonio storico, artistico ed archeologico presente sul territorio”.

     
     
    A parlare così è la professoressa Marilisa Morrone, una delle più autorevoli studiose calabresi dei millenari tesori dell’arte e dell’archeologia della regione che è stata la culla della cultura e della civiltà. E’ autrice di numerose pubblicazioni e ha seguito e sta seguendo opere di recupero di siti di notevoli interesse. Il sindaco di Santa Severina, l’avv. Diodato Scalfaro, si è affidato alla sua esperienza per concretizzare un intelligente investimento sulla crescita economica, sociale, culturale ed occupazionale del paese. I beni del passato, unica vera risorsa di Santa Severina, riportati all’antico splendore. Per dare ai giovani la speranza, dopo che in questa regione, un po’ dovunque, la sciatteria e l’incapacità di amministratori e di politici hanno rubato anche il futuro alle nuove generazioni. “Il paese  è riconosciuto di grande valenza storica - evidenzia il sindaco -, tanto che è tutelato dallo Stato con un vincolo paesaggistico”.

     
     
    Ricordiamo a questo proposito che Santa Severina (Crotone) si è piazzata al terzo posto nel Concorso Nazionale “Il Borgo dei Borghi” della trasmissione “Alle falde del Kilimangiaro” condotta da Licia Colò. “Premiata la bellezza e l’importanza storico-monumentale di Santa Severina, al culmine di una stagione di successi, e di riconosciuto ruolo di primo piano della nostra cittadina nel panorama turistico della Regione”, dicono con orgoglio gli amministratori comunali. Mentre la studiosa Morrone spiega: ”Il suo grande patrimonio è stato oggetto di numerosi interventi di restauro e valorizzazione. Tra tutti quello, negli anni ’90,  del Castello, di proprietà comunale, fondato da Roberto il Guiscardo, riportato allo splendore di un tempo, con scavi archeologici che ne hanno chiarito le preesistenze bizantine, l’origine e le trasformazioni nei secoli. C’è stato un intervento radicale: restauro delle architetture e inoltre dei dipinti, degli stucchi, di tutte le decorazioni della residenza ducale dei Grutther al piano nobile del Mastio”.

     
     
    Riflettori accesi, nelle  Giornate di Primavera del FAI, sulla Chiesa dell’Addolorata, la vecchia cattedrale, edificio bizantino rimaneggiato nel XVIII sec., da troppo tempo inaccessibile al pubblico perché in condizioni di degrado. Utile occasione per la conoscenza approfondita di un importante monumento, ma anche per sollecitare, come ha già fatto il comune, interventi adeguati. Da sottolineare anche la donazione, da parte del Rotary club di Santa  Severina, di un pannello con le notizie storiche sulla chiesa scritte in caratteri Braille. E molta attenzione è stata riservata all’esposizione nel Castello della tela di Mattia Preti “S. Luca che dipinge la Madonna” proveniente dall’Isola di Malta, a cura del restauratore G. Mantella.

     
     
    Piena fruibilità da parte di appassionati e di turisti. Ci spiega la professoressa Morrone: ”Al pian terreno del castello si trova il Museo Archeologico dove sono esposti i materiali trovati negli scavi dello stesso edificio e quelli provenienti dal territorio. Anche il palazzo arcivescovile negli anni scorsi è stato restaurato e al suo interno è stato creato il Museo Diocesano contenente i tesori lasciati da secoli di residenza degli Arcivescovi Metropoliti”. Il sindaco aggiunge: “All’interno del castello è ospitata una sezione del Conservatorio di Musica “Ciaikovskij” di Nocera Terinese e vi si svolgono importanti eventi culturali, come mostre e convegni, molto numerosi nel cartellone estivo; in particolare, di grande rilevanza quest’anno, la mostra e l’evento ad essa legato, di poesia visiva di Anna Lauria, una sorta di fusione tra poesia e arte figurativa. Ambedue i poli monumentali-museali sono gestiti dalla Cooperativa Aristippo, che dà lavoro ad un gruppo di giovani che fanno servizio di guida e di altri servizi. La stessa cooperativa si occupa delle attività culturali che si svolgono sia al Castello che al Museo Diocesano, e gestisce il book shop del castello”.  

