Articles by: Domenico Logozzo

  • L'altra Italia

    Alessandro Palmerini. Un David di Donatello da dedicare all"Aquila


    L’AQUILA - Dall’Accademia dell’Immagine dell’Aquila ai vertici del grande cinema e della tv, in Italia e all’estero. Alessandro Palmerini, 36 anni, ha vinto il David di Donatello con Remo Ugolinelli per il Suono in presa diretta del film “Diaz”, dopo il Ciak d'oro e il Nastro d'Argento dello scorso anno. Riconosciuto ancora una volta il merito. Una carriera che si sta rivelando luminosa per il talento abruzzese che nel 2008 ha vinto il primo Ciak d'oro  con il film "La ragazza del lago" di Andrea Molaioli e il Premio Aits per il film Tv "Maria Montessori" di Gianluca Tavarelli.

     

    Un cammino ricco di giusti apprezzamenti. Un lavoro difficile svolto con grande passione e professionalità. Ad Alessandro Palmerini chiediamo se si aspettava questo prestigioso riconoscimento. Con la serietà e l’onestà intellettuale di sempre, ci risponde: ”Con Remo Ugolinelli – uno dei più grandi Maestri del suono in presa diretta, al suo quinto David di Donatello – abbiamo fatto un lavoro scrupoloso sul set di “Diaz”, dove davvero il suono ha una rilevanza primaria per un soggetto d’azione che aveva la responsabilità di tradurre sul grande schermo non una finzione, ma il dramma degli ospiti della scuola Diaz di Genova, durante il G8 del luglio 2001, e le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate nella caserma di Bolzaneto, dove alcuni dirigenti e alcuni agenti della Polizia di Stato hanno scritto una pagina nera della nostra democrazia, come ha sancito la magistratura con la sentenza definitiva che ha condannato alcuni di loro.


    Daniele Vicari, un regista straordinario anche per il coraggio e l’impegno civile riversato nel film, è un autore cui va riconosciuto molto di più del suo valore professionale, proprio per questo servizio reso alla conoscenza di quei gravi fatti e alla loro sanzione morale. C’è stata una grande attenzione al disegno sonoro del film da parte di Vicari, del montatore Benni Atria e di tutti coloro che hanno poi svolto un ruolo fondamentale nella post-produzione e nel missaggio del film. Con loro ci sentiamo di condividere i riconoscimenti che ci sono stati tributati. Dopo il Ciak d’oro e il Nastro d’Argento a Taormina di un anno fa, c’era una speranza fondata che ce la potessimo fare a conquistare il David per “Diaz”, avendo pure avuto la nomination per “Io e te” di Bernardo Bertolucci. Ma il regolamento del premio consente solo una candidatura, quella sul film più votato dalla Giuria dell’Accademia del Cinema che fa le nomination”.    

     

     Cosa ha provato quando ha sentito il suo nome tra i premiati?

    “Una bella emozione e una grande gioia, com’è naturale. Ho pensato di dedicare alla mia città, L’Aquila, questo riconoscimento, grato a Gabriele Lucci e all’Accademia dell’Immagine per la formazione che vi ho ricevuto, avendo poi avuto anche l’onore di potervi insegnare per qualche anno “Suono in presa diretta”, fino al tragico 6 aprile 2009. Naturalmente ho pensato ai miei cari, a mia moglie Margherita, a mia figlia Chiara che ha pazientemente atteso il termine delle riprese proprio di “Diaz” prima di venire alla luce”.  

     

    Mentre scendevate le scale per raggiungere il palcoscenico,cosa vi siete detti con Remo Ugolinelli?

    “Con Remo ho un rapporto di forte complicità, dove la differenza d’età si annulla. E’ una persona magnifica, un maestro, di professione e di vita, a cui devo davvero moltissimo. Ci siamo guardati negli occhi, dicendoci tutto”.

     

    Magica serata nello Studio 5 della Dear di Roma, con tutti i più grandi del cinema e dello spettacolo italiano. Cosa l’ha maggiormente impressionata?

    “E’ l’atmosfera che si avverte in queste manifestazioni, festose ma anche dov’è palpabile una certa ansietà, sebbene tutti si tenti di dissimularla. È vero comunque che già l’essere candidati al David di Donatello è un grande riconoscimento per il lavoro svolto”.

     

    Quanto ha influito nelle sue scelte e nella sua formazione il fatto di essere cresciuto in una famiglia dove fin da bambino ha respirato l’aria della cultura, con suo padre Goffredo molto impegnato anche in una prestigiosa istituzione cinematografica aquilana ?

