De Luca e gli ultimi barellati dell'ospedale Cardarelli

Gennaro Matino (April 12, 2016)
Si è sorpreso il presidente della Regione Campania, De Luca, quando ha visitato l'ospedale Cardarelli dei malati “sospesi in corsia”, in attesa di giusta e dignitosa dimora. Si è indignato, ha alzato la voce, è andato lì per questo. Forse che non conoscesse lo stato delle cose? Sarà stato un gesto simbolico, di forte impatto per raccontare la vicinanza del governo regionale ai degenti, agli ammalati “ultimi” per ribadire il diritto alla salute di ogni cittadino. Serviranno anche “coup de théatre” per rimettere al centro della questione politica di questa regione, di questo Paese, i diritti svenduti della povera gente a partire dal diritto alla vita, ma nessuno creda che si sia così sciocchi da pensare che basti qualche gioco di prestigio comunicativo per nascondere il fatto drammatico che chi ha denari ha cura e chi non ne ha è a rischio, al di là delle barelle in corsia.



 



È la parola stessa che pone domande se sia legittimo o meno definire un uomo “ultimo” e se non costituisca per lui una ulteriore umiliazione. Non è solo una mera questione linguistica, è una questione di dignità che va oltre la “consolazione” che siamo disponibili a concedere a chi è nella necessità.




Capisco che molti potranno storcere il naso, che qualcuno dirà che meglio delle parole sono i fatti, che ultimi o meno il necessario è aiutarli. Tuttavia anche le parole rischiano di limitare confini tra classi di appartenenza fortunate o sfortunate, meritevoli o no, benedette o maledette, così che definire qualcuno ultimo potrebbe costituire perfino un alibi per chi in quella condizione non c’è mai stato, un sentirsi risparmiato dagli ultimi posti forse per questione di merito, di fortuna, come se la vita fosse una gara dove i migliori vincono e si godono la vittoria e chi perde si arrangia, lontani dall’essere fratelli e comunque lontani dall’essere cittadini per diritto, uguali di fronte allo Stato.




Fratelli che soffrono, cittadini ingiustamente condannati a subire umiliazioni per strada, negli uffici pubblici, per le pretese assurde di una burocrazia farraginosa che impedisce ai semplici di rivendicare i propri diritti, cronaca di ordinaria ingiustizia consumata sotto gli occhi indifferenti di troppi che come unico rimedio al male evidente preferiscono coprirsi la faccia.



Non ultimi i “barellati” dell’ospedale Cardarelli che il presidente De Luca in settimana ha visitato, “sospesi in corsia”, in attesa di giusta e dignitosa dimora.



Si è sorpreso il presidente, si è indignato, ha alzato la voce, è andato lì per questo.

Forse che non conoscesse lo stato delle cose?



Sarà stato un gesto simbolico, di forte impatto per raccontare la vicinanza del governo regionale ai degenti, agli ammalati “ultimi” per ribadire il diritto alla salute di ogni cittadino.


Serviranno anche “coup de théatre” per rimettere al centro della questione politica di questa regione, di questo Paese, i diritti svenduti della povera gente a partire dal diritto alla vita, ma nessuno creda che si sia così sciocchi da pensare che basti qualche gioco di prestigio comunicativo per nascondere il fatto drammatico che chi ha denari ha cura e chi non ne ha è a rischio, al di là delle barelle in corsia.




Nello stesso ospedale Cardarelli, in quelle stesse corsie, dove comunque tanto bene fanno operatori sanitari e medici, basta avere risorse economiche e le porte si aprono “intramoenia”, le camere si attrezzano, le barelle si evitano, le liste si accorciano, la degenza si limita, l’assistenza migliora. E come se non bastasse, farmaci salvavita, che altre regioni del nord passano, da noi bisogna pagarli.




Nello stesso ospedale di istituzione pubblica e non privata, la cura che è alla base del rapporto medico paziente risulta diversa per chi ha potere d’acquisto e chi no. È stabilito per legge, si dirà, anche se su questo ho qualche perplessità, e mi sia concesso, perfino qualche dubbio di correttezza costituzionale e di certo nessun dubbio di etica se dovremmo essere uguali di fronte allo Stato.




La storia della precarietà umana, dei fallimenti, del dolore è insita nel sistema stesso della convivenza sociale, dell’orizzonte di ogni sistema di azione che qualifica l’interagire degli uomini.

Non c’è, non ci può essere a norma della Costituzione di questo Paese, una sospensione di questa interazione quando accade a un cittadino di trovarsi in una situazione di sofferenza.



Nell’idea di una vita che quasi sospende il suo insieme di diritti rispetto alla società in generale, c’è anche il tentativo di scorporare, non dico eliminare ma mi verrebbe di dirlo, dalla quotidianità di una società, il soggetto umano più debole, più sofferente.

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