     
     
    Santa Severina appare destinata a rappresentare un buon esempio per gli altri paesi della Calabria. Si può voltare pagina. Però bisogna agire con serietà. E i risultati non tardano ad arrivare. Sottolinea ancora il sindaco Scalfaro: “Santa Severina nei mesi scorsi ha aderito all'Aceb, Associazione delle città Eredi di Bisanzio, che raggruppa centri di molti paesi europei promuovendo offerte di turismo culturale ai Tour operators. L’adesione proietta la cittadina in circuiti di turismo internazionale. La professoressa Morrone evidenzia: “Il restauro del Castello e dell'Arcivescovado hanno determinato la svolta decisiva nella vita e nell'economia di Santa Severina. Il paese è entrato nei percorsi turistici regionali e nei circuiti del turismo scolastico”.

     
     
    La studiosa  rileva come i flussi turistici abbiano già favorito la creazione di nuovi posti di lavoro con la Cooperativa Aristippo, che è costituita da 19 soci, in gran parte laureati e diplomati. La cooperativa si avvale della consulenza di docenti e ricercatori dell’Università della Calabria nonché dell’apporto sinergico della Fondazione Brettion per la valorizzazione dei beni culturali della Calabria. Coinvolte associazioni, società e imprese artigiane calabresi operanti nel settore del turismo, della musica, dell’editoria e dell’artigianato artistico. A Santa Severina si è avuta l'apertura di tanti esercizi commerciali e di nuove  attività: bar, ristoranti, pizzerie e agriturismo. Fino ad ottobre sono stati 31.000 i visitatori del Castello. I dati forniti dalla Cooperativa Aristippo per avere “un’idea dell’importanza del monumento, e dell’indotto che orbita attorno ad esso, nell’intero contesto cittadino” .La  professoressa  Morrone fa notare che “sono tremila in più  rispetto  al 20l3” .E’ un buon segnale, in controtendenza , considerando che   “ il  2014  è  un anno di recessione turistica per la Calabria”.        

     
     
    Impegno culturale ad alto livello. Alle importanti manifestazioni che si tengono da diversi anni come Castelfiaba, scrittura creativa diretta ai bambini, e il Premio Siberene promosso in collaborazione con la Pro Loco omonima, l’amministrazione comunale con il patrocinio scientifico della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, ha organizzato quest’anno un ciclo di conferenze sul tema: “Santa Severina incontra: storia, archeologia, arte, architettura” con illustri uomini di cultura. Ciclo di conferenze che è stato giudicato, in seno agli studiosi della Deputazione di Storia Patria, come tra i più grossi eventi culturali del 2014 in Calabria. Grande partecipazione e rilevanti indicazioni su  nuovi studi e ricerche per la città e il territorio.

     
     
    Il prossimo incontro ci sarà domenica 16 novembre, alle ore 17, nella “Sala dell’Incannicciata”. Il dott. Francesco Cuteri, archeologo dell’Aisb (Associazione Nazionale Studi Bizantini) parlerà degli “Insediamenti rupestri nel territorio di Santa Severina”. Ci sarà l’intervento del sindaco Diodato Scalfaro. Introdurrà il dibattito e farà da moderatrice la prof.ssa Marilisa Morrone, consulente dell’amministrazione comunale per le attività culturali. “Le conferenze – sottolinea -servono per far conoscere, per divulgare ciò che gli studiosi hanno ricercato, e che altrimenti resterebbero tra i pochi addetti ai lavori: è giusto che tutti conoscano il patrimonio che hanno e cosa li circonda. La conoscenza è il primo passo per lo sviluppo del territorio: senza conoscenza non c'è amore, non c'è rispetto dei propri beni e dunque non c'è salvaguardia e conservazione. E senza conservazione non c'è sviluppo, non c'è possibilità di "sfruttare" i Beni per la crescita economica di un territorio. E' tutto un percorso che se non ha un inizio non può proseguire, e l'inizio è questo”.
     

     
    Attività intensa. Bilancio positivo e nuove proposte. La prof.ssa Morrone ci parla dei nuovi progetti: ”Nei prossimi mesi ci saranno due esposizioni temporanee di tele molto significative, una che riguarda la storia ecclesiastica di Santa Severina (un ritratto di un arcivescovo di S. Severina del XVII sec., inedito e sconosciuto alla Diocesi, individuato nella patria dello stesso arcivescovo), l’altra con Beni di carattere internazionale”.
     