    “Dalla mia famiglia ho ricevuto un grande bagaglio di valori veri, che talvolta sono stridenti con l’andazzo corrente. Più che le parole, però, è stata la testimonianza di vita dei miei genitori ad essermi d’insegnamento. Da mia madre ho ricevuto una forte sensibilità, da mio padre il desiderio di conoscenza. Da entrambi l’etica della responsabilità, la libertà di decisione nel seguire quelle che sentivo come mie propensioni. L’impegno di mio padre nell’Istituto Cinematografico dell’Aquila è stato quello di amministratore delegato e ora vice presidente. L’Istituto, ente morale,  ha oltre trent’anni di attività alle spalle, con iniziative di notevole valore che hanno richiamato da tutto il mondo all’Aquila i più grandi professionisti del cinema.


    L’Istituto ha poi fondato l’Accademia dell’Immagine, scuola di alta formazione che si è avvalsa di valenti docenti di discipline umanistiche e della comunicazione insieme a grandi professionisti dei vari mestieri del cinema. Mentre riflettevo sulla scelta tra ingegneria o un’altra facoltà scientifica per i miei studi universitari,  mio padre mi propose di andare a farmi una chiacchierata con Gabriele Lucci. Ci andai ed egli mi illustrò i programmi dell’Accademia dell’Immagine, che aveva appena concluso il suo primo anno di attività. Mi convinsi che quella era la mia strada. Ed eccomi qui”.

     

    Tanti  traguardi tagliati con successo. Quali i prossimi impegni?

    “Ho finito di lavorare a un film di Gianni Amelio, girato a Milano e in Albania. Appena concluse le riprese non ho avuto che tre giorni di riposo per riprendere il lavoro in un film di Carlo Mazzacurati, che ci sta impegnando in Veneto e Trentino. Saranno due belle storie per il grande schermo, sicuramente”. 

     

    Buona fortuna Alessandro, figlio di una città che con orgoglio e grande dignità, dopo la devastazione del terremoto ed il buio della mancata ricostruzione, vuole ritornare ad essere protagonista anche nel mondo della cultura cinematografica!

     

     

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    Alessandro Palmerini è nato nel 1977 a L’Aquila. Nella città capoluogo d’Abruzzo si è formato presso l’Accademia dell’Immagine, concludendo nel 2002 il ciclo quinquennale di studi con il massimo dei voti e lode, con una tesi sul Suono nel cinema. Nella stessa Accademia ha poi svolto per tre anni un incarico di docenza. Nel 2008 ha vinto il suo primo Ciak d’oro, insieme ad Alessandro Zanon, per il Miglior suono in presa diretta del film La ragazza del lago di Andrea Molaioli. Nello stesso anno gli è stato tributato il Premio Aits per il film Tv Maria Montessori di Gianluca Tavarelli, sulla grande pedagogista italiana, trasmesso da Canale 5 di Mediaset. Con il film Diaz Alessandro Palmerini, insieme a Remo Ugolinelli, ha già vinto nel 2012 il Ciak d’oro e il Nastro d’Argento. Amante della montagna, Alessandro Palmerini ha inoltre partecipato, come filmaker, alle spedizioni alpinistiche abruzzesi, organizzate dal Cdaa: nel 2002 sul Cho Oyu (Himalaya), con i suoi 8201 metri d’altezza sesta vetta del mondo, realizzando il docufilm Mondi Sospesi; nel 2007 sul Broad Peak (Karakorum), 8047 metri, un altro picco dei 14 ottomila esistenti.  

      

     

  • Fatti e Storie

    Da Brancaccio alla Locride. Suor Carolina, l’eredità di don Puglisi e il sorriso della speranza

    Una donna semplice. Sorridente. Felice di essere utile ai giovani. Una guida sicura. L’umiltà che fa grandi le persone che credono nei sani valori e si battono in favore degli ultimi. Sempre in terra di mafia. Sulla via tracciata dal parroco che con il sorriso affrontava la violenza delle cosche. E’ stata responsabile del Centro Padre Nostro nel quartiere Brancaccio e da anni vive nella Locride, dove l’ha voluta il vescovo mons. Bregantini, ora arcivescovo di Campobasso.

    Ha recuperato tanti ragazzi. Ha messo in piedi una struttura che favorisce la socializzazione e allontana i giovani dalla cattiva strada. Impegno duro. Paziente. Ci dice con orgoglio: “Stiamo facendo un buon lavoro nel Centro Padre Puglisi”.Uno spazio di solidarietà a Bosco Sant’Ippolito, tra Bovalino e San Luca. Il bene per fermare il male. Grande calore umano.

    Entusiasmo e tanto ottimismo per il futuro. E anche le ragazze e i ragazzi che erano accanto a lei ci davano una bella sensazione di unità di intenti, di serenità, di fiducia. Una conquista importante: la speranza. Ottimismo che abbiamo letto negli occhi e nei volti di suor Carolina, dei giovani e delle generose persone che la circondavano d’amore.

