Chet lives. Intervista con Joe Barbieri

Roberta Michelino (September 04, 2013)
Dopo appena un anno di distanza dal suo penultimo album “Respiro” che gli ha regalato un successo mondiale, il musicista ritorna con un nuovo disco. Un lavoro nel quale viene messa a nudo l’anima di Chet Baker

Il suo cd “Respiro” era ancora vivo nella memoria dei fans di Joe Barbieri, quando il cantautore partenopeo è tornato a stupirci con il nuovo lavoro discografico “Chet lives”, suonato insieme al trombettista Luca Aquino ed al pianista Antonio Fresa.
 

Ma le radici del suo successo sono molto più antiche: crede nel suo talento Pino Daniele, grazie al quale registra i suoi primi brani. Nel 2004 pubblica il suo primo album “In parole povere” con la sua stessa etichetta, la “Microcosmo Dischi”. La sua vita lavorativa è divisa tra quella di musicista e quella di produttore quando nel 2009 esce il suo secondo album, “Maison Maravilha”, il cui sound si colora di calde e nitide tinte brasiliane e cubane, grazie anche alla significativa partecipazione di Amara Portuondo, cantante dello storico gruppo “Buena Vista Social Club”.

Questo lavoro discografico diventa ben presto un successo internazionale ed i numeri parlano chiaro: oltre 20.000 copie vendute in 14 Paesi diversi del mondo. Nel 2012 edita un altro lavoro di successo, “Respiro”, che lo ha visto collaborare con artisti celebri come Stefano Bollani, Gianmaria Testa, Fabrizio Bosso e Jorge Drexler.
 

Spontaneità, qualità, eleganza, umiltà. Queste sono alcune caratteristiche che hanno permesso a Joe Barbieri di avere una eco nazionale ed internazionale. E’ un artista che si è lasciato guidare più dall’istinto che dalla forma, basta leggere i suoi testi, ascoltare il suo canto mai strillato e vedere le sue dita pizzicare dolcemente le corde della chitarra per capire che riesce a suonare e cantare con naturalezza e spontaneità. E’ la stessa spontaneità che si può scorgere in un sorriso, in una emozione, in un respiro.
 

Un altro aspetto di Barbieri che stupisce è la sua vena poetica. Ha la capacità di catturare, attraverso le rime, sensazioni e momenti di vita vissuta, rendendoli immortali. In molti suoi brani si constata la cristallizzazione di una quotidianeità, di una bellezza che sfugge, di piccoli gesti che ci rassicurano e ci fanno sentire importanti, basti citare il testo di “Lacrime di Coccodrillo” cantato insieme alla collega Chiara Civello “Oggi mi riprenderò me stesso, a partire da ogni goccia, consumata ad allungare una coperta sempre corta, ricamata sorridendo ogni giorno veramente” oppure uno stralcio del brano “Fa’ Conto” “Un pugno di case si stende lì in fondo, in fondo ti chiedi cos'è casa adesso, qualcosa ti chiama che cosa chissà, tu fa' conto che io sia là.”
 

Ci intratteniamo in una piacevole ed interessante chiacchierata con lui.
 

Facciamo un breve excursus della tua carriera: il tuo demo finisce nelle mani di Pino Daniele e da quel momento vengono registrati i tuoi primi brani....
 

Quando Pino mi ha chiamato pensavo che fosse uno scherzo. Sono entrato nel suo studio il giorno dopo l’esame di maturità, avevo ancora addosso la sensazione della prova orale quando mi sono ritrovato con lui ed il suo gruppo di lavoro di allora per registrare il mio primo disco.
 

Nel 2004 pubblichi “In parole povere” che include un bellissimo duetto con Mario Venuti intitolato “Pura Ambra”. Il testo recita una frase di stampo Proustiano per il ricordo evocato: “siedo sui gradini di una strada che sale in paese e percepisco odori che mi feriscono”. Cosa rappresenta per te “Pura Ambra”?
 