     
    *già Caporedattore del TGR Rai


  • L'altra Italia

    Matera regina europea della cultura

    PESCARA - In queste ore di gioia per la Basilicata, il modo migliore per festeggiare la designazione di Matera  a “Capitale Europea della Cultura 2019” è quello di ricordare le parole e l’opera di due grandi uomini che alla Città dei Sassi  hanno dato proprio tanto: Rocco Scotellaro e Carlo Levi. Proprio in questi giorni, da Torino, l’amico Pino Colosimo, uno  studioso di origini calabresi che ha tanto appreso dalle lezioni del nonno contadino, mi ha scritto per dirmi che aveva trovato una pubblicazione in cui  veniva riportato il discorso tenuto nel 1967 da Levi a Matera nel convegno “Gramsci e il Mezzogiorno, oggi, in Basilicata”. Gli ho risposto che ero molto interessato e tempestivamente mi ha mandato tutto. Documento storico, dal quale ho tratto un passaggio dell’intervento di Levi che ritengo molto significativo.

    Rileggiamolo insieme: “Visto che sono qui a Matera, vorrei per un minuto soltanto accennare ad un problema di cui pensavo anche questa notte passeggiando nei Sassi, vorrei accennarvi al problema dei Sassi di Matera, alla necessità della loro vita, della loro esistenza come fatto vitale per salvare un patrimonio architettonico unico al mondo e che non si può salvare se non dandogli una ragione effettiva di esistenza, se non cioè secondo le linee che ho cercato di esporre anche nella mia relazione al Senato, cioè rendendoli nuovamente abitabili senza voler riprendere le stesse strutture, le stesse abitazioni e gli stessi vicinati di prima; trovandovi anche altre destinazioni, ma rendendoli veramente un fatto vivo e del resto su questa linea lavorano architetti e urbanisti che vengono qui, sia di Matera sia di Venezia, sia di Napoli sia di altrove, e lavorano anche i giovani di Matera che hanno fatto quell’importante lavoro sulle chiese rupestri e sui tentativi di dar vita al Sasso e per cui dovremmo evitare di ridurre il Sasso di Matera, che vi ripeto è effettivamente una delle meraviglie dell’architettura popolare del mondo, a un fatto morto.

    Non possiamo ridurre Matera come ad una città che ho visto nel Caucaso in Georgia che si chiama Varsia e che era una piccola città fiorente nel XII secolo ma che poi venne distrutta dai persiani e che adesso non è che un insieme di buchi nella roccia dove rimasta soltanto l’antica chiesa con gli splendidi affreschi del XII secolo. Ma,deve essere, invece, quasi direi a segnare la vitalità del mondo meridionale, deve ancora riprendere una sua vita quotidiana e reale. Perché anche su un problema così particolare, così lontano apparentemente da uno sviluppo politico-sociale, si può dimostrare la maturità del Mezzogiorno, e il fatto che la coscienza rivoluzionaria è il solo modo di ridare valore alle radici del passato, al suo linguaggio e anche alla sua arte poiché, come ci ha insegnato anche questo Gramsci, è nella storia che esistono le premesse di ogni possibile rivelazione e rivoluzione. Oggi cari amici un ritorno a Matera come questo è per me sempre una ragione profonda di vita, un contatto con la realtà nel suo farsi sempre nuova e sempre legata a quei valori fondamentali dell’uomo che qui ho imparato a conoscere.

    E’ un rapporto con ciò che esiste per la prima volta: non quel mondo contadino che attraverso tutte  da Gramsci e le difficoltà e le crisi della sua creazione, della sua autocreazione, anche davanti a problemi sempre nuovi e sempre più vasti, complessi e difficili, è in cammino. Vi ricordate i versi di Rocco Scotellaro: ”E’ fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi/ con i panni e le scarpe  e le facce che avevamo”.Con le facce che avevamo, e qui con voi io le ritrovo quelle facce, che avevamo, ma di cui abbiamo preso coscienza, a cui abbiamo dato un’esistenza nuova; e questo fatto, che Antonio Gramsci aveva capito, è, insieme, poesia e libertà”.

    Matera si è messa in gioco ed  ha vinto. Ha saputo dare un seguito positivo all’ ”esistenza nuova” avviata dai grandi Levi e Scotellaro. Complimenti amici della  Lucania da un calabrese che gioisce per il meraviglioso traguardo raggiunto da una regione veramente “in movimento”.

    C'è un forte ed innovativo fermento culturale. La promozione della regione anche  fuori dai confini nazionali ha dato buoni frutti. C'è un’attività cinematografica unanimemente apprezzata, messa in moto dalla Lucana Film Commission, guidata da Paride Leporace, grande uomo di cultura esperto di cinema. Questo riconoscimento è il risultato di una compattezza e serietà di intenti che vanno sottolineati. Ed elogiati. Ad alta voce. Un esempio da seguire. Spero che questo nuovo successo lucano sia da stimolo per la sonnacchiosa Calabria. Ha tanti beni, ma non sa  metterli in  mostra. Addirittura li oscura con l’indifferenza. E non li protegge come sarebbe opportuno: dagli scavi di Sibari all’antica Kaulon, pietre millenarie da salvare e da valorizzare!

