Così ricordo Rocco Caporale

Letizia Airos Soria (July 06, 2008)
Prima di tutto il suo sorriso aperto, quello che mi ha accolto insieme ad un ottimo caffè napoletano preparato da lui stesso nella sua cucina. Era il 2006, ed era la prima volta che l’incontravo, all’ultimo piano di una casa dell’Upper West Side dove poi sarei tornata diverse altre volte. Circondati da appunti, fotocopie, libri ed oggetti legati alla sua vita con la dolce moglie Taina, quel giorno dovevo parlare con Rocco Caporale del suo lavoro sui database AIRE in vista delle prime elezioni politiche italiane all’estero



Mi aveva “inviata” America Oggi per vedere e raccontare cosa stava facendo questo professore emerito della St. John’s University. Ero scettica, cosa avrebbe mai potuto fare un sociologo in pensione da anni con quei dati cosi difficili da interpretare e soprattutto da organizzare? Ma dopo il sorriso accogliente, l’altra cosa che ho subito colto nel volto di Rocco fu un’ironia saggia che dava il giusto peso a tutto. Inclusa l’analisi delle statistiche elettorali che voleva raccontarmi. Un lavoro serissimo, ma che andava preso con la dovuta distanza e prudenza. Il rigore del sociologo camminava di pari passo alle esperienze vissute nella sua vita. Ma questo allora ancora non lo sapevo.

 

E ricordo quando sono entrata nel suo studio con la luce che filtrava dalla finestra e che lasciava intravedere in lontananza, tra i tetti, il fiume Hudson. Ma il fiume in piena era il Professor Caporale, parlava e non sapeva dove andare a fermare le parole. Mi raccontava cercando di darmi tutte le informazioni possibili. Si capiva fin dall’inzio che aveva una dote importante, ma ancora rara per un professore: la capacità di semplificare. E spiegava cercando un dialogo, chiedendo consigli, senza mettersi in cattedra. “Letizia”, impossibile non darsi quasi subito del tu con questo eterno giovane, “cosa ne pensi tu? Come posso rendere evidenti le ipotesi del mio studio? Qui ci vuole il giornalista che affianchi lo studioso!”. Ma il mio stupore crebbe quando lui accese il computer e cominciò a lavorare dentro a database elettronici che per chiunque alla sua età (ma non solo!) sarebbero stati proprio difficili. Da quel momento cominciai ad appassionarmi al progetto di Rocco. Scegliemmo insieme gli strumenti per rendere comprensibili i dati. ... Grafico “a torta”? No? ... Istogramma? Meglio? ...

 

E’ cominciata così la mia amicizia con Rocco Caporale, parlando di dati elettorali e poi piano piano di tematiche legate all’immigrazione, alla comunità. Devo a lui diversi spunti sugli italiani negli USA e su tante altre cose. Le conoscenze di Rocco su infinite sfaccettature della realtà nel Mezzoggiorno italiano nel corso degli ultimi decenni, ad esempio, erano un vero patrimonio prezioso per me.

 

Era orgoglioso di essere meridionale ed italiano, ma senza facili patriottismi. Altro elemento raro in persone della sua età, soprattutto qui negli USA. Era in grado di rivelare chiaramente e senza peli sulla lingua tutte le problematiche che spesso altri nascondevano per paura “di far brutta figura”. E non si limitava solo a raccoltarle, faceva proposte concrete.

 

Per certi versi Rocco è stato un personaggio scomodo. Ne sanno qualcosa in Irpinia. La sua ricerca sulla ricostruzione dopo il terremoto del 1980, condotta attraverso Institute for Italian-American Studies (INIAS) che lui stesso aveva fondato infastidì più di un uomo politico campano. Nel 1990 l’eco dei suoi studi, finanziati da un grant della National Science Foundation e dell'IRI, giunse ad alti liveli istituzionali e il professore fu invitato a tenere una audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla ricostruzione post-terremoto. I risultati della ricerca contribuirono alla caduta del governo De Mita, raccontava Rocco con un po’ d’orgoglio. E diceva sorridendo che Mastella lo attaccò durante una trasmissione televisiva di Michele Santoro. Caporale era diventato, per alcuni politici della Prima Repubblica, il “professore venuto dall'America” a lavare i loro panni in pubblico.

