Un cimitero in fondo al Mediterraneo

Maria Rita Latto (July 31, 2008)
Il Decreto Maroni sull'immigrazione appena approvato dal governo italiano parla di "emergenza" clandestini. I continui sbarchi di disperati alla ricerca di un futuro migliore fanno riflettere e sorge spontanea una domanda: qual'è la vera "emergenza"?



Un secco comunicato del governo: “Il Consiglio dei ministri ha approvato l’estensione all’intero territorio nazionale della dichiarazione dello stato di emergenza per il persistente ed eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari”. La motivazione che ha portato a questa decisione è stata la necessità di “potenziare le attività di contrasto e di gestione del fenomeno”.

Nel frattempo il Canale di Sicilia è quotidianamente solcato dai barconi della speranza e giorno dopo giorno sta diventando un cimitero nascosto in fondo ad un mare che si sta trasformando in un’immensa tomba. Giorno dopo giorno è sempre più difficile tenere la macabra contabilità dei morti. La notte scorsa almeno sette dispersi in mare, pochi giorni fa due bambini in tenera età morti di stenti durante la traversata e gettati in mare dal padre. Tra i disperati ci sono anche tanti bambini e molte donne incinte. Alcune hanno addirittura partorito durante il viaggio, sul gommone, davanti agli occhi di decine di altri immigrati. È un intrecciarsi di vita e morte lungo le rotte della speranza attraversate col cuore colmo di disperazione alla ricerca di un futuro migliore. Sono tante storie di uomini, donne e bambini che però passano inosservate ai nostri politici, occupati a litigare tra di loro senza trovare soluzioni valide. Storie incredibili come quelle degli “uomini-tonno”, cioè di coloro che, scampati al naufragio della “carretta del mare” su cui viaggiavano, rimangono per giorni aggrappati alle reti delle tonnare per salvarsi, ancora una volta, dalla morte in acqua. Tra di questi anche donne, alcune persino incinte, e bambini, tutti fortemente determinati a raggiungere Lampedusa, un lembo di terra che rappresenta il punto di partenza per una vita diversa, migliore. Storie incredibili di morti di cui non è giunta né mai giungerà notizia, a bordo di carrette naufragate senza che nessuno se ne sia mai accorto. Storie incredibili come il naufragio di Portopalo, quello della notte di Natale del 1996, riportato solo da pochi organi di stampa, avvenuto tra l’indifferenza generale, salvo poi piangere lacrime di coccodrillo cinque anni dopo quando la verità cominciò ad emergere dai resti umani che rimanevano impigliati nelle reti dei pescatori.

I rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e la Croce Rossa Italiana hanno dichiarato recentemente che “il Mediterraneo si dimostra sempre più la via dei richiedenti asilo”. La portavoce in Italia dell'Unhcr, Laura Boldrini, ha spiegato: “I numeri parlano chiaro: un immigrato su tre di quelli giunti in Italia via mare nel 2007 ha fatto domanda d’asilo e uno su cinque ha ottenuto una forma di protezione internazionale. Il mare è sempre più la via di fuga per chi scappa da guerre e persecuzioni – ha concluso la portavoce dell'Unhcr - e dunque è importante proseguire negli interventi di soccorso in mare e insistere sul ‘modello Lampedusa’ nel cui centro di prima accoglienza operano dal marzo 2006 Croce Rossa, Oim e Unhcr per informare gli immigrati appena sbarcati sui propri diritti”. Il ministro degli Esteri Frattini ha rimarcato più volte che da sola l’Italia non può affrontare un fenomeno di questa portata, serve l’impegno dell’Unione Europea ed è importante “approvare il patto europeo per l’immigrazione entro la fine dell’anno. Su questi temi –ha concluso il ministro- lavoriamo da anni, ma oggi il momento è maturo”.

Intanto le stime più prudenti parlano di diecimila morti annegati negli ultimi dieci anni sulle rotte tra l’Africa e le nostre coste meridionali. Considerando, poi, che ogni anno arrivano via mare circa ventimila migranti, si capisce che esiste un’alta possibilità di morire durante la traversata. Ogni cento clandestini che arrivano, cinque annegano. Per non parlare del fatto che nonostante l’inasprimento delle pene, l’istituzione del reato di immigrazione clandestina, il prolungamento del periodo di permanenza nei centri di detenzione, il flusso non diminuisce.

Sia il passato governo Berlusconi nel 2003, sia il governo Prodi nel 2007, hanno firmato accordi con la Libia per cercare di fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani. Nonostante gli accordi, tuttavia, salvo qualche sporadica partenza dalla Tunisia e dall’Algeria per la nuova rotta che porta alla coste meridionali della Sardegna, le imbarcazioni cariche di disperati nelle mani di trafficanti di esseri umani partono dalla terra di Gheddafi. La Libia chiede soldi all’Unione Europea per pattugliare i suoi confini che guardano il Sahara, da dove arrivano incontrollati i neri africani in cerca d’acqua e di una speranza di vita; la piccola isola di Malta non ha i soldi necessari per mantenere una flotta impegnata nei soccorsi in mare e si sente già troppo affollata per essere solidale. D’altro canto, l’Europa vive alla giornata tra mille allarmi, lutti, insicurezza e confini colabrodo.

I migranti sono oltre due milioni, in maggioranza africani neri provenienti dal Sudan, dal Ciad, dal Niger e dal Corno d'Africa, oltre che dall’Egitto. Negli anni Novanta il colonnello Gheddafi aveva deciso di respingere questi migranti nel deserto da dove erano venuti, un metodo drastico che aveva percentuali di mortalità non diverse da quelle odierne nel Mediterraneo. Dopo oltre un decennio, ancora oggi resiste la massa di disperati pronti a rischiare persino la vita pur di raggiungere l’Europa. Una volta giunti in Italia, secondo i dati dell’Alto commissariato per i rifugiati, solo ad una minoranza, un quinto dei migranti, vengono riconosciuti l’asilo politico o la protezione umanitaria, grazie ai quali non sono più “clandestini”.

La vera “emergenza”, tanto per usare il termine del recente decreto Maroni, è l’Africa ed il suo dramma, un qualcosa di troppo grande che non può essere risolto con articoli o commi di legge, con l’immigrazione clandestina vista come un reato. Quel che pochi sembrano capire è che la ricca Europa dovrebbe iniziare a creare investimenti in Africa, in modo da fermare le partenze. Anche perché la responsabilità di questa strage continua è prevalentemente nostra, della nostra globalizzazione che accetta tutti i movimenti di capitali, ma rifiuta le persone, tutti coloro che non riescono a vivere nei loro paesi e, rischiando la vita, tentano di sbarcare nel nostro mondo ricco e opulento, magari solo per mendicare. Anche perché in un paese ricco si può vivere di elemosine, mentre nei loro paesi d’origine la popolazione è aumentata e le produzioni sono state distrutte dalla crescita della produttività dei paesi benestanti. Tanti non accettano di morire in patria e decidono di rischiare il tutto per tutto, vedendo l’Europa come una sorta di terra promessa. 

Nel frattempo, la sola maniera che i nostri governanti hanno per affrontare il problema è sfornare un decreto che “potenzia le attività di contrasto e di gestione del fenomeno”. Nessuna traccia di iniziative umanitarie, nessun tentativo di contrastare l’aumento di morti nel grande cimitero in fondo al Mediterraneo.

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