  • L'altra Italia

    Pedofilia. Mario Fratti: basta con gli insabbiamenti

    PESCARA - “Il Papa ha molti nemici, ma non ha paura, perché si sente protetto da milioni di cattolici che approvano e difendono il suo operato”. Ad affermarlo è stato il grande drammaturgo italo-americano Mario Fratti che il 25 settembre scorso a Pescara, nella Sala “Figlia di Iorio” della Provincia, ha presentato il libro “Nuovi drammi” (Noubs edizioni).

    Una raccolta di sei sue opere, l’ultima delle quali, “Teneramente”, è dolorosamente vicina alla realtà “nascosta” di ieri, oggi “svelata” dal Papa del cambiamento. “E’ un tragico episodio di pedofilia che riguarda la Chiesa”, spiega l’autore. “Un atto unico, un monologo teatralissimo, in cui si affronta un tema tanto attuale, quello della violenza dei preti ai danni dei minori”.

    “La corruzione di un fanciullo è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare, laChiesa lotta perché il vizio sia debellato e l'educazione recuperata. Ma anche noi abbiamo questa lebbra in casa”. Questo aveva ammesso il Pontefice in un colloquio con Eugenio Scalfari, pubblicato nel luglio scorso da Repubblica. Papa Francesco ha tolto effettivamente il coperchio. “Sì, sta affrontando seriamente il delicato problema della pedofilia”, dice Fratti. E aggiunge: “Si vergogna di un passato in cui si celava tutto ed ora è orgogliosissimo del fatto che molti sacerdoti sono d’accordo con lui ed approvino le nuove regole”. Basta con silenzi e connivenze.

    “Ha dimostrato con i fatti che bisogna arrestare e punire i colpevoli”, ribadisce Fratti. Basta con gli insabbiamenti. La commissione Onu per i diritti dei minori con un rapporto-denuncia aveva chiesto chiarimenti al Vaticano sulle “politiche della Santa Sede che hanno permesso a religiosi di abusare sessualmente di decine di migliaia di bambini e ragazzi”. La commissione delle Nazioni Unite aveva accertato che “il Vaticano aveva violato la convenzione per i diritti dei minori” per cui aveva sollecitato “l'immediata rimozione" dei responsabili e la loro "consegna" alle autorità civili. Auspicata anche “l'apertura degli archivi sui pedofili e sugli uomini di chiesa che hanno coperto i loro crimini”.

    La svolta c’è stata. Papa Francesco la sta portando avanti con grande determinazione. In tutti i campi. E con grandi rischi. Mario Fratti, durante la presentazione del suo libro con Lucilla Sergiacomo, Goffredo Palmerini, Generoso D’Agnese, il sindaco di Pescara Marco Alessandrini e l’Assessore comunale alla Cultura Giovanni Di Iacovo, ha avuto più volte parole di grande stima e anche timori per l’incolumità del Pontefice: “Per me Francesco è un grande. Lo ammiro. Uomo meraviglioso, spero che abbia una lunga vita”. I timori sull’incolumità del Papa purtroppo non sono infondati. L’allarme l’aveva lanciato diversi mesi fa anche il giudice Nicola Gratteri: “Il Papa rischia? Certamente. Il rischio c’è soprattutto quando in modo sistematico si porta avanti un progetto per deviare il corso di un fiume”. Ed è quello che Papa Francesco sta facendo.

    *già Caporedattore del TGR Rai

  • Fatti e Storie

    La legalità prima di tutto. Con la “scomunica”, conseguenze concrete


    “La scomunica della ‘ndrangheta è una “novità” che non può non avere conseguenze concrete”. Mons. Francesco Oliva, che da fine luglio sarà il nuovo vescovo di Locri, è stato molto diretto, senza ambiguità, nel commentare le parole di Papa Francesco all’indomani  della “scomunica” ai mafiosi. I fedeli della Locride sanno fin d’ora che possono contare sulla ferma intenzione del loro nuovo Pastore di far rispettare le regole. La legalità prima di tutto. Agirà. Applicherà la “scomunica”. Le conseguenze saranno concrete. E c’è da credergli. E’ il positivo  biglietto da visita con il quale si presenta nella terra più martoriata e umiliata del profondo Sud. Ispira fiducia. Deve avere la fiducia ed il sostegno di chi da sempre invoca per la Locride un presente diverso ed un futuro migliore. Il passato è stato infausto. Strade insanguinate dall’odio e dalla prepotenza. Serve più amore. Basta con i lutti. Ritorni l’armonia e la pace. Rispetto della persona umana.
     