    I sogni che si realizzano. Quando venne inaugurato il 14 maggio 2009 il parco giochi “Rebecca”, suor Carolina disse: “E' arrivato un altro grande giorno dopo quello dell'inaugurazione del Centro Padre Puglisi: oggi possiamo benedire questa nuova meravigliosa struttura polisportiva e il grazioso parco giochi "Rebecca" per i più piccoli per questa zona che necessitava da tempo di tali spazi vitali per i giovani. Questo momento di festa lascia a tutti noi un grande messaggio: i sogni si realizzano nella misura in cui ci si crede e vanno a beneficio di tutti! Quando non si realizza per sé tutto diventa grande e vero”.

    Vedendola sabato sera in televisione, intervistata da Massimo Giletti nello speciale di Rai Uno dedicato a padre Puglisi, abbiamo ripensato a quell’incontro di Gioiosa Jonica. Alle sue parole per i giovani. Per gli ultimi. Per chi ha bisogno di aiuto. “Ci sono bravi ragazzi - ci disse -, questa Calabria ha bisogno di attenzione. Ci sono positività incoraggianti. Da far conoscere a livello nazionale. La solidarietà ed il coinvolgimento di quanti possono darci una mano è assai importante. Confido anche nel sostegno dei grandi mezzi di informazione per diffondere la validità di questa struttura messa in piedi a Bosco Sant’Ippolito”.

    Spazi sottratti al crimine organizzato. I ragazzi prima di tutto. Come diceva padre Puglisi e come suor Carolina ha ricordato in tv sabato sera: “Voleva iniziare dai bambini, perché - diceva - i bambini erano più aperti al cambiamento e alla novità, mentre gli adulti sono oramai strutturati ed è difficile cambiarli”. Ancora suor Carolina: “Avevamo fatto dei lavoretti con i bambini. Due di loro litigarono. E uno voleva scagliare una bottiglietta addosso all’altro. Io cominciai a dire “non lo fare, anzi chiedi scusa perché sei stato tu il primo a iniziare la discussione”. Intervenne il fratello. E gli disse: “Ricordati che papà non vuole che chiediamo scusa, perché chi chiedescusa non è un uomo”.

    Mentre io ribadivo e spiegavo: “No, chi chiede scusa è un uomo, una persona importante, una persona perbene. E’ una persona brava. Devi chiedere scusa”. Alla fine il ragazzino, tra me e il fratello, riuscì a chiedere scusa. E tutti quanti gli fecero un applauso. Questa cosa la raccontai a don Puglisi. Lui in dialetto siciliano, come era solito fare, mi disse: “Vero è?”.Si stupì. Io dico: “Non c’è niente da stupirsi”. Per lui invece era questol’inizio di un cambio di mentalità”.

    Lezioni di legalità e convivenza civile dove “la mafia si respirava nell’aria in una zona che faceva paura”. E’ ricco di storie sconvolgenti il racconto della suora originaria di Aversa (Caserta), che è laureata in Pedagogia e in Scienze religiose e appartiene all’ordine missionario Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena. Era stata chiamata con alcune consorelle da padre Puglisi a gestire il Centro d'accoglienza "Padre Nostro" realizzato per fronteggiare le povertà del quartiere Brancaccio. La Chiesa palermitana, dopo l’eliminazione mafiosa di padre Puglisi, avvenuta proprio la sera in cui aveva festeggiato il compleanno, decise nel 1994 di far andare via le suore e di affidare il centro ai laici.

    Suor Carolina ricorda gli ultimi giorni e le ultime ore di don Puglisi. Non aveva mai accettato di avere la scorta. Sapeva che oramai la sua sorte era segnata. Non voleva esporre altre persone a morte sicura. “Quella sera un volontario mi chiamo e mi disse: ”E’ morto padre Puglisi”. Andai di corsa all’ospedale. Incontrai il cardinale Pappalardo. Era molto arrabbiato. Chiesi di poter vedere don Pino. Dovetti insistere a lungo. Poi mi accompagnarono in una stanzetta. Era coperto da un lenzuolo. La testa leggermente piegata sulla spalla destra, il colpo di pistola dietro l’orecchio da cui perdeva ancora sangue. Gli occhi semiaperti, si vedeva ancora il celeste. Un volto sereno”.

    Don Pino ha sorriso anche al mafioso che lo uccideva! L’uccisione del parroco di Brancaccio è stata una sconfitta per la mafia. A 20 anni dalla morte e all’indomani della beatificazione, è stato Papa Francesco a sottolinearlo autorevolmente: “Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. Lodiamo Dio per la sua luminosa testimonianza, e facciamo tesoro del suo esempio”.

    Il Papa ha fatto poi una riflessione sulle vittime di sfruttamenti e schiavitù: “Penso ai dolori di tanti uomini, donne e bambini sfruttati: dietro ci sono sempre delle mafie che li sfruttano, facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi”. Quindi l’appello: “Preghiamo perché i mafiosi e le mafiose si convertano. Dietro le schiavitù ci sono tante mafie ma non possono fare di noi fratelli degli schiavi”. Don Puglisi non è morto invano!

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