L'esercito non sostituisce lo Stato

Gennaro Matino (February 18, 2016)
«A Napoli serve l'Esercito». l'uscita di Angelino Alfano di qualche giorno fa, giaculatoria giornalistica settimanale, sarebbe potuta diventare un fraseggio rap da proporre durante il prestigioso concorso canoro. Rocco Hunt l'avrebbe potuta interpretare alla grande e intitolare il suo brano: "Ancora". Credevo che servissero scuole, palestre, posti di lavoro, asili, campi da gioco, parchi pubblici, case di accoglienza, circoli culturali, oratori, percorsi di reinserimento sociale ...


«A Napoli serve l'Esercito». Credevo che servissero scuole, palestre, posti di lavoro, asili, campi da gioco, parchi pubblici, case di accoglienza, circoli culturali, oratori, percorsi di reinserimento sociale. Pensavo che servisse una grande rivoluzione culturale provocata da una nuova e originale visione politica, da una vicenda amministrativa di potente e solida caratura, capace di raccogliere la sfida che attende nei prossimi anni la più grande metropoli del Sud.



 

Ritenevo che la questione del controllo del territorio, preso d'assalto dal terrorismo camorrista, si inserisse in un più ampio scenario di liberazione, in un respiro di vita formidabile da inalare nelle membra stanche di una società rassegnata al peggio, senza speranza di futuro, compromessa suo malgrado dal lasciar passare, lontana da parole da condividere insieme al governo e alle istituzioni. Mi sbagliavo: per risolvere i problemi di Napoli, per superare la conta dei morti ammazzati, «serve l'Esercito».




Se il festival di Sanremo non si fosse chiuso da poco e se la faccenda non fosse così seria e drammatica, quasi da ultimo appello, direi che l'uscita di Angelino Alfano di qualche giorno fa, giaculatoria giornalistica settimanale, sarebbe potuta diventare un fraseggio rap da proporre durante il prestigioso concorso canoro. Rocco Hunt l'avrebbe potuta interpretare alla grande e intitolare il suo brano: "Ancora". 




Qualcuno sobbalzerà per il già dato, ricordando la struggente canzone di Eduardo De Crescenzo. Eppure c'è un "Ancora" che rumoreggia nella mia testa e provoca un senso di disgusto. Ancora parole inutili, contraddittorie, false, amare, inopportune. Ancora ipocrite vie di fuga per non dirsi la verità. Ancora parole usate come via d'uscita dall'imbarazzo provocato dalla sensazione di fallimento di istituzioni lontane dai fatti e dalla gente. Ogni volta che lo Stato, da sempre, dall'Unità d'Italia ad oggi, viene interpellato sulla sua sconfitta, sulla morte della legalità a Napoli, causata dalla mancanza di una politica vera, da una visone alta capace di dare significato e conversione a una storia maledetta, usa come panacea la discesa in campo dell'Esercito.




Una situazione che definire kafkiana è dire poco, una mancanza assoluta di strategia di senso, di comunicazione liberante che impedisce qualsiasi reazione, pratica e psicologica, da parte dei cittadini ormai rassegnati alle parole già date. Reprimere il malaffare è un dovere, ma superarlo con la voglia del riscatto è la sola, unica e possibile soluzione. Prima o poi dovranno pur mettersi d'accordo i diversi attori di una drammatica sceneggiata che, benché un formidabile lavoro delle forze dell'ordine, un giorno dicono che servono uomini e mezzi in più, e un altro invece giusto il contrario e ribadiscono che se la popolazione non collabora, non parla, non denuncia, sarebbe difficile anche a una missione dell'Onu portare pace in una terra che considerare endemicamente camorristica fa storcere il naso a più di qualcuno. 




Ma la domanda sorge spontanea: in cambio di che cosa la gente dovrebbe parlare? Denunciare il malaffare certo è dovere di ogni cittadino consapevole del suo ruolo, ma la consapevolezza dei propri doveri dovrebbe essere sorretta da uno Stato presente, attento ai bisogni della gente, affinché si sentisse garantita, protetta, accompagnata. Se lo Stato non c'è, anzi dichiara che ha bisogno dell'esercito perché è in stato di guerra nel suo stesso territorio, molta gente rischia di affidarsi ad altri eserciti per ottenere più facilmente, con il suo silenzio complice, risposte a domande mai soddisfatte dallo Stato. Se lo Stato è assente, se manca la sua azione educativa, formativa, propositiva cresce sempre di più la distanza tra lo Stato e il cittadino che cercherà vie d'uscita più comode da quella casa comune per garantirsi uno spazio proprio, salvifico, mentre tutto intorno crolla. 




In un territorio dove si guerreggiano più di 104 clan, dove si muore come in nessuna altra parte del mondo civile, dove interi quartieri nel cuore pulsante della città, come la Sanità, il Rione Traiano, Il Pallonetto di Santa Lucia, Bagnoli, Forcella, piazza Mercato, vivono principalmente di droga, sarà difficile chiedere collaborazione alla gente se quella collaborazione significa la perdita dell'unico posto di lavoro che hanno mai avuto e forse della vita. Senza una contropartita salvifica la guerra è persa, con o senza l'esercito. 




Mussolini sul finire dell'ultimo conflitto provava a rincuorare i suoi, ormai in fuga, con una promessa solenne: le sorti sarebbero presto cambiate con l'uso delle armi segrete che di fatto non arrivarono mai e la guerra persa si trasformò in ecatombe. «A Napoli serve l'Esercito», una promessa che suona come uno sfottò. Lo Stato, la città, i napoletani, noi tutti perderemmo se ancora credessimo alle funamboliche armi segrete. 

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