    La Chiesa qui non è esente da colpe. Ha subìto e tollerato. Ci sono stati e ci sono anche preti coraggiosi. Troppo soli. Troppo esposti. Perciò facile bersaglio dei sicari mafiosi. La dichiarazione di Mons. Oliva pubblicata dal Quotidiano della Calabria, dà una idea ben precisa di come svilupperà la sua azione sulla via di Papa Francesco con una “strategia pastorale più attenta e vigilante”. Nel cuore dei problemi, per entrare nel cuore della gente. Non fa giri di parole. Non ricorre ai consunti luoghi comuni. Non si sottrae alle responsabilità. Va oltre e prende un impegno ben preciso sulla svolta culturale che dovrà coinvolgere tutti “ed in primo luogo la Chiesa”. Intervistato dal Quotidiano ha infatti precisato che “è scontato che la sola azione repressiva, per quanto importante, non è sufficiente ad arginare il fenomeno. Ad essa deve essere collegata una strategia culturale che impegni anche le scuole e le istituzioni civili più sane”. Dai buoni intenti si passi però effettivamente ai fatti. La Chiesa dia l’esempio.
     
    L’abbiamo scritto sul “Quotidiano” di domenica scorsa. Chi ha sbagliato o sbaglia ancora oggi va “scomunicato” al pari dei mafiosi. Apprezziamo perciò quanto dice il nuovo Pastore chiamato a guidare sulla retta via i fedeli della difficile Diocesi di Locri. L’autorevole appello di Mons. Oliva non può cadere nel vuoto. Sarà impresa ardua, oltre che rischiosa in certe realtà dove è fortemente radicato il potere mafioso. Ma non ci si deve arrendere. Occorre impegnarsi a fondo per far capire a tutti che delinquere è peccato grave. In tutti i settori. Nessuno escluso. Alcuni preti coraggiosi ci hanno rimesso la vita. Tanti “sgraditi” al potere sono stati messi da parte. Sospesi a divinis e mandati via. Lo scontro tra i potenti Vescovi retrogradi e gli umili parroci illuminati ha sempre avuto un esito scontato. Ha vinto il Potere. Quando la forza del potere schiaccia gli umili e gli onesti, è in pericolo la convivenza civile. Quando viene negata la libertà di dissentire, si compie una madornale ingiustizia. Si calpesta la democrazia. Quante assurdità sulla pelle dei buoni!
     
    Ci si è sbarazzati delle buone intelligenze, per far andare avanti mediocri e collusi. E’ successo. Non dovrà più succedere. Non ci sono più alibi. Minimizzare non si può più. Papa Francesco è stato deciso. Piazza pulita. Rinascita sociale. E l’arrivo nella Locride di Mons. Oliva dovrà servire a far uscire dalla solitudine del sottosviluppo e dall’isolamento tanti paesi  ingiustamente dimenticati dallo Stato. Servono azioni positive. Troppi comuni sono condizionali dal potere politico-mafioso. Legami che vanno rotti, definitivamente. Troppi comuni sono commissariati per mafia. Grandi e piccoli. La piovra agisce ovunque, allungando sempre di più  i suoi micidiali  tentacoli. I cittadini debbono ritrovare la fiducia nelle Istituzioni. Riavvicinarsi alla politica. E fare politica con le mani pulite, non farsi usare dalla malapolitica. Per il bene comune.
     
    Lo Stato ha compiuto errori gravi. La Chiesa pure. Il nuovo vescovo di Locri avrà un compito gravoso. La gente buona e onesta si attende molto da lui. Deve portare una nuova ventata di operatività e di concretezza. Con intelligenza. Bisogna guardare al futuro, ma non dimenticare gli errori e pure i buoni esempi del passato. La Locride non è tutto un marciume o sfascio irreparabile. Chi afferma che “è impossibile cambiare” è in malafede. Non ama la Locride. Dice una deplorevole falsità per coprire l’incapacità. Non sanno o non vogliono proporre progetti fattibili di sviluppo. Subdolamente nascondono la compiacente e vigliacca connivenza con le forze del male. E no, non ci siamo proprio. Verità e sincerità sono necessarie, oggi più che mai. Gli inganni e le false promesse recenti e meno recenti hanno ridotto a brandelli le belle speranze dei calabresi onesti, alimentando il pessimismo. Alle ragazze ed  ai ragazzi  della Locride Mons. Oliva deve dare una forte carica di fiducia. Far rinascere la speranza e mandare via definitivamente chi finora ai giovani ha rubato anche il futuro.
     