Questo testo l’ho ripreso in più momenti e per diverso tempo l’ho lasciato lì a macerare. Una sera, non mi capita spesso, ero a cena con alcuni amici ed avevo bevuto un bicchiere in più.....tornato a casa l’ho ultimato. E’ lo scatto di uno stato d’animo, si riferisce, come altre mie canzoni, ad un’esperienza personale. E’ la ricerca di un legame immortale con una persona che si allontana dalla tua vita, utilizzo la metafora dell’ambra che ha il potere di bloccare le cose e di renderle eterne. Si passa, quindi, da una strofa più descrittiva, con l’immagine della strada che sale in paese e di me seduto sulle scale a giocare con il filo di una giacca, ad un ritornello nel quale si evince una sfera più impalpabile ed eterea.
 

In molte tue canzoni emerge, a mio avviso, in maniera preponderante la nostalgia, che propriamente definirei “saudade”. So che sei un appassionato della musica brasiliana, c’è qualche cantautore in particolare che ha influenzato il tuo modo di scrivere?

Oltre a Caetano Veloso e João Gilberto, sicuramente Chico Buarque de Hollanda, per la sua capacità di comporre melodie e scrivere testi poetici.
 

Una delle tue canzoni più commoventi è “Normalmente”, nella quale il sentimento di saudade è più tangibile, ma non necessariamente con accezione negativa, anzi, assume una connotazione positiva nella descrizione di un periodo e di una persona indimenticabile.

Certo! E costituisce un collegamento con il presente. Questa canzone rappresenta per me una porta non chiusa, nonostante la distanza ed il tempo trascorso, c’è un dialogo che continua. Ho scoperto che molti colleghi l’hanno legata alle loro esperienze personali e devo dire che non mi dispiace che sia proprio questa la canzone più amata.
 

Nel tuo penultimo album “Respiro” hanno partecipato musicisti del calibro di Stefano Bollani, Gianmaria Testa, Fabrizio Bosso e Jorge Drexler. Cosa ti hanno lasciato queste collaborazioni?

Innanzitutto mi sono sentito un fortunato. Quando nel corso della realizzazione di un disco si uniscono colleghi che hanno scritto pagine così importanti di musica è solo un grande privilegio. Sono arrivato alla conclusione che più questi musicisti sono universali più sono pronti a collaborare per loro scelta. Tutto ciò mi ha lasciato un senso di meraviglia e di apertura verso il mio futuro lavorativo e mi dà il giusto sprone per andare avanti.
 

Parliamo del tuo ultimo lavoro discografico “Chet lives”, come mai la scelta di omaggiare il grande e “maledetto” musicista Chet Baker?

In primis perchè il caso ha fatto cadere in quest’anno il venticinquesimo anno dalla sua morte ed è quindi un occasione per celebrare questo grande artista dal lato oscuro. Ho avuto la possibilità d’interagire con il musicista Nicola Stilo che ha collaborato con Chet Baker. Lui mi ha raccontato di un Chet estremamente fragile e protettivo. La scelta di omaggiarlo è dettata anche dal fatto che lui è un punto di riferimento per tutti i musicisti e, nonostante non scrivesse le sue canzoni, i brani da lui interpretati e cantati hanno molto influenzato il mio modo di scrivere. Inoltre, la sua maniera di cantare ha rivoluzionato la sfera musicale di tutti gli artisti. Con l’avvento dei microfoni il cantante poteva non urlare, ma semplicemente accompagnare le parole. Lui è uno dei fautori di questo cambiamento, soprattutto nella prima parte della sua carriera, prima di essere coinvolto in una rissa nella quale gli si ruppero i denti compromettendo la sua carriera da musicista.
 

La tua fama ormai è internazionale: hai eseguito concerti in Giappone, a Madrid, a Copenaghen, in Danimarca, i tuoi cd sono usciti anche in Canada e negli Stati Uniti. Quando organizzerai una tournè a New York?

Verrò a New York questo inverno, non so precisamente quando, ma stiamo organizzando la tournè perchè la realizzazione di questo nuovo disco è un ponte tra Italia e Stati Uniti ed ha lo scopo di far conoscere il lato italiano di Chet Baker. Lui, infatti, ha cantato una sorprendente “Arrivederci” nel film di Lucio Fulci, ha suonato “Estate” di Bruno Martino, ha collaborato con molti musicisti italiani. Per me è un’ occasione per ribadire quanto Chet sia stato amato dalle generazioni dei musicisti italiani ed internazionali.

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