 

Torniamo ai miei ricordi. Alla sorprendente dimestichezza di Rocco Caporale con l’informatica. Al quel suo tempestivo rispondere alla email, alle telefonate su Skype, ancora prima che questo strumento si diffondesse. Sempre presente nei momenti iportanti per la comunità, lo ricordo intervenire in diversi dibattiti pubblici, a volte con fare punzecchiante, ma sempre costruttivo.

 

Ma la mia memoria di Rocco rimane molto legata ad Internet, alle nostre infinite email, e a quella casa nell’Upper East Side. Casa dove ho conosciuto la moglie Taina, nota ballerina finlandese, e dove Rocco si è fatto apprezzare anche come abile cuoco. Non faceva solo un ottimo caffè. Tra un ragù napoletano un giorno, e un’ottima aragosta un altro, piano piano mi ha dato consigli, suggerimenti, momenti di affetto disinteressato. Si divertiva a parlare di politica con mio marito, professore di Scienza Politica. Il vecchio sociologo ed il giovane politologo si confrontavano. Rocco a volte sembrava parlare con leggerezza, ma nei suoi scherzi c’era più verità di quanto si immaginasse.

 

E sempre ricordando, mi colpisce ora come fosse sicuramente più preoccupato lui della mia salute che io della sua: “Letizia, tu lavori troppo! Ti devi riposare…”

 

Sereno, saggio, in grado di prendersi in giro, un pò meridionalmente superstizioso, pieno di amici, ma anche senza paura di farsi nemici. Innamoratissimo di sua moglie e della sua famiglia. Questo è il ricordo che ho io di Rocco. Il ricordo, certo, di una persona che lo ha conosciuto negli ultimi anni della sua vita, e che del suo passato conosce solo i suoi racconti filtrati dalla memoria.

 

C’è una persona che invece lo ha incontrato da tanto, addirittura quando era una sua studentessa all’univeristà, e che lo ha accompagnato anche nei suoi ultimi studi. Parlo di Mary Ann Re, fino a qualte tempo fa Direttore Esecutivo della New Jersey Italian and Italian American Heritage Commission. A lei, ad un nostro recente colloquio, affido un’altra parte di questo mio ricordo.

 

Mary Ann racconta un aneddoto di cui lei stessa è venuta a conoscenza solo dopo la morte di suo padre, il compianto giudice Re. Una volta il giudice, senza aver mai conosciuto Rocco Caporale, lo chiamò al telefono e gli disse: “Mi ha portato via mia figlia!”. Mary Ann infatti era rimasta così affascinata da una lezione di Rocco, durante la presentazione del semestre di sociologia alla St. John's University, che decise di cambiare il suo percorso di studi per seguirlo.

 

L’amicizia tra Rocco e la famiglia Re si intesificò negli anni: “Quando stava morendo, l’unica persona non di famiglia che mio padre voleva vedere, e con cui riusciva a sorridere, era Rocco!” mi racconta ancora Mary Ann. E poi ancora: “Era un intellettuale integro, curioso, legato ai dati, era generoso, passionale e odiava pontificare. Lavorava a diversi livelli. Non guardava ai titoli, all’età dei suoi collaboratori, ma a quello che realizzavano. Era in grado di semplificare in tre frasi un intero capitolo.”

 

E ricorda gli ultimi momenti di lavoro insieme al suo professore lo scorso anno. In Canada per una ricerca sui campani e una conferenza, lo scorso novembre a Boston, sui siciliani nel Tri-State. “Lavorava come camminava. Piccoli passi veloci. Era il più giovane ottantenne che abbia mai conosciuto, un grande compagno di lavoro ed amico. Mi chiamava Mariannedduzza, nessun altro lo farà mai più. Sullo speed dial del mio cellulare, dopo quelli della mia famiglia, c’era il numero di Rocco”.

 

Due storie a confronto con la vita di Rocco. Quella mia e quella di Mary Ann, vicine e lontane. Entrambe putroppo sappiamo che quel caffè in cucina non ci attende più.

 

(Pubblicato su Oggi7 il 6 luglio 2008)

 

 

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