    *già Caporedattore del TGR Rai


  • L'altra Italia

    La realtà dei valori della nostra terra e delle sue genti. Ovunque nel mondo

    L’AQUILA - Come eravamo. Come siamo. Come vorremmo essere. In Italia e oltre i confini della Penisola. Dal sogno passare alla realtà della Bellezza dell’Italia. Il recente film di Paolo Sorrentino premiato con l’Oscar ha riacceso i riflettori sulla nostra ricchezza artistica, storica e culturale da tutelare e valorizzare. E’ fresco di stampa ed è stato presentato venerdì scorso, 28 marzo, a L’Aquila, con una magnifica cornice di pubblico che ha riempito in ogni ordine di posti l’auditorium. E tra il pubblico una delegazione di 21 studenti del Colorado College (Usa) guidati dal prof. Salvatore Bizzarro, all’Aquila per visitare la città e l’Istituto Cinematografico “La Lanterna Magica”.

    E’ un vero e proprio libro di storia, quello di Goffredo Palmerini, che tutte le biblioteche delle scuole italiane e gli Istituti di Cultura Italiana all’estero dovrebbero possedere e rendere fruibile alle giovani generazioni, lasciandolo come preziosa eredità ai ragazzi del futuro.

    ”L’Italia dei sogni - Fatti e singolarità del bel Paese”, One Group Edizioni, ultima fatica letteraria di Goffredo Palmerini, un grande studioso con L’Aquila nel cuore e gli italiani che sono partiti e quelli che sono rimasti nella mente, racconta un popolo che ha grandi potenzialità e può davvero sognare positivo. Basta volerlo. E’ il filo ideale che lega questo libro ai due precedenti, “L’Aquila nel mondo” e “L’Altra Italia”, che tanto successo hanno riscosso e con i quali forma una trilogia.

    ”Un sogno in un ognuno dei tre titoli di Palmerini: contribuire con i suoi scritti a varcare i confini imposti da ogni pessimistica visione che vorrebbe come persi i valori della nostra terra e delle sue genti”, annota l’editore.

    Palmerini, con la modestia che l’ha sempre contraddistinto, dice: ”Sono consapevole che nulla di eccezionale si trovi in questi miei scritti. E tuttavia l’accoglienza favorevole che ricevono, con le più varie motivazioni, fanno ritenere semplicemente utile il mio “servizio” verso le comunità italiane nel mondo”.  E dedica un pensiero particolare al Capo dello Stato Giorgio Napolitano “con ammirazione per l’alto magistero esercitato alla guida dell’Italia in uno dei periodi più difficili della nostra storia”. Sottolinea “la saggezza,l’equilibrio ed il costante e rigoroso riferimento alla nostra Costituzione” e lo ringrazia per l’apprezzamento del libro “L’Altra Italia” che “ha particolarmente gradito”, come gli ha scritto il dott. Carlo Guelfi, Consigliere e Direttore dell’Ufficio di Segreteria del Presidente della Repubblica.

    Gli scritti di Palmerini hanno un alto valore sociale e culturale. ”Una funzione di straordinario spessore“, rileva opportunamente nella prefazione Errico Centofanti, giornalista e scrittore. Proprio così. Ha costruito un circuito mondiale di contatti “con appassionata meticolosità” e diffonde le notizie. ”Non si tratta di un’attività da agenzia di stampa”, precisa Centofanti. E spiega: “Goffredo produce reportages dettagliati, precisi, accuratamente documentati, su avvenimenti e persone di entrambi i fronti: parla delle cose italiane che possono suscitare l’interesse di chi vive altrove e a noi racconta quel che mai verremmo a sapere di quell’altra Italia, fatta di decine di milioni di uomini e di donne che vivono all’estero e nelle cui arterie scorre sangue di origine italiana”. La riscoperta delle radici. Non nostalgici ricordi, ma inviti a capire com’eravamo e a non dimenticare i grandi sacrifici degli emigranti in Italia e nel mondo. Successi sofferti. Il presente ed il passato. ”Un incrocio di informazioni e di riflessioni con cui si accrescono ogni giorno la consapevolezza della realtà e l’attitudine a sviluppare fattori di progresso”, dice ancora Centofanti.

    “Ma cosa c’è in questo volume di così vasto interesse umano per gli innumerevoli lettori italiani sparsi nel mondo?”, si chiede nella presentazione Salvatore Bizzarro, che negli Stati Uniti è professore di italiano e spagnolo nell’università del Colorado College, a Colorado Springs. ”Per cominciare - dice - abbiamo un’idea precisa della stampa italiana all’estero e della sua preziosa funzione. Uno dei riferimenti ricorrenti e principali è il terribile terremoto del 2009 che ha devastato L’Aquila, una delle città più belle d’Italia e la mia prediletta”. Lo studioso mette poi in evidenza che “il libro inizia con uno scritto sul Santuario dedicato a Giovanni Paolo II e sulla Perdonanza, il primo giubileo istituito da papa Celestino V.

    Una breve descrizione ci conduce nell’incantevole villaggio di San Pietro della Jenca e nell’omonima chiesetta medievale. In quel luogo si ricordano tre papi: San Pietro Apostolo, Celestino V - che,con la Perdonanza, cancellò il commercio delle indulgenze – e Giovanni Paolo II a cui è stato dedicato il Santuario di San Pietro della Jenca”. Santuario recentemente salito alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali per il furto sacrilego compiuto da tre giovani che avevano portato via e poi buttato perché ritenevano di scarso valore, un reliquiario con un pezzetto di stoffa intrisa di sangue, ritagliata   dall'abito che Giovanni Paolo II indossava il 13 maggio nel 1981, quando rimase vittima dell'attentato compiuto da Ali Agca in piazza San Pietro. A donare la reliquia, che è stata recuperata dalla polizia su indicazione degli stessi ladri, era stato il segretario del pontefice nel 2011, Stanislaw Dziwisz, oggi cardinale e arcivescovo di Cracovia. Aveva spesso accompagnato Karol Wojtyla in gran segreto sulle tanto amate montagne abruzzesi.

    Palmerini, a proposito della Perdonanza, fa una riflessione di estrema attualità: ”Sarebbe proprio un altro miracolo di San Pietro Celestino se chi detiene i pubblici poteri, ad ogni livello, in luogo di reciproche accuse e polemiche a non finire, si provasse a trovare, in pace e con buona volontà, i sentieri del bene comune. Quel che serve all’Aquila e agli aquilani”. Vivere serenamente. Dalle lezioni di Giovanni Paolo II e Celestino V, al capitolo successivo sul “Museo delle Lettere d’Amore” di Torrevecchia Teatina. Scrive: ”Diverrà uno dei Musei più singolari al mondo, nel costruire uno straordinario fondo di memorie ed emozioni attraverso la raccolta, la catalogazione e la conservazione di preziose testimonianze private, le più intime, che così diventeranno un patrimonio condiviso. Ad inaugurarlo, nell’agosto del 2011, Giò Di Tonno, un cantante tanto amato, vincitore del festival di Sanremo con Lola Ponce.

    Tanti personaggi raccontati in 280 pagine ricche di testimonianze d’affetto alle origini. Il prof.Alberto Di Giovanni, direttore del Centro Scuola e Cultura Italiana di Toronto che ha donato alla sua Roccamorice “una collezione d’arte e una biblioteca di notevole valore culturale e patrimoniale”. Dan Fante, “figlio del mitico scrittore italo-americano John Fante (originario di Torricella Peligna dove ogni anno per iniziativa della studiosa Giovanna Di Lello si svolge il festival letterario “Il dio di mio padre” ) e scrittore di successo egli stesso”. A L’Aquila ha dato il “primo spruzzo di colore” ad un “murale nel cuore della città “ come “testimonial d’eccezione ad un'altra delle numerose iniziative che l’Associazione Jemo ‘nnanzi da quel tragico 6 aprile 2009 porta avanti nella città devastata dal terremoto”. Invito alla ripartenza. Appello alla rinascita. Con l’ottimismo della volontà. Don Tonino Bello, raccontato da Francesco Lenoci nel libro “Spalancare la finestra del futuro”.

    Una riflessione sui giovani. ”Si parla di generazione tradita, -scrive Palmerini - la più colpita dalla crisi, dalla disoccupazione, dalla recessione. Eppure l’autore confida nei giovani e li invita, con le parole di don Tonino Bello, a “danzare la vita” senza scoramenti. Li esorta, anzi, a farsi organizzatori della Speranza, preparandosi a svolgere ruoli da protagonisti nello sviluppo sociale e civile del Paese, specialmente nel mondo del lavoro, dove occorre essere consapevoli che un bravo imprenditore – allo stesso modo di un bravo comunicatore e di una persona comunque orientata al futuro – “deve sapere, deve saper fare e deve farlo sapere”.

    Mario Fratti, il drammaturgo abruzzese che “dal 1963 vive a New York dov’è un’autorità indiscussa del teatro americano e mondiale”. Nel 2011 organizzò e finanziò una rassegna sui nuovi autori italiani.”E’ un cruccio del grande drammaturgo che non si fa ragione della miopia tutta italiana di trascurare i nostri autori, sovente di grande valore, per rappresentare opere di stranieri”. Fratti ha mantenuto solidi i legami con L’Aquila, dove ha presentato il libro di Palmerini “L’Altra Italia” ed ha partecipato all’anteprima di una sua opera, la commedia Frigoriferi, “trasposta in musical per iniziativa dell’Associazione Mamò e della sua effervescente presidente, Federica Ferrauto”.

    Rimanendo negli Stati Uniti, Palmerini dedica molto spazio al Columbus Day, la manifestazione dell’orgoglio italiano. Una cronaca dettagliata della sfilata “un’occasione annuale per esprimere l’orgoglio della comunità italiana, le eccellenze della nostra cultura, il contributo italiano alla crescita ed alla storia degli Stati Uniti d’America. Tutti elementi che nel Columbus Day si fondono, in un caleidoscopio di emozioni profonde, palbabili”.

    Dicevamo un libro di storia. Proprio così. Ricordando “le pioniere della parità: Filomena Delli Castelli e Maria Federici, costituenti abruzzesi”. Maria Federici, aquilana, è stata tra le 5 donne delle 21 elette all’Assemblea Costituente che hanno fatto parte della “Commissione Speciale dei 75 che elaborò il progetto di Costituzione poi discusso in aula dall’Assemblea ed approvato il 22 dicembre ‘47”.

    E’ grazie al suo impegno se è stato consentito l’accesso alle donne in magistratura e se le famiglie, l’associazionismo e i diritti sindacali hanno avuto la dovuta attenzione, così come si è molto impegnata per aiutare gli emigrati e le loro famiglie. Filomena Delli Castelli, originaria di Città Sant'Angelo in provincia di Pescara, il padre emigrante in America, dopo laurea in lettere e filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha insegnato nel magistrale del suo paese. Impegnata in politica, ha fondato la sezione della Democrazia Cristiana e successivamente è stata nominata segretaria provinciale del Movimento Femminile. Eletta all'Assemblea Costituente italiana il 2 giugno 1946 è stata rieletta alla Camera dei deputati nel 1948 e poi nel 1953. Dal 1951 al 1955 è stata anche sindaco di Montesilvano. Una delle prime donne – se non la prima – ad essere eletta Sindaco. Ha collaborato con la Rai nel settore della cultura e del volontariato.

    Palmerini scrive, riguardo alle due costituenti abruzzesi: ”Il loro pensiero illuminato, lo stile di vita, il loro assiduo impegno politico e sociale, restano un esempio notevole nel tempo che viviamo. Oggi il loro esempio stride con certa volatilità del pensiero, con certa incoerenza dei comportamenti politici, con la labilità dei riferimenti ai grandi valori”. Bisogna rileggere le lezioni di Filomena Delli Castelli e di Maria Federici “per poter migliorare il rapporto tra istituzioni e cittadini, per recuperare credibilità alla politica” e soprattutto “per tornare a costruire il futuro della nostra Italia”. Per far diventare una bella realtà “L’Italia dei sogni”!

    Queste le considerazioni sul bel volume di Goffredo Palmerini, presentato in un pomeriggio memorabile per il feeling che si è stabilito con un pubblico molto attento agli interventi dei relatori e dell’autore. Il prof. Bizzarro, in apertura dell’evento, nell’intervento di saluto, ha letto anche una lettera di ringraziamento che il Rettore del Colorado College, la prof. Jill Tiefenthaler, ha inviato a Goffredo Palmerini per la sua preziosa collaborazione con l’ateneo americano nell’assistenza agli allievi per i loro studi di cinematografia durante i corsi estivi in Abruzzo.

    *già Caporedattore del TGR Rai